FAMIGLIA
COLONNA–ROMANO
ORIGINI DELLA DINASTIA COLONNA ROMANO:
I TUSCOLANI
Arma
dei
Conti di TUSCOLO
I conti di Tuscolo compaiono sulla scena politica romana verso la fine
del sec.X. Anche se fino a tutt’oggi non è ancora possibile ricostruire con
esattezza l’ascendenza di tale casato, la storiografia moderna riconosce
tuttavia una stretta parentela dei Tuscolani con il lignaggio dei Teofilatti.
Veduta del TUSCOLO medievale
(Lazio)
Teofilatto, era un ricco
latifondista romano forse di origine germanica (altre fonti ipotizzano la sua
parentela con un Gregorio “Nomenclator – fine IX secolo – oppure discendente
dalla gens Anicia dell'antica Roma).
Faceva parte degli Optimates Romani,
ossia di quella classe sociale (formata principalmente da latifondisti, ricchi
ecclesiastici, amministratori cittadini o diringenti statali laici) che
controllava la vita politica dell’Urbe tra i secoli VII e XI; questo corpo
socio-amministrativo pretendeva di fare le funzioni dell’antico senato romano e
si faceva chiamare, in suo ricordo, Senatus oppure Ordo Senatorius.
Teofilatto appare nelle cronache romane attorno al 901, quando deteneva la
carica di Giudice Palatino (Judex Palatinus, la stessa carica mantenuta
dal genero Crescenzio); a partire dal 904 controllava Roma con le qualifiche di
Magister Militum (cioè di comandante della milizia cittadina) e
di Sacri Palatii Vestararius (amministratore dei beni e delle
entrate del Papa), e grazie a queste due importanti cariche di fatto fu signore
dell’Urbe per circa vent’anni. Nel 906 era menzionato come “Gloriosissimus
Dux”. Deteneva la carica di Senator Romanorum (carica che
mancava di uno ruolo specifico nell’amministrazione romana dell’epoca ma che
dava una supremazia morale sugli altri Optimates) nel 915, e in questa
veste fu inviato dal Papa Giovanni X a negoziare l’alleanza con i principi
longobardi della Campania in funzione anti-araba. Come risultato ci fu la
creazione di una lega militare che culminò nella celebre vittoria dell’esercito
cristiano presso il Garigliano (agosto del 915) contro i saraceni, che furono
costretti a sgomberare per sempre il Lazio. Teofilatto fu estromesso dalle
cariche nel 924 dal Papa Giovanni X, che gli era ostile, per poi morire attorno
al 925 ca. Possedeva un vasto dominio che comprendeva i borghi e terre di :
Monterotondo, Poli, Anticoli Corrado, Guadagnolo, Rocca di Nitro, Rocca dei
Sorci, Saracinesco, Segni, Valmontone, Alatri, Guarcino, Colle Pardo, Soriano,
Paliano, Sora e Celano. Da notare che alcuni di questi possedimenti rimasero
ininterrottamente proprietà dei discendenti fino al secolo XIX.
Sposa Teodora detta “Senatrix”
(vivente 904/924 circa), passata alla Storia come donna viziosa e corrotta che
procacciò il potere al marito divenendo l’amante e protettrice del giovane
Vescovo di Cere, cugino di Teofilatto e futuro Papa Sergio III.
(cfr.: Lindsay Brook, Pope and Pornocrats: Rome in the early middle
ages, in "Foundations", n.1, gen. 2003, pagg. 5-21)
A1. Maria detta “Mariozza“
A1. Maria detta “Mariozza“
Maria, nota poi
come Marozia (* 892 ca. + prigioniera in un convento, Roma, post 933/ante 937),
Senatrix, fu la dominatrice di Roma tra il 915 e il 932 imponendo la
politica ai Papi, suoi amanti. La sua fine è poco chiara : fu catturata dal figlio
Alberico nel 932 dopo la cacciata di Re Ugo di Provenza da Roma e probabilmente relegata in un convento romano, dove morì;
altre versioni, meno probabili, affermano che fu posta in catene nella Mole
Adriana. Di certo si sa solo, indirettamente, che era ancora viva nella
primavera del 933, quando il marito Ugo fece un tentativo
di assedio a Roma con la speranza di liberarla. Era morta prima del 937 perché
il terzo marito si era nel frattempo
risposato in quella data.
a)
a) = Roma 909 Alberico Duca di Spoleto e
Camerino (+ ucciso dalla plebaglia di Orte, estate 924) (alla sua morte il
b)
A1. Maria detta “Mariozza“ e nota poi
come Marozia (* 892 ca. + prigioniera in un
convento, Roma, post 933/ante
c)
937), Senatrix, fu la dominatrice di
Roma tra il 915 e il 932 imponendo la politica ai Papi, suoi amanti. La sua
fine è
d)
poco chiara : fu catturata dal figlio
Alberico nel 932 dopo la cacciata di Re Ugo di Provenza da Roma e probabilmente
e)
relegata in un convento romano, dove
morì; altre versioni, meno probabili, affermano che fu posta in catene nella
Mole
f)
Adriana. Di certo si sa solo,
indirettamente, che era ancora viva nella primavera del 933, quando il marito
Ugo fece un
g)
tentativo di assedio a Roma con la
speranza di liberarla. Era morta prima del 937 perché il terzo marito si era
nel
h)
frattempo risposato in quella data.
i)
a) = Roma 909 Alberico Duca di Spoleto e
Camerino (+ ucciso dalla plebaglia di Orte, estate 924) (alla sua morte il
j)
feudo di Spoleto fu concesso a Pietro
fratello del Papa Giovanni X – investitura del 926 ca. – grande nemico di
k)
Marozia);
l)
b) = Roma 926 Guido Marchese della
Toscana (* 894 ca. + 929)
m)
c) = (il matrimonio era contro la legge
essendo i due coniugi cognati, ma Ugo di Provenza con un giuramento falso
n)
affermò di essere figlio illegittimo
del proprio padre e dunque di non avere legami di sangue con il fratello
uterino
o)
Guido di Toscana) Castel Sant’Angelo
(Mole Adriana), Roma 3-932 Ugo di Provenza Re d’Italia (+ in un
p)
monastero di Arles 10-4-947).
q)
r)
B1. (ex 1°, frutto della relazione della madre
con il suo amante Papa Sergio III ma accettato come figlio legittimo da
s)
Alberico di Spoleto, che sposò Marozia
già incinta) Giovanni XI (* 909 ca. + secondo alcune fonti fu
avvelenato,
t)
Roma 12-935, sepolto nella Basilica
Lateranense), eletto Papa nel marzo del 931. Dopo la caduta del regime
u)
materno visse
completamente sottomesso ai voleri del fratello Alberico II, che di fatto lo
esautorò dal governo
v)
dell’Urbe.
w)
B2. (ex 1°) Alberico II (* 911/912 + Roma 31-8-954), Principe
dei Romani. Ereditò l’immenso patrimonio fondiario
x)
dell’avo
Teofilatto. Fu giovane ambizioso e audace, il giorno del matrimonio della madre
con Ugo di Provenza
y)
organizzò una sollevazione popolare
che cacciò il patrigno; tolta di mezzo la coppia, governò in maniera quasi
z)
assoluta Roma e lo stato della Chiesa,
mettendo sotto tutela il fratello Giovanni XI e imponendo sulla Cattedra di
aa)
San Pietro dei pontefici ligi ai suoi
voleri. Fu principe molto stimato in vita e amato dal popolo romano, sia per la
bb) sua autorità che per l’abilità
politica. All’inizio del suo governo propugnò una audace politica
filo-bizantina,
cc)
successivamente di amicizia con Ugo Re
di Italia e infine di completa indipendenza da qualsiasi stato italiano o
dd)
straniero. Diede una parvenza di
amministrazione civile all’Urbe dopo secoli di anarchia, razionalizzò la
struttura
ee) dello stato pontificio separando, di
fatto, il potere religioso da quello laico nel governo e diede netta prevalenza
al
ff) secondo rispetto al primo. Non
interferì mai nelle specifiche competenze religiose della Chiesa. Appariva nei
gg) documenti come “Alberico, per
grazia di Dio, umile Principe e Senatore di tutti i Romani” e il suo nome
stava
hh) accanto a quello dei pontefici sulle
monete. Primo e unico nella storia della Roma medioevale. Protesse Oddone di
ii)
Cluny che, grazie alle sovvenzioni elargite da Alberico,
eresse numerosi conventi nel Lazio e ricostruì i monasteri di
jj)
Subiaco e Monte Soratte. In punto di
morte volle mantenere la supremazia della sua famiglia facendo giurare agli
kk) Optimates romani che avrebbero
sostenuto suo figlio Ottaviano all’elezione papale. Dopo di lui lo stato dei
Teofilatti
ll)
probabilmente andò diviso tra i vari
figli e cugini e ciò indebolì la dinastia a favore dei cugini Crescenzi, che
mm)
subentrarono ai conti di Tuscolo nel
governo di Roma fino al 1012.
nn) a) = ca. 935 Alda, figlia di Ugo di
Provenza Re d’Italia e di Willa di Borgogna dei Conti di Provenza (+ ante 954)
oo) b) = Stefania “Senatrix”,
nobildonna romana, forse sorella del Papa Giovanni XIII (965-972), da cui ebbe
una
pp) donazione nel 970. E’ incerto se sia
da identificare con una delle due donne (l’altra si chiamava Marozia) che
qq) appaiono in un atto di donazione del
945 e che vengono menzionate come “nipoti” di Marozia sua suocera.
rr)
ss)
C1. (ex 1°) Ottaviano (* ca. 936 + Roma 14-5-964),
consacrato Papa con il nome di Giovanni
XII a Roma
tt)
nel 12-955 e primo dei papi a cambiare
il nome al momento dell’ascesa al Soglio. Fu uomo corrottissimo,
uu) malvisto dal popolo e da una parte
della gerarchia ecclesiastica. Al momento dell’invasione tedesca del 963 fu
vv) deposto da un sinodo illegittimo
convocato a Roma dall’Imperatore Ottone I (il 6-11-963), ma Giovanni XI
ww)
tornò al potere poco dopo rientrando
nell’Urbe e sconfessando, a sua volta, il nuovo pontefice filo-imperiale
xx) con un contro-Sinodo tenuto nel
febbraio del 964.
yy) C2. (ex 1°) Deodato
zz)
C3. (ex 2° ?, alcuni
studiosi lo ritengono nipote di Alberico, figlio di un non ben documentato
Teofilatto e di una Marozia dei
aaa)
Crescenzi. Per motivi cronologici
sembra piuttosto essere stato un figlio minore di Alberico II e della senatrice
Stefania. A
bbb)
sostegno di questa ipotesi c’è il
fatto di apparire nelle cronache solo verso il 980 ad una età che si aggira
attorno ai trent’anni)
ccc)
Gregorio I “de Tusculana” (+ poco dopo
1002/ante 1012), Signore di Galeria, Arce e Preneste, fu il primo
ddd)
della
famiglia a portare il titolo di Conte di Tuscolo
(nota : probabilmente il titolo di “Conte” derivava dalla carica di
eee)
Conte del Sacro Palazzo Lateranense,
esercitata da Gregorio o da altri suoi parenti diretti), castello che forse fu
costruito
fff) dal padre attorno alla metà del secolo
X. Da Gregorio I in poi tutti i discendenti sono detti Tuscolani. Veniva
ggg)
menzionato con la qualifica di “excellentissimus
vir”. Rettore Apostolico di Sant’Andrea nel 980, Senatore di
hhh)
Roma nel 981; “Praefectus Navalis”
durante la permanenza romana dell’Imperatore Ottone II (982/983), fu
iii)
uomo di fiducia del Papa Silvestro II;
guidò la rivolta contro l’Imperatore Ottone III e fu eletto capo della
jjj)
repubblica romana il 16-2-1001 dopo
l’espulsione dei Crescenzi, ma fu costretto, dai medesimi, a lasciare la
kkk)
carica nel 1002.
lll)
= Maria (+ ante 2-6-1013).
mmm)
nnn)
D1. Alberico
III (+ post 1033/ante 1044),
Conte di Tuscolo, Signore di Arce, Preneste e Galeria, Comes
ooo)
Sacri Palatii Lateranensis e Console.
Il fratello Giovanni XIX lo aveva creato Senatore ma rinunciò al
ppp)
titolo per assumere quello meno
appariscente di Console e per evitare tensioni con l’Imperatore Enrico II,
qqq)
protettore politico del fratello. Alla
morte di Papa Giovanni XIX rifiutò la successione al soglio pontificio
rrr) in favore del giovane figlio. Da
quanto riportato indirettamente nelle fonti dell’epoca sembra essere stato
sss) il figlio maggiore di Gregorio I.
ttt) = Emmelina
uuu)
vvv)
E1. Gregorio
II (+ post 1054/ante 1058),
Conte di Tuscolo, amministrava Roma con la carica di Console.
www)
Si conoscono pochissimi particolari
sulla sua persona e solo in relazione alla storia del fratello papa.
xxx)
Nel 1044 guidò la spedizione che
restaurò Benedetto IX a Roma.
yyy)
= ………..
zzz)
bbbb)
A1. Tolomeo I, Conte di
Tuscolo, Console di Roma.
= ……..
B1. Tolomeo II (+
post 1153), Conte di Tuscolo, Prefetto di Roma nel 1116.
= Berta Pierleoni, di nobile casata romana
C1. Rayno
C2. Giordano (+ ca. 1167), Conte di Tuscolo e Signore di
Gavignano.
= …….
D1. Giovanni,
Signore di Gavignano. Ultimo signore del castello di Tuscolo, che fu raso al
suolo nel 1191 dalle
truppe pontificie.
D2. Tolomeo
C3. Gionata
A2. Pietro Colonna (Petrus de
Columna – nota: il cognome
Colonna viene generalmente indicato come derivante dal
nome dell’omonimo castello posseduto dal fondatore del casato; tale
castello è menzionato per la prima volta come
possedimento dei Tuscolani in un diploma datato 1-1-1047. Secondo
altre ipotesi, altrettanto valide, il cognome sarebbe
stato originato dalla residenza romana della famiglia, nel quartiere
della Colonna Traiana, a Roma) (* ca. 1078 + ca.
1108), Signore di Colonna, Monteporzio, Zagarolo e Gallicano e forse di
altre terre portate in eredità dalla moglie. La
parentela con Gregorio III Conte di Tuscolo è conosciuta solamente
attraverso un documento concernente una sua
donazione, fatta al monastero di Monte Cassino, in cui dichiarava di
esserne il figlio.
= Contessa Elena Signora di Palestrina, vedova di un Donodeo e forse
parente del Papa Pasquale II.
B1. Pietro (+ post 1118),
Signore di Colonna, Monteporzio, Zagarolo, Gallicano, Cave e Palestrina; ebbe
una violenta
lotta con il Papa Pasquale II per il possesso di Palestrina, Zagarolo
e Cave tra il 1108 e il 1118.
= ………
C1. Carsidonio (+ post 1152), Signore di Colonna, ricordato con il
fratello Oddone in un atto del 1152 in cui
vendeva al Papa Eugenio III parte dei suoi beni presenti Tuscolo.
C2. Oddone (+ post 1152), Signore di Colonna, Monteporzio,
Zagarolo, Gallicano e Palestrina.
= ……….
D1. Giordano (+ post 1188), Signore di Colonna, Monteporzio, Zagarolo, Gallicano e
Palestrina, citato
nell’atto di concordia stipulato tra Papa Clemente III e il Senato di
Roma.
= …..
E1. Giordano (+ post 1252), Signore di Colonna, Monteporzio, marchese di Zagarolo, Gallicano e Palestrina
= Francesca, figlia di Paolo Conti, feudatario e nobiluomo romano
Federico Colonna detto Romano (+ post 1255) figlio di Giordano Colonna
marchese di Zagarolo, si trasferisce in Sicilia; Capitano Generale della
Sicilia nel 1223. I suoi discendenti assumono il cognome Colonna Romano. Alcuni storici dubitano che sia stato fratello dell’Arcivescovo
di Messina Giovanni Colonna. Sposa (dotali: Messina 1225) Lucrezia d’Anicia, Nobile di Messina, erede della terra di Savoca.
La gens
Anicia
era una delle famiglie della
Repubblica e dell'Impero romano. Anici
(lat. Anicii). - Famiglia romana originaria di Preneste. Durante l'epoca
repubblicana poco emerse nella vita pubblica: essa contò infatti tra i suoi
membri un solo console, Lucio Anicio Gallo, che come pretore vinse (168 a. C.)
Genzio re dell'Illiria e ottenne il consolato nel 160. Durante l'Impero gli A.
raggiunsero grande splendore, occupando cariche importanti. Nel 4º sec. la
linea maschile si spense, ma il nome fu continuato per discendenza femminile
mediante imparentamenti con altre nobili famiglie (Amnii, Pincii, Petronii, Annii,
Auchenii). Gli A., convertiti al cristianesimo, combatterono la vecchia nobiltà
pagana. Alla gente Anicia appartennero Petronio Massimo
e Olibrio imperatori, Boezio, Gregorio Magno
Flavius Anicius Olibrius Imperatore dell’ Impero Romano
d’Occidente + 472 Sposa Placidia
figlia dell’Imperatore Valentiniano III e Licinia Eudosia.
A1. Antonio
A2. Giovanni, Stratigò
di Messina nel
1310.
= Olivetta Saccano
B1. Federico, compra la terra di
Palizzi, Giudice di Messina nel 1276, Stratigò di Messina nel 1310.
B2. Maestro Cristoforo (+ Messina 1347, testamento: 28-4-1347), di professione
faceva il medico in Messina; 1°
Barone di Cesarò con Privilegio datato Casale
di Odorgrillo 9-1-1334 jure francorum, con
l’obbligo di presentare
una balestra in tempo di guerra; Stratigò di
Messina nel 1320 e 1328, Protomedico del Regno di Sicilia, ebbe in
concessione il feudo di onze 48 annuali sui
proventi del macello di Palermo.
= 1320 Lucia Chiaromonte, figlia di Manfredi
Conte di Modica
C1. Giovanni Antonio, 2° Barone di Cesarò
(senza investitura) dal 1347, ebbe in concessione anche i feudi di
Salina, Pantano di
Rovetto della Marina di Noto.
C2. Tommaso (+ Messina 1413), 3° Barone di Cesarò e della terra e feudo
di Santa Lucia; 1° Barone di
Fiumedinisi con Privilegio del 15-5-1392;
rinuncia al feudo delle 48 onze annuali sul macello di Palermo in
cambio del reddito della gabella del biscotto,
sego e canape di Palermo (concessione del 7-4-1393); Signore
di Mascalucia e Calatabiano nel 1395, Signore
di Montalbano con concessione datata Siracusa 15-11-1396
avuta in cambio della cessione di Calatabiano;
ebbe delle concessioni feudali a Licata nel 1398, Signore di
Savoca, Sant’Alessio, Bissana, Gisia, e
Favarotta; Gran Giustiziere di Sicilia il 23-12-1398, giura fedeltà al
Re di Aragona e Sicilia nel 1412, e Senatore di
Roma; 1° Barone di Fiumedinisi con privilegio del 15-5-1392.
= ……..
D1. Cristoforo (+ 1453), 4° Barone di Cesarò, Sant’Alessio, Savoca e
Signore di onze 40 annuali sopra la
Regia Dogana di Messina (investito il
14-5-1420).
= …….
E1. Giovanni Antonio (+ 1455), 5° Barone di Cesarò e Signore di 40 onze annuali
sopra la Regia
Dogana di Messina (investito il 20-7-1453),
permuta Salina (Pantano del Rovetto) in cambio di alcune
terre a Noto con atto del 12-11-1453.
= ……..
F1. Tommaso, 6° Barone di Cesarò e
Signore di 40 onze annuali sopra la Regia Dogana di Messina
(investito il 10-10-1455).
= ………..
G1. Giovanni Antonio, 7° Barone di Cesarò e
Signore di onze 40 annuali sopra la Regia
Dogana di Messina (senza investitura).
G2. Paola, 8° Baronessa di Cesarò
e Signore di 40 onze annuali sopra la Regia Dogana di
Messina (investita l’11-4-1514 e 28-7-1515).
= Gian Giacomo Colonna Romano Barone di Fiumedinisi (vedi/see) oltre)
D2. (Secondo lo Spucches era terzogenito, in
questa posizione per Litta e Imhoff) Filippo, 2° Barone di
Fiumedinisi ante 1408.
= ………
E1. Maria
= Bernardo Calafato
E2. Nicolò, 3° Barone di
Fiumedinisi.
= ………
F1. Tommaso, 4° Barone di
Fiumedinisi, ambasciatore del Re d’Aragona nel 1445.
F2. Giovanni Francesco, 5° Barone
di Fiumedinisi (investito l’8-3-1505).
= ……….
G1. Matteo
G2. Giovanni Giacomo Mariano, 6° Barone
di Fiumedinisi (investito il 17-10-1524).
= Paola Colonna Romano 8° Baronessa di Cesarò (vedi/see) sopra)
H1. Nicolò (+ 1574), 7° Barone di Fiumedinisi (investito il
31-1-1538), 9° Barone di
Cesarò
e Signore delle 40 onze annuali sopra la Regia Dogana di Messina (investito il
29-3-1544 e con Fiumedinisi 11-12-1557),
Senatore di Messina.
= Agata Staiti
I1. Antonio, 8° Barone di
Fiumedinisi,10° Barone di Cesarò e Signore delle onze 40
sulla Regia Dogana di Messina (investito il
1-4-1574); Capitano Giustiziere di
Palermo
1576/1577.
= Simona Ruiz Signora di Santo Stefano
J1. Mario, 9° Barone di
Fiumedinisi, 11° Barone di Cesarò e Signore delle onze
40 sulla Regia Dogana di Messina (investito il
19-4-1589 e 20-7-1600),
Pretore di Palermo.
= Ippolita Statella dei
Marchesi di Spaccaforno
K1. Antonino, 10° Barone di
Fiumedinisi, 12° Barone di Cesarò e Signore di
onze
40 sulla Regia Dogana di Messina (investito il 4-5-1605), Capitano
Giustiziere di Palermo nel 1577.
= (dote: Messina 26-5-1605) Isabella Lanza,
figlia di Pietro Barone del
Mojo e di Silvia Abate
L1. Placido, 11° Barone di
Fiumedinisi e 13° Barone di Cesarò e
Signore delle 40 onze sulla Regia Dogana di
Messina (senza
investitura).
K2. Giuseppe, 12° Barone di
Fiumedinisi e 14° Barone di Cesarò e Signore
delle onze
40 sulla Dogana Regia di Palermo (investito il 9-10-1610).
=
Maria Antichi, figlia di Tommaso Barone di Giancascio (Jancascio);
(15°) Baronessa di Cesarò e (12°) Baronessa di
Fiumedinisi investita il
22-3-1622 per espropriazione, ma in seguito i
feudi furono restituiti
al marito.
L1. Margherita
= Don Pietro Branciforte Principe di Leonforte (vedi/see)
L2. Tommaso, 13° Barone di
Fiumedinisi e 15° Barone di Cesarò e
Signore di onze 40 sopra la Regia Dogana di Messina per
rinuncia
del padre (investito il 2-4-1649), Barone di Jancascio e
Realturco
dal 1666.
a) = Margherita La Restia
b) = Eleonora Caterina Cirino (+ post 26-7-1699).
M1. Don Calogero Gabriele (+ Palermo 30-7-1740), 16°
Barone di Cesarò e 14° Barone di Fiumedinisi
per rinuncia
paterna (investito il 7-8-1666), Barone di
Jancascio e di
Realturco e Signore delle onze 40 sulla Regia
Dogana di
Messina; 1° Duca di Cesarò (per rinuncia del
suocero) e 1°
Marchese
di Fiumedinisi con Privilegio datato Madrid 1-10-
1694 (esecutivo: Palermo 7-1-1695), compra la
baronia di
Godrano; Deputato del Regno di Sicilia nel
1698, Pretore di
Palermo nel 1704/1705 e 1707/1708, Maestro
Razionale
del Supremo Magistrato del Real Patrimonio,
Maestro di
prova della zecca del Regno, Deputato del Regno
di Sicilia;
a) = 1680 Donna Anna Maria Ruffo, figlia di Don
Antonio 1°
Principe della Scaletta e di Alfonsina Gotho
dei Baroni
della Floresta (* 27-6-1655 + ?) (vedi/see)
b) = (dotali: Palermo 25-11-1689) Donna Rosalia Joppolo,
figlia ed erede di Don Giovanni Antonio Signore
di Joppolo
e Conte di Sant’Alessio, Presidente del Real
Patrimonio,
Vicario Generale di Messina e Reggente del
Consiglio
Supremo d’Italia e concessionario del ducato di
Cesarò
dell’Isola con Diploma datato Madrid 10-8-1693
(esecutivo il 1-10-1693 ma il titolo venne
ceduto il 17-6-
1694 al genero Colonna Romano).
N1. (ex 1°) Donna Leonora
= Palermo 22-6-1701 Don Antonio Ruffo 3°
Principe della
Scaletta (vedi/see)
N2. (ex 2°) Don Giovanni Antonio (+ Livorno 12-1764),
rinuncia alla successione perché divenuto
sacerdote da
vedovo.
= Donna Eleonora Branciforte, figlia del Duca
Don Ercole
Michele 8° Principe di Butera e di Donna
Caterina
Branciforte dei Principi di Butera (vedi/see)
O1. Donna Rosalia
= Don Luigi Ruggero Ventimiglia 12° Principe di
Castelbuono (vedi/see)
O2. Don Calogero Gabriele, 2° Duca di Cesarò,
2° Marchese di Fiumedinisi, Conte di
Sant’Alessio,
Barone di Godrano (titolo venduto l’8-5-1763),
Barone di Jancascio e Realturco, Signore di
Joppolo,
Signore di onze 40 sulla Regia Dogana di Messina
(investito nel 16-4-1744, con Lettere Viceregie
del
24-4-1744); Cavaliere dell’Ordine di Malta dal
8-1751, Maestro di prova e Capo della zecca di
Palermo.
a) = Palermo 4-2-1743 Donna Melchiorra
Ventimiglia,
figlia di Don Antonio 1° Principe di Grammonte
e
Conte di Prades e di Donna Giovanna Spinola
Principessa di Grammonte (+ Fiumedinisi 4-2-
1773) (vedi/see)
b) = Palermo 30-7-1785 Giovanna, figlia di Francesco
Ayala, già vedova di Don Giuseppe Maggiore
P1. (ex 1°) Donna Vittoria
= Don Salvatore Gravina Principe di Comitini
P2. (ex 1°) Donna Giovanna
= Don Alessandro Galletti Marchese di Santa
Marina
P3. (ex 1°) Don Giovanni Antonio (* 1744 +
Fiumedinisi 12-1793), 3° Duca di Cesarò, 3°
Marchese di
Fiumedinisi, Conte di Sant’Alessio,
Barone di Jancascio e Realturco, Signore di
Joppolo e Signore di onze 40 sulla Regia Dogana
di Messina; Governatore del Monte di Pietà a
Palermo, Maestro di prova della zecca di
Palermo.
= Palermo 1785 Donna Eleonora Requesens e
Branciforte, figlia di Don Giuseppe Antonio
Principe di Pantelleria e di Donna Maddalena
Branciforte e Branciforte dei Principi di
Butera
(+ Palermo 6-5-1823).
Q1. Don Calogero (* Palermo 1788 + 1839), 4°
Duca di Cesarò, 4° Marchese di Fiumedinisi,
Conte di Sant’Alessio, Barone di Jancascio e
Realturco, Signore di Joppolo e Signore di
onze 40 sulla Regia Dogana di Messina dal
1793, Pari del Regno di Sicilia per Cesarò
e Reitano 1812/1839.
= Palermo 4-6-1806 Donna Girolama (o
Emilia)
Filingieri e Alliata, figlia di Don
Bernardo 5° Principe di Mirto e di Donna
Vittoria Alliata dei Principi di Villafranca
(* 31-3-1780 + 18-4-1864) (vedi/see)
R1. Donna Eleonora (* 2-4-1807 + 189…)
= Cavaliere Gioacchino Spinelli dei
Baroni di Scala
R2. Don Giovanni (* Palermo 6-1-1810 +
ivi 24-1-1869), 5° Duca di Cesarò, 8°
Duca
di Reitano, 5° Marchese di
Fiumedinisi, Conte di Sant’Alessio,
Barone di Jancascio e Realturco, Signore
di Joppolo e Signore di onze 40 sulla
Regia Dogana
di Messina 1839/1869,
Pari del Regno di Sicilia 1839/1848;
Governatore della provincia di Palermo
nel 1860, Senatore del Regno d’Italia,
Prefetto di Bergamo e Siracusa, Gran
Ufficiale dell’Ordine dei Santi Maurizio e
Lazzaro e Commendatore dell’Ordine
della Corona d’Italia.
= Maria Giuseppa De Gregorio, figlia di
Francesco De Gregorio Cardillo dei
Marchesi di Poggiogregorio e di Donna
Maria Felicita Alliata dei Duchi di
Saponara (* 1817 + 12-2-1868).
S1. Don Calogero Gabriele (* Messina
30-4-1841 + Livorno 8-7-1878), 6°
Duca di Cesarò, 9° Duca di Reitano,
6° Marchese di Fiumedinisi, Conte di
Sant’Alessio,
Barone di Jancascio e
Realturco, Signore di Joppolo e
Signore di onze 40 sulla Regia Dogana
di Messina dal 1869; Deputato
italiano,
letterato e pubblicista.
= Livorno 7-1876 Emelina o Edith,
figlia del Barone Isacco Sonnino
(* Livorno …...+ post 1905),
sorella
del Ministro Sidney Sonnino.
T1. Don Giovanni Antonio (* Roma
22-1-1878 + ivi 7-11-1940), 7°
Duca di Cesarò, 10° Duca di
Reitano, 7° Marchese di
Fiumedinisi, Conte di S. Alessio
Barone di Jancascio e Realturco,
Signore di Joppolo e di onze 40
sulla Regia Dogana di Messina dal
1878 (titoli riconosciuti nel 1902);
Consigliere provinciale
d’Agrigento,
Consigliere del
mandamento di Raffadali,
Consigliere per il mandamento
d’Aragona, Consigliere comunale
di
Palermo, Deputato eletto al
parlamento italiano nel 1909,
1913, 1919, 1921 e 1924,
Ministro delle poste e Presidente
della Commissione Parlamentare
per gli Affari Esteri e le Colonie;
letterato e pubblicista.
= Roma 21-4-1920 Barbara,
figlia
del Conte Paolo Antonelli
e di Elena Zarin (+ Roma 11-
8-1969).
U1. Donna Simonetta (* Roma
1922)
a) = 1946 il Conte Don
Galeazzo Visconti dei
Duchi di Modrone (vedi/see)
divorzia a Roma il
23-3-1959;
b) = Alberto Fabiani.
U2. Donna Mita (* Roma 26-9-
1923 + 14-2-1985)
= 16-4-1945 Uberto Corti
dei Marchesi di Santo
Stefano Belbo, Patrizio di
Pavia (vedi/see)
S2. Don Francesco (* 12-9-1845 +
21-8-1879), Duca di Reitano.
= Palermo 23-2-1870
Caterina
Cammarata (* Corleone 1852 + ?).
T1. Donna Giuseppina (* 9-11-1870
+ 8-2-1880).
T2. Don Giovanni Antonio
(* 16-9-1873 + 22-1-1893),
Duca di Reitano.
R3. Donna Vittoria (* 1816 + 189…)
= Louis Granet
P4. (ex 1°) Donna Rosalia
= ……… Barone Calciaria
P5. (ex 1°) Don Luigi
= Giuseppina Anfossi
Q1. Donna Melchiorra
= Don Vitale Massa Principe di Castelforte (vedi/see)
Q2. Don Pietro, monaco benedettino
nella
Congregazione di Monte Cassino.
Q3. Don Calogero
Q4. Donna Rosalia
Q5. Don Giovanni Antonio, monaco
Benedettino nella Congregazione di Monte
Cassino
P6. (ex 1°) Donna Eleonora (* 1746 + ?)
= Palermo 21-4-1768 Don Federico Spadafora 7°
Principe di Maletto (vedi/see)
N3. (ex 2°) Giovanna
=
Arnoldo di Santa Colomba Conte di Isnello
M3. Don Francesco (+ testamento: 22-6-1649), 1° Duca di Reitano
con privilegio datato Madrid 13-3-1639
(esecutivo 2-3-1641);
Governatore della Compagnia dei Bianchi di
Palermo nel 1633,
1634, 1644 e 1645, Avvocato fiscale e Giudice a
Palermo nel
1634, Capitano Giustiziere di Palermo nel
1634/1635, Tesoriere
Generale del Regno di Sicilia.
= Margherita del Colle
N1. Don Antonio (+ 26-2-1702), 2° Duca di Reitano investito
15-7-1650 e 16-9-1666, Barone di
Biscotto dal 1637,
Governatore della Compagnia dei Bianchi a
Palermo nel
1667, Governatore del Monte di Pietà di Palermo nel 1672,
1673 e 1675.
a) = Donna Flavia de Leyva, figlia ed erede di Don
Luigi
Conte di Monza e di Giovanna Sammaniati
Baronessa
di Sabuci (+ Palermo 29-7-1645);
b) = (dotali: Palermo 4-11-1652) Flavia Alliata,
figlia di
Giuseppe 2° Barone della Scanatura e di
Margherita
Giardina e Bellacera (+ Roma 1720) (vedi/see), già vedova
di Don Antonino Lucchesi Palli 2° Principe di
Campofranco.
O1. (ex 2°) Donna Margherita (+ Villafranca 16-1-1700)
= Palermo 25-8-1681 Don Francesco Alliata 3°
Principe di Villafranca e 3° Duca di Salaparuta (vedi/see)
O2. (ex 2°) Don Ferdinando, 3° Duca di
Reitano e 2°
Barone di Biscotto dal 1702 (investito il
23-2-1703),
Governatore del Monte di Pietà di Palermo nel
1701/1702, Governatore della Compagnia dei
Bianchi
a Palermo nel 1704.
O3. (ex 2°) Don Mario (+ Palermo 31-1-1738), 4° Duca
di Reitano e 3° Barone di Biscotto (investito
il 31-7-
1720).
= Donna Caterina Giglio, figlia ed erede di Don
Girolamo Principe di Lascari e Torretta e di
Donna
Laura Filingeri (+ Reitano 7-9-1725), investita
del
principato paterno il 20-9-1717.
P1. Don Antonio (+ Reitano 22-11-1750), 5° Duca di
Reitano
e 4° Barone di Biscotto, 1° Principe di
Lascari e Torretta investito l’11-7-1744.
= Donna Anna Maria Gravina, figlia di Don
Ferdinando Principe di Comitini e di Donna
Antonia Gravina dei Principi di Ramacca (+ post
1753).
Q1. Donna Maria Caterina
= 22-1-1766 Don Giulio Tomasi 7° Duca di
Palma e 6° Principe di Lampedusa (vedi/see)
Q2. Don Mario (* 1749 + Palermo 18-12-1828),
2° Principe di Lascari e della Torretta, 6°
Duca
di Reitano e 5° Barone di Biscotto investito il
15-4-1752; compra il feudo di Francavilla
Oliveto il 13-11-1759.
=
1768 Donna Caterina Oneto e Gravina, figlia
di Don Francesco Principe di San
Bartolomeo e di Donna Stefania Gravina e
Moncada
dei Principi di Montevago
R1. Don Antonio (* Palermo 1770 + ivi 4-
10-1839),
3° Principe di Lascari e della
Torretta, 7° Duca di Reitano,
6° Barone
di Biscotto e Barone di Francavilla Oliveto
dal 1828.
= Palermo 1796 Donna Anna Vanni, figlia
di Don Gaetano Ignazio 2° Duca di
Archirafi e di Desiata Inveges dei
Baroni del Ponte di Sciacca (* 1778
+ ?) (vedi/see), separati.
R2. Don Francesco Paolo (+ Palermo 27-6-
1837).
R3. Donna Marianna
= 24-9-1797 Don Giovanni Carmelo De
Gregorio e Oneto Marchese del
Parcoreale
Q3. Don Antonio (+ Palermo 1800), monaco
benedettino,
Vescovo titolare di Filadelfia e
Abate di Santa Maria di Pedales.
N2. Don Pietro (+ 7-1652).
M4. Biagio, divenne
Canonico di Catania da vedovo.
= Beatrice Asmondo
N1. Francesco,
visse a Catania.
= Anna Gioeni
O1. Antonio
L2. Cesare
L3. Cornelia
=
Vincenzo Colonna Romano (vedi/see) oltre)
J2. Eleonora
= ……. Barone di Calatafimi
J3. Cornelia
= ……… Barone d’Andrea
G3. Beatrice
=
Don Antonio Marchesi dei Principi della Scaletta
G4. Agata
= Paolo Moleti
D3. (Secondo lo Spucches era secondogenito) Giovanni/Giovannello (+ premorto al padre), 2° Barone di
Montalbano per donazione paterna del 20-4-1402.
= Agata Filangieri
E1. Giovanni, 3° Barone di
Montalbano (investito nel 1453).
= Beatrice Barrese (secondo lo Spucches sposa
Costanza de Monterabio)
F1. Bartolomea
= 1465 Guglielmo Raimondo V Moncada Conte della
Noara (vedi/see)
F2. Tommaso, 4° Barone di
Montalbano (investito nel 1463, già confiscato per omicidio).
a) = Flavia Spadafora
b) = Giacomella de Balsamo
G1. Girolamo (+ assassinato …….)
= Eleonora, figlia di Giovanni Enrico Balsamo
H1. Angelica o Angela (+ post 1495), pretendente alla successione di Montalbano.
G2. Pietro, 5° Barone di Montalbano
per donazione paterna (investito nel 1495 e 22-12-1516).
= Bartolomea Colonna Romano di Fiumedinisi
H1. Antonio/Antonino, 6° Barone
di Montalbano (investito il 15-6-1519), Secreto della
città di Termini, 1° Barone del Ponte di
Termini (ponte da lui costruito per lo scarico delle
merci a Termini e su cui faceva pagare un dazio
con privilegio perpetuo, con l’obbligo di
prestare un cavallo armato in tempo di guerra
per ogni 20 onze di rendita) investito il
20-12-1516.
= Beatrice Ventimiglia
I1. Vincenzo (+ post 1539), 7° Barone di Montalbano (investito il
17-10-1534).
= Cornelia Colonna Romano
J1. Francesco (+ post 1552), 8° Barone di Montalbano (investito il
3-1-1552).
J2. Fabrizio (+ post 1563), 9° Barone di Montalbano (senza investitura
?).
= Giovanna Gioeni (+ dopo il marito).
K1. Vincenzo (+ 9-7-1586), 10° Barone di Montalbano (investito
24-11-1578)
= Cornelia Colonna Romano (vedi/see) sopra)
K2. Antonia, 11° Baronessa di
Montalbano (investita il 5-7-1587 e il 7-8-1600)
= Filippo Bonanno e La Rocca Barone di
Canicattì e 11° Barone di
Montalbano (investito maritali nomine il
5-7-1587)
J3. Carlo
= ………
K1. Un figlia
= Gregorio de Gregori
K2. Francesco
= ………
L1. Niccolò
= Francesca Miquel y Morna, vedova di Vincenzo
Colonna Romano
L2. Paolo, sacerdote.
L3. Carlo, monaco domenicano “frà
Giacinto”.
L4. Mario, monaco domenicano “frà
Tommaso”.
K3. Fabrizio
I2. Giovanni Forte (vivente 1527/1542 ca.), 2° Barone del Ponte di Termini, 1°
Barone
di Resuttano (investito il 4-11-1530).
= Caterina Ventimiglia Baronessa di Resuttano
con i feudi di Rachilebi e Raxafica
(investita il 4-11-1530 e 31-1-1558), figlia ed
erede del Barone Giovan Silvestro
J1. Giovanni Battista, 3° Barone del Ponte di
Termini (investito il 18-1-1541)
= Diana La Farina dei Baroni d’Aspromonte
K1. Giovanni Forte, 4° Barone del Ponte di
Termini (investito il 31-5-1553 e
22-1-1558),
2° Barone di Resuttano con Rachilebi e Raxafica (investito il
1-6-1569, rinnovo del 31-10-1570).
= Giovanna Milanese
L1. Giovanni Battista, 5° Barone del Ponte di
Termini per donazione
paterna (investito il 4-11-1596 e 26-8-1600),
titolo venduto ai Vanni;
3° Barone di Resuttano con Rachilebi, Raxafica
e Irosa (investito il
4-11-1596 e 26-8-1600); vende il feudo di Irosa
con licenza viceregia
del 25-10-1608; vende Resuttano, Rachilebi e
Raxafica ai Di Napoli.
=
Beatrice Bonanno
L2. Agata
= (contratto: Palermo 25-2-1592) Vincenzo
Notarbartolo 3° Barone di
Vallelunga (vedi/see)
K2. Agata
= (contratto: Palermo 10-3-1570) Gaspare
Notarbartolo 2° Barone di
Vallelunga (vedi/see)
I3. Carlo
H2. Cesare
= Caterina d’Amico, da Messina.
I1. Francesco
= Caterina Falcone, da Messina.
J1. Vincenzo
= Aurelia Capponi
K1. Francesco
= Vittoria d’Amico
L1. Cesare, Canonico del Laterano
nel 1655.
L2. Ferdinando
L3. Antonio, viene chiamato a Roma
dal Principe di Paliano nel 1659 e
riconosciuto
come cugino; Nobile Romano, Conservatore di Roma nel
1689, 1693 e 1694.
= Flavia, figlia di Filippo Ruiz Barone di
Castel San Pietro (+ 4-8-1705).
M1. Girolamo (* 1662 + Roma 27-10-1730), Nobile Romano,
Cameriere di Cappa e Spada del Papa, Foriere
Maggiore dei
Sacri
Palazzi Apostolici nel 1703.
= Nobile Maddalena Rosolini (+ Roma 20-2-1756).
N1. Antonio (* 1711 + Roma 2-2-1779), Nobile Romano,
Cameriere Segreto sopranumerario del Papa,
Priore dei
Caporioni nel 1745, Conservatore di Roma nel
1747, 1752 e
1762.
=
1757 Maria Elena, figlia del Conte Pietro Bonarelli
Conservatore di Roma e Patrizio Romano
Coscritto
(* 1728 + 1769).
N2. Vincenzo (+ 2-1-1787), Nobile Romano, Canonico di San
Giovanni
in Laterano 1743/1756, rinuncia; Priore dei
Caporioni nel 1758, Edile delle strade nel 1761 e 1764,
Conservatore di Roma nel 1764, 1766, 1770 e 1783.
= Imperia Boncompagni (+ 1-2-1797), vedova del
Marchese
Spada.
O1. Girolamo (+ 2-8-1814), Nobile Romano, Conte Palatino
Lateranense e Cavaliere dello Sperone d’Oro dal
1769,
Conservatore di Roma nel 1781, 1785, 1793, 1795
e
1798, Edile delle strade, Cameriere Segreto di
cappa e
spada nel 1787, Brigadiere delle Guardie Nobili
pontificie
e Magistrato straordinario nella Giunta nel
1779.
= 1786 Marianna, figlia del Marchese Luigi
Mariano
Bernini, Nobile Romano
P1. Maddalena, Nobile
Romana
=
1814 il Cavaliere Giuseppe Ciampelletti
P2. Imperia, Nobile Romana
= 1817 il Conte Gregorio Zandri
P3.
Conte Palatino Luigi, Nobile Romano
= Giuliana, figlia del Marchese Luigi
Bentivoglio
e
vedova del Conte Paolo Zambeccari Patrizio di
Bologna
P4. Conte Palatino Vincenzo, Nobile
Romano,
Conservatore
di Roma nel 1826 e 1832.
= Donna Clara Colonna, figlia di Don Fabrizio
dei
Principi di Paliano e di Donna Bianca Doria del
Carretto 7° Principessa di Avella (+ Roma 4-10-
1847) (vedi/see)
Q1. Teresa, Nobile Romana
Q2. Antonio, Nobile Romano
P5. Cecilia, Nobile Romana
= 1808 il Marchese Michelangelo Bisleti
O2. Filippo (+ 1827), Nobile Romano, Canonico di San
Giovanni in Laterano.
M2. Filippo (* Roma 18-6-1666 + Tivoli 2-7-1732), Nobile Romano,
Canonico di San Lorenzo e Damaso a Roma,
Canonico di San
Giovanni in Laterano dal 1691.
M3. Gaspare (* 1671 + 1754), Nobile Romano, Caporione
di Trevi nel 1728, Caporione di Trastevere nel
1733.
M4. Mario (* 1677 + Roma 17-1-1703), Nobile Romano.
M5. Francesco (+ Roma 8-10-1749), Nobile Romano, Cavaliere e
Commendatore
dell’Ordine di Malta.
M6. Vittoria ( +
6-6-1753 ), Nobile
Romana.
a) = …….. Patriarca
b) = il Marchese Don Ottavio Rinaldo del Bufalo
della Valle
Patrizio Romano
M7. Barbara (+ 1718), Nobile Romana.
a) = ………. Palombara
b) = ………. Palaggi
c) = il Marchese Giovanni Battista Melchiorri,
Nobile Romano
M8. Maria Chiara, Nobile Romana, monaca
carmelitana nel
monastero di Santa Maria Regina Coeli a Roma.
M9. Maria (+ 1724), Nobile Romana
= Giuseppe Manfroni Nobile Romano e Priore dei
Caporioni
di
Roma nel 1698.
M10. Teresa, Nobile Romana
= ……. Sperelli
L4. Andrea
L5. Giuseppe (+ post 1675), Senatore di Milazzo.
J2. Cesare
= Vittoria di Betto
K1. Francesco (+ Roma 1653), Vicario della basilica costantiniana,
Vescovo di
Castro dal 17-7-1642.
K2. Maria
= Placido d‘Alberto, da Messina
K3. Vincenzo, Giudice del
concistorio di Messina.
= Francesca Miquel y Morna, figlia del
castellano di Milazzo
L1. Cesare (+ Roma 30-12-1668), chiamato a Roma dal Principe di
Paliano nel 1659 e
confermato suo cugino con atto di legge;
Conservatore di Roma, Nobile Romano.
= Flaminia, figlia di Porfirio de Magistris
Nobile Romano e di una
Laurenzi
(+ Roma 1675).
M1. Girolamo (+ Roma 18-12-1724), Nobile Romano.
M2. Federico (* 1653 + 5-9-1711), Nobile Romano, Capitano
della
Guardia Nobile del Papa, Colonnello di reggimento papale.
M3. Ersilia, Nobile Romana
M4. Vincenzo (+ Vienna 1718), Nobile Romano, serve nell’armata
austriaca.
L2. Antonia
= Riccardo Annibaldeschi, Nobile Romano (+
1666).
K4. Giuseppe, monaco cappuccino “frà
Angelico”.
E2. Bernardino (+ post 28-3-1432).
D4. Benedetto, Barone di
Calatabiano nel 1413 (confermato nel 1416), ebbe anche Melazzo e Castroreale e
la Signoria del biscotto, sego e canape di
Palermo.
E1. Tommaso (+ post 1452), 2° Barone di Calatabiano, ebbe il castello
di Sant’Alessio nel 1452.
= Parisia Staiti.
F1. Egidio (+ testamento 1476), Abate di San Pietro e Paolo a Messina.
F2. Giacomella
F3. Vittoria
F4. Antonino
F5. Tommaso (+ testamento 1500), 3° Barone di Calatabiano.
= Giovanna Ruffo
G1. Guglielmo
G2. Guglielmo, Barone di
Calatabiano.
= Betulla del Giudice
H1. Matteo, 5° Barone di
Calatabiano.
I1. Francesco, 6° Barone
di Calatabiano e Barone di Palizzi investito il 9-5-1580.
= Albina de Marco
J1. Scipione, 7° Barone di
Calatabiano e Barone di Palizzi investito nel 1594.
J2. Pompeo, 8° Barone di
Calatabiano e Barone di Palizzi, compra il feudo
di Altavilla nel 1608; combatte a Lepanto e
viene riconosciuto cugino dal
Principe di Paliano.
J3. Giuseppe, 9° Barone di
Calatabiano e Barone di Palizzi investito nel 1638.
J4. Maria
= Giuseppe Colonna Romano (vedi/see) oltre)
H2. Bartolomeo
= Isolda Staiti
I1. Giovanni Guglielmo
= Antonia Scheghes
J1. Giuseppe
= Maria Colonna Romano (vedi/see) sopra)
K1. Chiara
=
Ignazio de Majo
K2. Don Pompeo (+ 1694), 1° Marchese di Altavilla dal 18-3-1646,
10°
Barone di Calatabiano.
= 1638 Donna Giovanna Barile, figlia di Don
Giovanni Angelo 2° Duca di
Caivano
L1. Don Pompeo (+ ucciso in duello 1674)
= ante 1663 Donna Vittoria Barile Duchessa di
Sicignano e
1° Principessa di Spinoso (dal 1682), figlia di
Don Antonio 3° Duca
di
Caivano
M1. Don Giuseppe (+ 1740), 2° Marchese d’Altavilla 1694/1716
(feudo venduto), 11° Barone di Calatabiano poi
2° Principe di
Spinoso, 1° Marchese di Guardia Perticara,
Signore di Accetturo e
Gorgoglione.
Figlia di don Giuseppe marchese di Altavilla sul fiume Silente fu Candida Romano Colonna che sposò il
marchese Bernardo de Natale Sifola Galiani di Casapulla diocesi di Capua il 25
marzo 1797 in s.Marco di Palazzo[1]
La famiglia
COLONNA-ROMANO appartiene a quei Colonna che discendevano dai conti di Tuscolo,
cioè dalla famiglia di Alberico 1° marchese di Camerino e duca di Spoleto che
disposandosi a Marozia [2]
figliuola di Teofilatto e di Teodora, della
potente famiglia che dominava Roma nei primi anni del secolo X, pose su salde
basi la forza e la grandezza della famiglia. Tolomeo 1° estendeva il titolo di Romanorum Consul Excellentissimus, e si
diceva IULIA STIRPE PROGENITUS. Dal conte di Tuscolo, Gregorio II,
nascevano Tolomeo e Pietro che dopo la morte del padre avvenuta prima del 1064,
se ne dividevano la signoria, per modo che a Pietro spettò Monteporzio con le
sue dipendenze, e tra queste il castello della Colonna sulle pendici dei Colli Albani , che diede poi il nome ai
suoi discendenti. Nel 970, papa Giovanni XIII donò il feudo di Zagarolo a sua
sorella Stefania dei conti di Tuscolo. Emersero da questa famiglia diversi
santi e beati, molti cardinali, arcivescovi ed ambasciatori, non ché cinque
papi:
Marozia
San Marcello 304/309.
San Sisto III 432/440,
Stefano IV 768/771,
Martino V 1417/1437.
I Colonna furono creati
marchesi nel 1289.
Federico figlio di Giordano Colonna signore e
marchese di Zagarolo, si era trasferito nell’isola di Sicilia nel 1223 insieme
al fratello Giovanni arcivescovo di Messina indi cardinale si S.R.C. morto nel
1244 e legato pontificio nella quinta crociata, e tenne la carica di capitano
generale dell’imperatore Federico II e per questo si inimicò il papa Gregorio
IV, morì prigioniero degli Orsini. Giacomo morto ad Avignone nel 1318 fu
nominato cardinale dal papa Nicolò III. Salito al soglio papale Bonifacio VIII,
Giacomo gli si oppose fieramente, specialmente perché il papa era della
famiglia dei Caetani, acerrima nemica dei Colonna. Ma il papa spogliò i Colonna
di tutti i beni e dignità per cui dopo una lunga resistenza in Palestrina essi
si dispersero cercando rifugio in Francia. Il re di Francia, Filippo il Bello,
sostenitore della assoluta autonomia e sovranità della monarchia nei confronti
del papato, al rinnovato appello del divieto del pontefice di tassare gli
ecclesiastici, rispose con un rifiuto, riunì gli Stati Generali e nel 1302 sul
presupposto della diretta derivazione divina del potere regale, fu negata la
supremazia pontificia sulla monarchia. Il conflitto ebbe l’epilogo nel 1303:
nel marzo di quell’anno Guglielmo di Nogaret, abile giurista e consigliere del
re in materia religiosa, accusò pubblicamente il papa di usurpazione, eresia e
simonia. Bonifacio VIII annunciò l’imminente scominica di Filippo il Bello, ma
il Nogaret raggiunse Anagni ed arrestò il pontefice. I partigiani francesi
erano capeggiati da Giacomo Sciarra Colonna che avrebbe dato al papa il
leggendario schiaffo detto di Anagni, ricordato da Dante Alighieri nel XX canto
del Purgatorio. Giacomo e Pietro Colonna zio e nipote furono i più agguerriri
oppositori di Bonifacio VIII. Il 3 maggio 1297 Stefano Colonna, altro nipote
del cardinale Giacomo depredò sulla via Appia una carovana di muli che
proveniva da Anagni e trasportava una ingentissima somma (oltre 200.000 fiorini
d’oro) destinata al papa. Bonifacio XVIII convocò i due cardinali imponendo la
restituzione e chiedendo la testa di Stefano. I fiorini furono restituiti, ma
la testa di Stefano no per cui nacque un conflitto. I due porporati si
rifuggiarono nel castello di Lunghezza e da lì pubblicarono un manifesto
sottoscritto anche da Jacopone da Todi, nel quale si dichiarava illegittima
l’elezione di Bonifacio XVIII e si faceva appello al giudizio di un consiglio
generale. Il papa passò al contrattacco. Giacomo e Pietro furono privati della
dignità cardinalizia, dichiarati scismatici e banditi. Poi arrivarono i
durissimi provvedimenti contro l’intera famiglia ed i suoi fautori, con la
confisca dei beni e la privazione dei beni, prerogative e benefici. Quindi
l’azione militare, spinta fino alla conquista ed alla distruzione di molti castelli
degli avversari e soprattutto della cittadina di Palestrina, loro pricipale
roccaforte. I due ex porporati si videro costretti a fare atto di sottomissione
al papa che avvenne in Rieti il 15 ottobre 1298, quindi a prendere la via di un
lungo esilio, che li porterà in Francia. Solo nel 1305 Clemente V li
reintegrirà nella dignità cardinalizia, revocando poi nel 1306 tutti i
provvedimenti che erano stati presi a danno dei COLONNA e dei loro sostenitori.
Stefano assistette al conferimento del lauro poetico di Francesco Petrarca in
Campidoglio ed il poeta gli dedicò la canzone: Spirto gentil. Stefano fu acerrimo nemico di Cola di Rienzo , ad
oltre 80 anni combatté con i figli e nipoti contro il tribuno, ma fu vinto e
perse un figlio ed un nipote. Stefano [3]
riedificò Palestrina e seguì Enrico VIII in Lombardia. Combatté implacabilmente
i Caetani e gli Orsini. Nuovo splendore diede ai COLONNA Oddone che fu eletto
pontefice e prese il nome di Martino V.
Torneo
medioevale
Egli accrebbe la potenza della famiglia con
ricchi feudi nell’Italia meridionale. Del detto Federico, figlio di Giordano
Colonna, chiamato il ROMANO, soprannome che fu ritenuto dai suoi discendenti,
derivarono i baroni di Cesarò e di Fiumedinnisi, rami che nel XV secolo vennero
ad unificarsi elevandosi a Grande Stato per il possesso di vasti feudi di cui
furono poscia duchi e marchesi, nonché baroni di Montalbano; baroni di Palizzi,
marchesi di Altavilla[4]
e principi di San Giovanni a Teduccio (Napoli) e dello Spinoso nel napolitano;
i duchi di Reitano e poscia Principi della Torretta. Antonio e Giovanni figli
del suddetto Federico divisero la loro stirpe in due grandi diramazioni, cioè
quella di Alcamo e l’altra di Messina e di Palermo. Giordano, figlio di Antonio
ebbe nel 1303 dall’imperatore Federico II il feudo di San Teodoro e più tardi
Carlo discendente in linea diretta dal suddetto Giordano, ereditò il ducato di
Rebuttone e della valle del Fico da Elisabetta Garofolo sua madre e nel 1611
ottenne la baronia di Bellavilla. Giovanni capostipite del secondo ramo fu straticò di Messina, carica che sostenne
poi il figlio Cristoforo e più tardi il nipote Tommaso. Federico, figlio di
Giovanni, acquistò dal re Roberto la signoria di Polizzi ed il su detto Cristoforo,
suo fratello, ottenne la baronia di Cesarò che più tardi fu elevata a ducato per privilegio di
Federico II nel 1333. Il su menzionato Tommaso, figliuolo del precedente, per
aver seguito le parti del re Martino ebbe nel 1392 la baronia di Fiumedinnisi,
nel 1395 di Calatabiano e nel 1396 di Montalbano. Egli fu giustiziere del Regno
nel 1397 e quindi senatore romano. Calogero-Gabriele nel 1694 fu investito del
ducato di Cesarò e del marchesato di Fiumedinnisi. Inoltre nell’opera Il Regno di Napoli in prospettiva…,
dell’abate Jo. Bapt.Pacichelli (anno 1703) Biblioteca Nazionale di Francia,
Parigi opere K2266, K2267, K2268 si legge alla “località” ALTAVILLA: «..don
Pompeo COLONNA-ROMANO nel 1608 acquistò Altavilla, restaurò il castello di Roberto il Guiscardo che era stato distrutto nel 1269, vi sono ancora le carceri ed i camminamenti sotterranei, presso Salerno, Valle di Terra di lavoro, il Casale[5]
di San Giovanni a Teduccio (Napoli) trasferito in questo reame da quel di
Sicilia possedendo anche in Calabria le terre di Bianco, Palizzi [6]Pietrapennata
ecc. … Pervenne quindi in Altavilla, che era nel frattempo divenuta
ALTAVILLA-COLONNA, a don Giacomo suo nipote, che la nobilitò con il titolo di
marchesato col quale oggi la gode il sig. don Giuseppe nipote di questi, di
doti assai chiare e degno figlio della signora donna Vittoria Barile coerede
con la signora principessa di Sant’Arcangelo sua sorella dei beni del sig. don
Antonio loro padre de quali è il portione di lei passato l’offizio di
segretario del Regno con terre dell’Accettura, Guardia Gorgoglione e Spinoso in
Basilicata». Il detto Giacomo poch’innanzi introdusse nel territorio di Altavilla
i primi bufali, alla cui diffusione si opposero sia l’Università che i
cittadini poiché provocavano notevoli danni alle difese. Altavilla rimase feudo
dei ROMANO-COLONNA fino agli inizi del 1700. L’arma dei COLONNA-ROMANO di
Palizzi è: di rosso alla colonna d’argento con base e capitello d’oro, coronato
dello stesso.Lo scudo con lembi accartocciati sormontato da un pavone a tutta
ruota.
La
nonna materna, di Candida COLONNA-ROMANO coniugata col marchese Bernardo Maria de NATALE SIFOLA GALIANI, era figlia di don Antonio BARILE marchese
di Mongiuffi località vicino Messina, barone di Melia e Caggi, duca di Caivano
e barone di Sant’Arcangelo. Originari di Napoli e trapiantati in Messina
nel XVI secolo furono ammessi a quel patriziato. Nel 1790 Giovanni fu investito
del feudo di Turolisi. Questa famiglia Barile feconda di molti cavalieri di
pregio ebbe sotto il re Ladislao il contado di Monderifo. Arma: d’azzurro,
al grifo d’oro, attraversato dal lambello di tre pendenti d’oro.
In” Historia
della augustissima famiglia Colonna”:”Origine della famiglia “Romano Colonna”
di Sicilia (Filadelfo Mugnos A.D. 1658)
Dal marchese dottor don Bernardo Maria de NATALE SIFOLA GALIANI e
da donna Maria Candida COLONNA-ROMANO,
nacquero cinque figli:
1. Celestino, m.se, nato in Napoli il 29 agosto 1802, fu
battezzato in San Tommaso a Capuana in Santa Caterina a Formiello. Sposa il 27
novembre 1824 Giuliana Giovene, dei duchi di Girasole, deceduta il 7 luglio 1829 in ed in seconde nozze
Clementina figlia di Gaetano morta il 25 dicembre 1849 in Casapulla ed in
terze nozze il 29 febbraio 1850
in San Marco[7]
Maria Francesca Besagni di Raffaele e Margherita Sabatucci. Scrisse un ode in favore del re di Napoli Ferdinando II di Borbone (Biblioteca Naz. Vitt.Eman.III ,suppl.Palatina B 31 Accademia Poetica Napoli) che recita:
A.S.M.
Ferdinando II delle due Sicilie
OMEN GENETLIACUM
o quanta exempli generoso in principe vis est?
Tu viatando vetas, tu faciendo iubes,
Princeps principium motus: Rex regula vitae:
Circumsert Coelum sidera: Tu populos.
Si mea vota valent, olim annos quot Noe vidit,
Saccula tot vives, Tu Noe noster eris.
Celestino NATALE GALIANI
Regio Giudice
Morì senza figli.
2. Carminio, Giuseppe, Luigi, Andrea, avvocato dell'una e l'altra legge, nato in Napoli il 10
novembre 1805, fu battezzato in San Tommaso a Capuana in Santa Caterina a
Formiello[8].
3. Vincenzo, nato in Napoli il 20 aprile 1806, fu
battezzato in San Tommaso a Capuana in Santa Caterina a Formiello
Carminio fu tumulato nella cappella del Monte dei
Morti in Casapulla. La seconda moglie, Rosa Maria Buonpane, giace nello stesso
loculo, dove successivamente fu posta anche la nipote Giovanna
4. Maria Geronima, nata il 24 giugno 1809 in Casapulla e
deceduta in Casapulla il 12 dicembre 1809 Casapulla.
5.
Giuseppe[9], Maria Pasquale, procuratore del Re, nato in Casapulla l’11 gennaio
1811*, sposò il 21 aprile 1834 in Napoli Carolina figlia di Pietro Reviglione[10]
e della m.sa Giuseppa Borgia, nata il 14 dicembre 1809.
La famiglia de NATALE SIFOLA GALIAN possedeva in quell’epoca, oltre ad altre proprietà, anche la terra di Sant’Andrea de Lagni (60 moggi di prima qualità), altre terre a Casanova (oggi Casagiove) ecc. presso Santa Maria Capua Vetere, luogo detto di Ponte Selice (notizia documentata nel contratto d’affitto conservato nel fondo SIFOLA-GALIANI presso l’Archivio di Stato di Roma Eur datato 29 giugno 1828).
La famiglia de NATALE SIFOLA GALIAN possedeva in quell’epoca, oltre ad altre proprietà, anche la terra di Sant’Andrea de Lagni (60 moggi di prima qualità), altre terre a Casanova (oggi Casagiove) ecc. presso Santa Maria Capua Vetere, luogo detto di Ponte Selice (notizia documentata nel contratto d’affitto conservato nel fondo SIFOLA-GALIANI presso l’Archivio di Stato di Roma Eur datato 29 giugno 1828).
CONTRATTO d'AFFITTO
Vincenzo, procuratore del Re, fu il terzo figlio del marchese don
Bernardo Maria de NATALE SIFOLA GALIANI e di Candida Colonna Romano. Egli fu procuratore del re presso il tribunale civile
del Molise, giudice a latere a Trani 1817-1860, sposò il 10 giugno 1829 Maria Raffaella de
Sortis. Vincenzo scrisse oltre a diversi scritti anche una monografia La giustizia, prima legge cosmologica morale,
discorso letto nell’udienza del 3 gennaio 1842 dallo stesso presso il Tribunale
Civile di Molise[11].
Altra monografia Due Sicilie…. Anno 1840[12].
Da questo matrimonio nacque Marcello ? /? /1832 Trani che sposò (?) / (?) / 18.
Francesca Morlilli; egli decedette il 4 settembre 1880[13].
Essi procrearono Ernesto nato a Vico[14],
nato il 7 luglio 1879, Gennara Maria nata il 20 settembre 1876[15]e
deceduta l’11 dicembre 1880 [16]E
Vincenza nata il 4 gennaio 1859
a Trani e deceduta il 14 gennaio 1859. Da Vincenzo e
Maria Raffaella de Sortis nacque Felice Nicola il 12 novembre 1842 a Campobasso che sposò
il 20 settembre 1877 Addolorata Carbutti, nata ad Eboli. Essi generarono il 24
gennaio 1879 Giacinto[17],
Angelina nata ad Eboli nel 1877/78 e Stella Maria nata nel 1880 e Raffaella.
Vincenzo, generò anche Giulia ed Emilia, nata il 4
dicembre 1839 che sposò il 7 novembre 1869
Carlo Ferrara .
Giuseppe[18], procuratore del RE,
fu il quinto figlio, del marchese don Bernardo Maria, egli procreò Giovanni il
28 gennaio 1835 in
Napoli (battezzato nella chiesa di San Gen), che sposò il 10 settembre 1873
Luigia Arigotti. Era già avvocato nel 1854; Giulia nata il 14 dicembre 1836,
monaca; Luigi nato il 10 dicembre 1838 a Napoli e deceduto in Napoli il 24
dicembre 1838 chiesa di San Gen.(?); altro figlio Luigi nato il 21 aprile 1840
sposò Giulia (?) il 7 luglio 1860 , fu guardia del corpo del re Ferdinando II
di Borbone, carica che assunse il 7 febbraio 1860[19];
Geronima nata nel 1853 e deceduta il 31 maggio 1853.; Giulia nata il 10
Dicembre1836 entrò in monastero.
Carminio,
Giuseppe, Luigi, Andrea de NATALE SIFOLA GALIANI nacque (1805) nel palazzo della propria famiglia nella
strada di Sant’Antoniello (Napoli). Sposò in prime nozze nella cattedrale di
Napoli il 23 ottobre 1828 donna Angela Rosa de Laurentis[20]
di Giovanni e Raffaela Talamo
ed in seconde
nozze avvenute l’8 luglio 1833 donna Rosa Maria Buonpane figlia del nobile
don Nicola di Casapulla[21]
e di Giuditta Natale sempre di Casapulla. Rosa nacque in Casapulla il 17
febbraio 1815 e vi morì il 14 gennaio 1895
PROCESSETTO PRE MATRIMONIALE
di
don Carminio de Natale Sifola galiani e donna
Rosa Buonpane
Stemma dei nobili
BUONPANE
di
Casapulla CE
Particolare di un ambiente in casa di Rosa Maria Buonpane
Candida[22]
figlia del figlio Luigi 1838/1913 per volontà della nipote Teresa. Egli fu
il primo sindaco di Casapulla dopo l'unità d'Italia (dal 1861 al 1864[23]).
Per il suo incarico non volle percepire emolumenti. Al tempo era segretario
comunale Sorbo Stefano. La popolazione di Casapulla ammontava a 2669 abitanti.
Elettori politici iscritti nelle ultime liste: 69. Non vi era sia l’ufficio
postale che telegrafico. Compagnie attive: 1; militi attivi 181; militi della
riserva: 31; mobilizzabili: 21.
Don Carminio ebbe tredici figli. Dal primo matrimonio
nacquero:
2. don Bernardo nato il 20 agosto 1829 e deceduto
il 13 novembre 1865, sacerdote.
Dal secondo matrimonio nacquero:
2. donna Maria nata nel 1835 e deceduta il 7 luglio
1897.
3. donna Filomena nata il 29 aprile 1836 in
Casapulla e deceduta il 14 luglio 1897 in Casapulla.
4. donna Maria Grazia nata il 27 luglio 1837 andata
in sposa al farmacista don Raffaele Iodice il 12 agosto 1867. Generarono
Alfredo che ebbe tre figlie Flora maritata Palazzo di Grazzanise, Bianca
insegnante, Alberto impiegato alla FIAT di Torino. Flora ebbe sei figlie
femmine, una delle quali sposa un capitano somalo, una un ingegnere, vivevano a
Roma.
5. don Luigi nacque nel palazzo avito di
famiglia il 13 ottobre 1838 in Casapulla, sposò l’8 giugno 1867 Teresa Di Sorbo
di Camillo[26],
morì il 18 ottobre 1913[27]
[28].
Avviò una scuola per i bambini poveri del luogo[29].
Sulla sua tomba si legge: Eletta figura di gentiluomo, educatore emerito
pioniere di civiltà per i figli del popolo.
Luigi de Natale Sifola Galiani
Eletta figura di gentiluomo, educatore emerito
pioniere di civiltà per i figli del popolo
6. don Alfonso nato il 21 gennaio 1840 il 13
gennaio in Casapulla e deceduto l’8 luglio 1840 in Casapulla.
7. don Alfonso nacque il 12 gennaio 1843, sposò il
20 gennaio 1884 donna Teresa Pica deceduta il 16 gennaio 1908. Da questo
matrimonio nacquero in Casapulla don Erminio[30]
il 28 giugno 1884, Rosa il 27 gennaio 1887 e Argelia il 20 dicembre 1889.
Di lui ne parla Sidney Sonnino nel suo diario
del 1866:….10° cadetto Alfonso Natale Galiani (probabilmente fu militare).
8. don Vincenzo nacque in Casapulla il 13 dicembre
1845 e sposò in Napoli il 5 gennaio 1876 Giulia de Laurentis di Gaetano e
Romana Carini.
9. donna Giulia nacque in Casapulla il 7 ottobre
1847 [31]e
sposò il 30 novembre 1872 Francesco Pianese, gestore. Ebbe 4 figli: Bartolomeo
geometra[32],
Maria sposata, Armando che sposa Teresina a Casapulla, Enrico. Da Bartolomeo
nacque Umberto che sposa una Natale cugina di zia Ada[33],
Claudio che sposa la cugina Giulia e Franca morta nubile. Da Claudio Nacquero
Mena[34]
che ebbe una sorella Teresa[35],
e Bartolomo[36].
Altri figli di Giulia e Francesco furono: Maria che sposa ?, Armando che sposa
Teresina in Casapulla ed Enrico. Armando ebbe Giulia ? che sposa Paolo Rossi
maresciallo dell'aviazione, generò un figlio che divenne magistrato ed un altro
scemo; altro figlio di Armando fu Mario che divenne magistrato. Enrico ebbe
Giulia che sposò il cugino Claudio Pianese, segretario comunale, come detto sopra.
10. donna Clorinda nata in Casapulla il 22 settembre
1850[37]
e deceduta nello stesso comune il 1° marzo 1851.
11. donna Adelina nacque in Casapulla il 1° aprile
1855[38]
sposò il 20 febbraio 1882[39]
Giuseppe Natale detto Natalone nato nel 1857 in Casapulla. Essa morì il
2 gennaio 1911 a Napoli. I coniugi ebbero 8 figli: Leontina nata il 12 ottobre
1884, insegnante nubile, Bianca Rosa nata il 4 luglio 1886 che sposa Giuseppe,
Luigi nato il 14 luglio 1888 che sposò donna Concetta d’Alessandro di Napoli il
30 aprile 1922, Arturo nato il 20 agosto 1889 e deceduto il 25 giugno 1891,
Rosaria nata il 10 marzo 1892 sposò l'11 settembre 1928 l’avvocato Michele
Tata, nipote dei senatori Silvio e Michele Petrone alti magistrati, essa morì
nel 1956 a Napoli. Francesco nato il 16 gennaio 1895 e deceduto il 17 gennaio
dello stesso anno; Amelia che sposa un italo americano; Emma che sposa
l'avvocato Archeologo Ermanno D'Apollonio di Isernia, morì nel 1957 ebbero vari
figli.
1.
Un aborto
verificatosi a tre mesi cioè a 21 ottobre 1867.
2.
don Camillo
nato il 21 agosto 1868 in Casapulla ed ivi morto il 28 novembre 1868.
3. don Camillo nato il 5 luglio 1872 in Casapulla e
deceduto in Capua il 4 gennaio 1944, sacerdote. Dottore in lettere[42],
Parroco, per volontà del cardinale Alfonso Capecelatro, della Parrocchia di
Santa Maria di Costantinopoli in San Prisco(CE) il 23 luglio 1897 per la morte
del parroco don Domenico Palmieri. Parroco di Sant’Elpidio in Casapulla e poi
di San Marcello Maggiore in Capua. Curò una pubblicazione di brani della Dottrina cattolica del cardinale Capacelatro
ed altro.
Un amico di famiglia residente in Casapulla, il
prof. Raffaele Marmo in una lettera
inviata da Napoli il 5 marzo 1989 a zia Teresa[43]
residente in Caserta, scrive il seguente fatto:
Qualche
vecchio può rammentare ancora la salda e cordiale amicizia che mi legò per
molti anni e fino alla di lui morte al sig. Manlio Natale, una persona che
stimavo per la sua larga erudizione in lettere, filosofia e musica e col quale
mi piaceva di intrattenermi in conversazione sui più disparati argomenti.
Un meriggio del lontano 1947 di pieno luglio,
non ricordo esattamente il giorno, avevo incontrato il sig. Natale all’incrocio
tra la strada provinciale con la vicinale per Caturano nei pressi del negozio
di uno degli Amodio. Proveniva in bicicletta da Santa Maria C. V. ed era
diretto a casa sua. Egli scese dalla bicicletta e si accompagnò a me. Iniziammo
subito una conversazione ad onta dell’ora piuttosto tarda per il pranzo.
Quando giungemmo
a quel largo davanti alla cappella detta di Sant’Antuono[44],
ci fermammo proprio sotto il simulacro del prof. Stroffolini. La via e la
venella, data l’ora calda e meridiana erano letteralmente deserte. All’improvviso ci sentimmo salutare da un sonoro
e largo Buon giorno che ci fece girare verso la provenienza della voce e
vedemmo avanzare dalla stessa via che avevamo percorsa noi a passi larghi e
silenziosi un sacerdote col cappello sulla nuca e le mani dietro la schiena con
le quali reggeva le falde del suo cappottino che portava a dispetto dell’afa.
Buon giorno rispondemmo insieme io e don Manlio e subito ci rituffammo nella
nostra conversazione; ma dopo poche battute don Manlio si arrestò, guardò verso
il sacerdote che frattanto era giunto all’altezza della casa del defunto notaio
di Caprio[45].
Guardò me, guardò ancora verso il sacerdote che si allontanava a passi misurati
ed esclamò col suo vocione di basso: ma quello è Camillo NATALE[46]!
E dopo qualche istante di riflessione mi fece osservare: ma Camillo è morto. Io
che conoscevo don Camillo, pur non avendo dimestichezza, con lui, che pure mi
aveva battezzato, come invece l’aveva don Manlio che era stato e ancora
rimaneva suo amico, mi risvegliai come da un torpore e guardai in direzione del sacerdote che si allontanava
solitario e silenziosamente ma senza fretta verso il trivio da noi detto vigna.
Raggiungiamolo! Dissi all’amico e subito egli, volta la bicicletta che spingeva
a mano nel senso della marcia. E con me con passi che almeno allora ci
sembravano forzati, ci mettemmo all’inseguimento. Può sembrare strano, ma,
nonostante il nostro affrettarci, nonostante l’olimpica marcia del sacerdote,
questi ci tenne sempre distanziati dello stesso tratto fino alla fine della via[47],
quando egli voltò verso il cimitero[48].
Di li a qualche minuto fummo pure noi al trivio, ma il sacerdote era sparito.
Don Manlio che conosceva ad una ad una le persone che abitavano in quel
principio di via[49], entrò
in un portone dopo l’altro per chiedere se avessero visto entrare un sacerdote,
mentre gli tenevo la bicicletta in mezzo alla via, ma nessuno l’aveva visto[50].
Era certamente Camillo! Affermò alla fine don Manlio. Chissà perché s’è
mostrato a noi. In parentesi dirò che don Manlio, dopo quella apparizione
ritornò definitivamente in seno al credo cattolico, dopo un lungo periodo di
miscredenza. E intanto io credetti di trovare la spiegazione e gliela riferii.
«Quell’anno avevo insegnato matematica e fisica presso l’istituto
magistrale di Capua e per gli esami di maturità fui nominato membro interno di
una commissione che ebbe per preside la prof.essa Maria del Re dell’università
di Napoli e che era stata mia insegnante assistente del prof. Del Pezzo, quando
ero studente di quella facoltà. La del Re era stata nominata presidente di due
commissioni, la mia e una parallela e allora nominò me segretario di tutte e
due le commissioni. Per tale incarico ebbi l’incombenza di nominare gli
insegnanti di musica ed educazione fisica tra quelli che avanzavano domanda al
Preside dell’istituto. Veditela tu! Mi disse la professoressa tu conosci la
gente del luogo. E difatti per la musica scelsi una NATALE[51]
che sapevo sorella di miei carissimi amici e nipote di don Camillo, e un’altra
NATALE[52]
da me assolutamente sconosciuta, ma si dichiarava abitante alla stessa mia Via
4 novembre[53]. E
allora senza sapere chi fosse la nominai per l’altra commissione. Solo al
ritorno a casa seppi che si trattava di una delle sorelle di don Camillo che io
da ragazzo ero abituato a chiamare donna Candida e che non sapevo affatto che
fosse diplomata in musica. È forse superfluo notare che quella nomina (ella non
aveva mai insegnato ed era piuttosto avanti con l’età) le aprì le porte
della scuola, dove divenne poi di ruolo, e pare ancora per miracolosa
intercessione del santo Suo fratello, che nella sua onestà aveva lasciato le
sorelle in difficoltà economiche. Ma questa è un’altra storia.
Napoli, 5 marzo 1989
Raffaele
MARMO
Nella biblioteca del museo campano sono state trovate da zia Teresa un ode
ed un profilo dedicato allo zio parroco don Camillo:
AL NOVELLO CURATO
CAMILLO GALIANI NATALE
UN RAPIDO SUONO
DELLA MIA LIRA
IN ARGOMENTO DI STIMA
1898
MARCIANISE
TIPOGRAFIA GIOVANNI LASCO
1898
ODE
Ave, Pievano egregio,
Che nutri alma sublime,
Offro, commosso, un sonito
D’affettuose rime,
Manifestando il giubilo,
Che mi rapisce il cor !
La rara tua modestia,
Che inflora questa riva
Certo si turba all’impeto
Di meritato evviva
Ma tu cortese e tenero,
Perdona al Rimator
Bronzi del sacro tempio,
A festa oggi squillate,
Oggi, fanciulle ingenue,
Un cantico intonate
Al nuovo atleta, al fervido
Degnissimo Pastor -
Egli col guardo all’etere,
Ove l’Eterno ha stanza,
Saprà additarvi il gaudio,
Che i desiderii avanza,
Il gaudio, che s’acquistano
I prodi del Signor -
Saprà placar l’altissimo
Se scotesi la terra,
Se rio malor propagasi,
S’arde fraterna guerra,
Se l’onda irata vedesi
Dalla riviera uscir
Oh! quante volte impavido,
Al buio della Selva,
Sciorre saprà la vittima
Di minacciosa belva
Per ridonarla ai Serali
Che allietano l’empir
Egli rammenta ai giovani
La fedeltà nel petto:
Alle fanciulle predica
Il verecondo affetto
Santifica nel talamo
Il nodo dell’amor
Egli confonde il perfido,
Che a rio furor si desta,
E nel cimier di Satana
Chiude l’iniqua testa
Per attaccar la nobile
Schiera del Redentor
Ei con parola magica,
Che pace e amor dispensa,
Sgombra la ria mestizia
Del prigionier, che pensa
Alla diletta Patria,
Al mesto genitor
Ardente, accorto, vigile,
Contar le agnelle ei suole,
Equando l’alba infiorasi,
E quando ferve il sole,
E quando par che Vespero
Doni un sorriso ai fior
Dal tenebroso secolo
Vi scampa, e vi governa,
Prega l’eterno Artefice
Della Città superna,
E nel burron dei triboli
Rapida luce appar
Ei l’ave dell’Arcangelo
Al bambolo innocente
Impara - assiste all’ultima
Tenzone del morente
Reca sgomento a Satana
Dall’incensato altar
Se avessi la melodica
Cetra del Parzanese,
O del famoso Silvio
Le sacre rime accese,
Sciorre, Pastor, tue laudi
Con più vaghezza, e ardir
Direi - ma già la querula
Squilla della preghiera
Ai dolci amici annunzia,
Che il sol ripiega a sera
Annunzia che le tenebre
Invitano a partir
Addio – di gradi altissimi
In fresca età sei degno
Per rare doti, e nobile
Affetto, e colto ingegno,
Cui fa più bello, ingenuo
Di verecondia il vel
Addio - per te discorrano
Avventurose l’ore
Da te lontana sibili
La freccia del dolore
Né mai procella o turbine
Bruno ti renda il ciel
Addio, ripeto - O siati
Di Prisco il suol dimora
O nel bel ciel di Capua
Vedrai raggiar l’aurora
O sia che lungo tramite
Ambo dividerà.
Volgi un pensier nell’animo
Al mio soggiorno antico,
Torni alla tua memoria
Il rimatore amico,
Il rimator, che un cantico
Spesso per te scorrà
14 Gennaio 1898
SALV. Can.
TARTAGIONE
SILVIO TORRE
Direttore del “Giornale della
Campania”
PROFILI E FIGURE
Il Rev.
Parroco Prof. Natale[54]
(OMAGGIO)
Tipografia Bellomo
L’illustre Uomo ci ricorda tutto un passato
luminoso, di dignità, di operosità, di fierezza, attraverso il cognome legato
alle migliori e più fulgide e radiose vicende nostre ed alle più belle
conquiste della nostra terra! Lavoro, pensiero, azione,affermazioni gagliarde
in ogni campo dell’attività civile, intelletto pari alla grande bontà
dell’animo, benemerito per antiche e generose tradizioni. Dotato di grande
ingegno, di vasta cultura, e di larga preparazione compie il suo dovere con
rarissima abnegazione. È giudizio di tutti. Ha portato e porta alla sua
attività contributo di fede, di esperienza, di amore. Ed è un lavoratore che
alla sua missione nobilissima, consacra il suo cuore con incomparabile ardore,
con fervido entusiasmo, con rettitudine di propositi, elevando se stesso. Il
nostro conterraneo dimostra così, con la sua attività, che è sempre primo nei
cimenti, nell’ardimento, nell’azione per rendere l’opera sua proficua e
feconda. Vorremmo dire molto di più ma il nostro è un profilo ristretto, schematico,
espressione solo dei nostri sentimenti. Non si dolga il chiaro Uomo di queste
parole che non sono di adulazione, dalla quale rifuggiamo. L’intelligenza
sarebbe vana se non fosse accompagnata dall’impulso del cuore: il lavoro
sarebbe sterile se non fosse aggiunto alla comprensione degli altrui bisogni,
la esistenza, insomma, sarebbe miseria
se non fosse abbellita dagli ideali di umanità. Ed Egli aduna in se le qualità
più perfette e più degne. Non superbo, modesto, cortese, egli dà in ogni
manifestazione la impronta della più completa signorilità. Interpretando il
voto unanime, esaudendo un desiderio ardente nostro, gli rinnoviamo la
espressione dei nostri sentimenti di viva simpatia, cordialmente beneaugurando.
Cappella del Monte dei Morti,
sepoltura del parroco dott. don Camillo Natale-Galiani
(Casapulla CE)
Del pro zio Camillo, il Canonico Penitenziere Antonio Casertano scriveva
un Commemorando letto nella chiesa
parrocchiale di San Marcello Maggiore in Capua il dì 7 febbraio 1944:
L’ultima volta lo vidi dinanzi a l’orride rovine del Duomo.Era rimasto
quasi senza parola, come trasognato.Su quel volto emaciato ed esangue si
leggevalo strazio atroce del suo cuore di sacerdote e di cittadino Perché
Camillo Natale, pur non capuano d’origine, amava Capua con appassionata
tenerezza di figlio. E a Capua diede il più e il meglio delle sue ricchezze
interiori. Laureatosi in lettere presso la Regia Università di Napoli, venne
dal Cardinale Alfonso Capecelatro chiamato a insegnar latino nei corsi liceali
di Capua. Erano i tempi in cui il Seminario di Capua toccava il culmine della
sua parabola ascendente. Uomini tra i più colti del Clero archidiocesano ne
tenevano la direzione e v’impartivano l’istruzione. E gli alunni affluivano,
non solo da tutte le zone dell’Archidiocesi, ma pure da tutta la Campania e da
altre regioni meridionali della Penisola: qualcuno veniva perfino dalla
Sicilia. Il novello Professore fu all’altezza del suo compito. Nulla di
asprigno uggioso pesante pedantesco nel suo metodo didattico. In poche e rapide
battute, illuminate d’un benevolo sorriso, rendeva facili le più astruse regole
di sintassi prosodia e metrica, e svelava le bellezze linguistiche stilistiche
e artistiche dei grandi Classici della latinità. Soprattutto amava essere un
educatore. Perché nella scuola non vedeva solo cervelli da imbottir di
cognizioni; ma anime intere da sviluppare armonicamente e aprire agli alti
ideali della vita.
E sapeva trovar lo spunto per accendere ne’ cuori fremiti di vita
religiosa morale e civile. I giovani lo veneravano. E fuori, nel tumulto del
gran mondo, portavan sempre viva nell’animo la cara immagine paterna del
Professor di latino. La la figura di Camillo Natale rifulge particolarmente nel
campo pastorale. Tre parrocchie gli vennero successivamente affidate: la
Parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli, in San Prisco (poco dopo l’Ordinazione
Presbiteriale); quella di Sant’Elpidio, in Casapulla; questa di San Marcello mAggiore, in Capua. In tutte e tre fu
infaticabile Operaio del Vangelo. Specie in questa di San Marcello Maggiore;
ove venne con gran corredo d’esperienze, e ove rimase fino alla sua ultima ora,
per quasi un trentennio. Travagliato dall’ansia bruciante di portare anime a’
piedi forati e insanguinati de l’Amore Crocifisso, non pensava che ai problemi
dello Spirito; non parlava che dei problemi dello Spirito; non viveva che per i
problemi dello Spirito. E dalla sua torrida anima rampollavano luminose forme
di apostolato. Vedeva le chiese deserte? E accendeva le “Lampade Viventi”:
anime cioè che ardono e splendono davanti a Cristo Eucaristia, in rapimento
d’amore. Vedeva la preghiera, sublimazione de l’anime dalle opacità della terra
ai fulgori del Cielo, negletta e schernita? E dispensava migliaia di corone del
Rosario. Vedeva la riluttanza, sempre diffusa, alla legge d’amore e di dolore
del Cristianesimo? E portava nelle case la Croce, abissale poema che da due
millenni canta il più alto Amore e più alto Dolore. Vedeva crescer, anche tra
le classi colte, l’ignoranza religiosa, radice feconda di miscredenza e
d’indifferentismo? E faceva una ristampa di alcuni trattati de”La Dottrina
Cattolica” del Capecelatro: pagine calme ariose soleggiate, che espongono
dimostrano e vigorosamente difendono contro gli assalti della negazione le verità
del Cattolicismo. Vedeva l’istituto familiare disgregarsi sotto l’azione
dissolvitrice d’una torbida mondanità, spensierata e gaudente? E con
l’Associazione Pio X chiamava a raccolta gli Uomini Cattolici per la
restaurazione cristiana della famiglia. Vedeva i fanciulli e i giovani
minacciati dalla corruzione dilagante? E apriva loro la sua casa; dava loro
innocenti svaghi; parlava loro con la voce del cuore; spargeva copiosamente in
quelle vite esuberanti il frumento di Cristo. Vedeva i Soldati sbattuti dal
turbine della vita militare? E li accoglieva ne” La Casa del Soldato” – ove
trovavan qualche comodo e respiravan l’aria corroborante della sanità morale. Vedeva
poveri dibbattersi duramente nella morsa dilacerante della miseria? E, acceso
di carità, soccorreva con larghezza. E non si fermava qui; ma, attraverso la
misericordia corporale, arrivava alle anime e le illuminava. E’ stato detto da
un grande Scrittore e gran Cristiano dei nostri giorni: “A che altro è più
simile un prete santo, se non a un simbolico cero che bruci, consumandosi, tra
Dio e gli uomini, acceso in Dio, splendente per gli uomini?”
Tale fu Camillo Natale.
E ora?
Ora non più lo vedremo. Non più
udremo la sua voce. E’ un mese che il suo sguardo è spento; la Sua bocca è
muta; il suo cuore è fermo. Un male che lo minava da anni lo stroncò Di colpo,
al cadere d’una giornata[55]
laboriosa: Forse in quei supremi istanti gli balenaron a l’anima le parole di
Paolo:”Ho combattuto la buona battaglia; ho terminato la corsa; ho conservato
la fede. Ora m’aspetto la corona della giustizia”. Sopra la sua pietra
sepolcrale potremmo incidere: Passò sulla terra come fiamma inconsumabile
d’amore. Non più lo vedremo. Non più lo udremo. Ma non lo scorderemo mai più.
Dal profondo del nostro essere leveremo per te, o Sacerdote di Cristo,
la preghiera suffragante.
E tu ricordati di noi rimasti tra i fragori e gli orrori
dell’apocalittico ciclone di ferro e di fuoco che da oltre quattro anni
sconvolge il mondo, e ora va riducendo la nostra grande e sventurata Italia, la
terra di Francesco d’Assisi e di Caterina da Siena, in un’immane catasta di
macerie e di cadaveri.
Ricordati di noi.
Prega che sul mondo devastato e insanguinato rifolgori il sole
risanatore e fecondatore della Pace Cristiana.
Altri figli di don Luigi furono:
Un altro figlio nato morto
il 13 ottobre 1874.
sposa il 5 febbraio 1906 Maria Teresa
Trepiccione di Giuseppe, nata in Casapulla il 31 luglio 1879 e ivi deceduta il
17 dicembre 1966.
Carminio[58]
morì in Casapulla il 22 luglio 1950[59].
Fu sepolto nella cappella del Monte dei Morti (primo loculo entrando a destra
piano terra) successivamente fu traslato nella cappella gentilizia costruita
dai figli al lato Est dalla planimetria posta al n.5[60].
Entrambi i coniugi sono riposano nello stesso loculo. Partecipò alla prima
guerra mondiale nell’arma dei carabinieri. Ha svolto in vita l’attività di
sensale.
- 7 donna Rosa nata il
Casapulla il 23settembre 1882[63]ed
ivi deceduta.
- 8 donna Margherita nata
in Casapulla il 9 gennaio 1886 ed ivi deceduta il 5 marzo 1975.
- 9 donna Giovanna
Candida nata in Casapulla il 5 novembre 1889 ed ivi deceduta il 30 giugno 1984.[64]
Insegnante di Pianoforte in Capua.
Nel 1921 Casapulla come
tutti i paesi limitrofi, fu aggregata a Santa Maria Capua Vetere per cui i
casapullesi nati in quell’epoca alla richiesta dei documenti dello Stato Civile
risultano nati in detta città.
Da don Vincenzo di Luigi e da Maria Grazia
GALIANI nacquero:
-
|
don Luigi il 5 ottobre 1902 e
deceduto in Capua il 9 maggio 1988, Sposò in prime nozze la contessa Elvira
Cervoni, in seconde nozze Emilia . Tutti i figli sono di secondo letto..
- don Francesco il 10 marzo 1906[65]*,
che sposò Luigia Merola il 20 aprile 1933 della vicina Curti(Caserta), morì il
12 gennaio 1955 in
Capua e sepolto in Casapulla nella cappella del Monte dei Morti[66]
e successivamente traslato nella cappella di Erennio Natale marito di Maria
Grazia Natale-Galiani.
Da don Carminio di Luigi e da
Maria Teresa Trepiccione nacque:
posta nella cappella patrizia di famiglia
Le esequie avvennero
nella chiesa Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo[72].
Poi fu trasportato nella tarda mattinata a Casapulla, suo paese d'origine, dove
fu celebrata altra cerimonia, con funerale di 1ª categoria e messa cantata,
nell’antica chiesa di Sant’Elpidio. Vi fu grande partecipazione di parenti,
amici e popolo.E' sepolto nella cappella gentilizia di famiglia. Egli all’età
di cinque anni frequentava l’asilo presso le monache di Caserta. Sopravvenuto
il conflitto 1915-1918, il padre Carminio fu richiamato ed assegnato all’arma
dei carabinieri. Poiché Caserta rimane distante alcuni chilometri dal piccolo
centro di Casapulla, Giovanni non ebbe più la possibilità di frequentare la
scuola. Finita la guerra, benché fosse ritornato il papà, egli non volle più
andare a scuola per non frequentare classi con bambini più piccoli di lui.
Carattere orgoglioso ed intraprendente, volle imparare, in Casapulla, i primi
rudimenti di sartoria. A 14 anni si trasferì a Napoli dove si specializzò
ulteriormente nel proprio lavoro nella più esclusiva sartoria napoletana di un
certo sig. Piemontese. All’età di 18/19 anni si trsferì a Roma dove avviò una
una propria attività in via Quattro Fontane di fronte alla villa Barberini.
L'appartamento occupava tutto il primo piano nel palazzo ove oggi è situato
l’albergo Italia. Ebbe molto successo col suo lavoro e si ritrovò con una
ottima clientela tra cui l’ambasciatore della Columbia in Italia, Santos,
propritario del giornale Temply di Bogotà, che gli fece la proposta di
trasferirsi a nel suo paese alla fine del proprio mandato. Era l'epoca in cui
non esistevano gli abiti confezionati e lui aveva il piacere che chi portava i
suoi capi veniva fermato per la strada. Ebbe molti allievi tra cui il
presidente dell'accademia dei sartori Edmondo Avvisati di alcuni anni più grande
di Lui. Edmondo lo considerò pazzo quando chiuse la sua importante sartoria per
intraprendere nuove attività nel mondo del lavoro. Fu amico fraterno del poeta
Raniero Nicolai vincitore delle olimpiadi letterarie di Anversa avvenute 3
ottobre 1920. Nel diploma[73]
consegnatogli. in forma solenne, in Campidoglio in Roma, si legge:
[1] Napoli
[2] Quella di Marozia è una storia
di scandali, delitti, passioni, ma anche la storia di una città e di un pezzo
importante di Medioevo. Spregiudicata, opportunista, corrotta, megalomane,
maestra di intrighi. Attraente e sensuale. Marozia, l’eroina nera degli anni
più neri della Chiesa, fu la grande donna dietro a tanti (piccoli) uomini.
Figlia, cugina, madre e amante di papi, riuscì ad imporsi come il vero centro
di gravità di una Roma che, dopo la rottura con Costantinopoli e la parentesi
carolingia, era collassata nell’anarchia. Nata probabilmente, nell’802, figlia
del potente senatore Teofilatto e della nobile Teodora (o forse degli amplessi
fra quest’ultima e Giovanni da Tossignano, arcivescovo di Ravenna e futuro
pontefice col nome di Giovanni X), Marozia fu l’incarnazione dello scontro per
il potere che si scatenò fra le maggiori dinastie aristocratiche dell’epoca. Sulle rovine dell’Impero Romano d’Occidente e sul vuoto politico che ne
era seguito, il ruolo della Chiesa si era progressivamente consolidato.
Martoriata dai barbari, passata in mani bizantine, messa in ginocchio da
pestilenze e carestie, Roma riconobbe al proprio vescovo un’autorità sempre più
ampia. Nel 756, grazie all’alleanza con i Franchi di re Pipino e poi di Carlo
Magno, fu creato lo Stato della Chiesa, incuneato nella penisola fra mare e
mare: l’ex capitale del glorioso impero, pur dimenandosi tra vicende torbide e
burrascose, tornò ad essere un punto di riferimento politico e religioso. Ma lo
sfacelo dell’egemonia franca, che a lungo aveva sostenuto il papato, trascinò
l’Urbe in una spirale di disordine. Alla fine dell’800, a Roma,
spadroneggiavano una famiglia toscana ed una spoletina: erano loro, imparentate
ma rivali, a nominare e deporre i papi, a convocare i sinodi(assemblee di
ecclesiastici per decidere su questioni normative e di fede), a dettare in
tutto e per tutto la politica della città. Fra lotte di potere ed intrighi di
palazzo, il clero degenerò. Pontefici e prelati vivevano in edifici lussuosi,
fra marmi pregiati ed ori sfavillanti, Si circondavano di servitori e
concubine, organizzavano banchetti e feste mascherate, la mattina – celebrata
la messa – montavano a cavallo e se ne andavano a caccia, seguiti da uno stuolo
di cortigiani. Mai la Chiesa
era caduta così in basso. Neppure dei morti si aveva rispetto. Quando nell’806,
spirò papa Formoso, i signorotti di Spoleto proclamarono papa il figlio di un
prete romano, Stefano VI, e per vendicarsi della politica a loro contraria di
Formoso, inscenarono nei suoi confronti un processo postumo. Accusarono il
cadavere di aver usurpato il trono papale, in quanto al momento della sua
elezione Formoso era arcivescovo di porto, e quindi secondo gli antichi concili
non avrebbe potuto abbandonare la sua sede per diventare pontefice. L’accuse
era un pretesto, ma la condanna (scontata) e gli abusi sul cadavere (mutilato
delle tredita della mano destra con cui si impartisce la benedizione,
decapitato e gettato nel Tevere fra gli scherni del popolino) furono una specie
di consacrazione degli spoletini, Dopo Formoso, in rapida successione, la tiara
passò sul capo di altri otto pontefici. Fino a quando, nel 914, per volere di
Teodora fu incoronato Giovanni X, uomo ambizioso ma buon statista. Marozia
aveva allora poco più di vent’anni ed era non solo la manovratrice occulta
della fazione spoletina, ma l’anima, e soprattutto il corpo, della Chiesa,
dov’era di casa grazie a Teofilatto, padre della ragazza. Era cominciata quella
che il teologo protestante Valentin Ernst Löscher (1673 – 1749) definirà la
“pornografia romana”. Intrigante, bella da togliere il fiato, aveva imparato
presto a giocare le proprie carte. Da almeno otto anni, poco più che bambina
era la donna più ambita nelle stanze romane: raramente si tirava indietro, e
questo accresceva la sua influenza: I papi le erano succubi, il clero, a mano a
mano, si era scordato il messaggio evangelico. «Roma era diventata una città di
bordelli, molti dei quali gestiti dagli stessi cardinali» dice lo storico
Giovanni Di Capua, che a Marozia ha dedicato un libro (edito da Scipioni).
L’elezione dei pontefici divenne una faccenda interna, una partita a scacchi
fra casate: il vicario di Cristi, osserva Horst Fuhrmann, medievalista della
Università di Regensburg (Baviera) «era considerato il candidato ed il
rappresentante di un clan familiare. Non contavano i princìpi morali e
giuridici: figli di papi venivano imposti quali successori sul trono papale, e
molti morivano per cause non naturali». Guadagnatasi l’appellativo di
meretrice, Marozia imitò e superò la madre. Figlia dell’ambiente in cui visse,
non poteva e non sapeva comportarsi diversamente. E lo dimostrò a più riprese.
Morto il suo primo marito, il nobile longobardo Alberico, duca di Spoleto, la giovane
decise di fare piazza pulita intorno a sé: risposatasi con un feudatario della
fazione toscana, un certo Guido, nel 928 fece imprigionare Giovanni X
(sospettato di tradimento e lasciato morire di fame o, forse, strangolato) e –
passati velocemente un altro paio di papi – nel 931 riuscì a mettere sul trono
il giovanissimo figlio Giovanni Xl, nato da una relazione con un altro
pontefice, Sergio lll ,papa dal 904 al 911, suo cugino quando era vescovo di
Porto presso Roma, che Ella fece uccidere stanca di questa relazione. Spiega di
Capua: «Sergio doveva l’onore ed il trono a Teofilatto e, per ricambiarlo,
prese Marozia per amante, quando questa non aveva neppure 15 anni. I due si
dettero alla più sfrenata lussuria nelle stanze papali, e se ne compiacquero in
maniera sfacciata. Giovanni Xl, come molti dei suoi predecessori, del pontefice
aveva solo i paramenti sacri e, naturalmente, non era in grado di governare. Ma
quello era un dettaglio: il papato era concepito come un qualunque principato,
una carica istituzionale, un luogo privilegiato da cui osservare e comandare. E
a comandare, adesso, era Marozia: «Sfortunata negli amori, sgualdrina per
ereditarietà, passò da un’alcova ad un’altra e, grazie al suo corpo, dominò
Roma» dice ancora Di Capua «divenendo una sorta di papessa». Proclamatasi
senatrice e patrizia, le sue ambizioni crebbero insieme alla sua prepotenza.
«Pianificando il matrimonio della sua unica figlia con un principe bizantino,
si illuse di ricostruire il grande impero romano, sognando di diventarne
regina». E quando anche Guido , in circostanze misteriose, morì, Marozia,
quarantenne e analfabeta, colse l’occasione per sposare Ugo di d’Arles detto di
Provenza, re d’Italia(discendente di Carlo Magno), e fratellastro dell’ex
consorte. I due erano cognati e, in teoria non sarebbero potuti convolare a
nozze. Ma il diritto canonico, per chi muoveva i fili della più alta autorità
ecclesiastica, non era un ostacolo. Bastò sostenere che Ugo e Guido non fossero
fratelli (si disse che la levatrice, sbadatamente, aveva scambiato le culle)
perché Giovanni Xl benedicesse l’unione. Era il 932: doveva essere la svolta,
il coronamento di una strategia inseguita, intassellata, giorno dopo giorno,
nella mente di Marozia, Invece, fu il suo errore più grande. Ugo era un uomo
violento, rozzo, avaro circondato da amanti, e l’ Alberico (il primo dei figli
che Marozia aveva avuto dal duca omonimo) inghiottiva amaro: pur non
sopportandolo, era costretto a fargli da paggio e, a volte, a subire qualche
ceffone. Un giorno, a pochi mesi dal matrimonio della madre, il vaso traboccò.
Dopo l’ennesima sberla Alberico corse in città arringò
contro il re la plebe: Castel Sant’Angelo fu circondato e, nonostante Ugo fosse
riuscito a scappare, il rampollo di Marozia prese il controllo della
situazione. Giovanni Xl, messo sotto sorveglianza, scese a patti con il
fratellastro e Marozia, la cui bellezza era ormai sfiorita, dovette alzare
bandiera bianca. Non è chiaro se fu rinchiusa in carcere oppure in un convento.
E’ certo che vi morì intorno al 937, forse per mano di un assassino. Rimossa,
dimenticata dai suoi contemporanei, l’immagine della bella antieroina venne
presto cancellata dalle monete. E Roma? Alberico istaurò una repubblica
popolare e ridusse di molto il potere temporale della Chiesa. Ugo, negli anni
successivi, fece più di un tentativo per riprendere le redini: ma fallì. Nel
gennaio del 935 spirò anche Giovanni Xl e, al suo posto, venne eletto papa
Leone Vll, che si preoccupò di ricreare un minimo di ordine e moralità.
[3] Morto nel 1348.
[4] Oggi Altavilla Silentina, vicino Napoli.
[5]
Con castello.
[6]
(Si legge nel libro del
maestro Fortunato Plutino di Palizzi 10/10/1927-2002: In data 9 maggio 1580 il
feudo di Palizzi con il suo casale di Pietrapennata passa sotto il dominio dei COLONNA
ROMANO. Per compra fatta da don Francesco
COLONNA al prezzo conveniente di 30.000 ducati da Francesco Ruffo Ajerbe
procuratore del fratello conte Alfonso. Finì così a Palizzi, dopo più di tre
secoli e con le alterne vicende, il dominio dei Ruffo, prima, e dei Ruffo
Ajerbe d’Aragona dopo. Don Francesco COLONNA ROMANO (6° barone di Calatabiano
sposato con Albina de Marco) del fu Matteo
(5°barone di Calatabiano) proveniente da Messina entrò in possesso del
feudo col titolo di barone di Palizzi e suo casale di Pietrapennata. Egli
apparteneva a quella nobile famiglia romana dei COLONNA che diede alla Chiesa
alti prelati, ai feudi signori, principi, marchesi, e baroni, ed al Regno di
Napoli e della Sicilia intrepidi condottieri, illuminati ministri e persino
qualche vicere. Basta, per tutti, ricordare quel Marcantonio che da vice
comandante della flotta navale si distinse nella battaglia di Lepanto dirigendo
contro i turchi 203 galee, 50 fregate, una trentina di navi cariche di
vettovaglie e soldati, 6 galeazze, 28 mila soldati, 12920 marinai, 43500
rematori e una potenza di fuoco fornita da 1815 cannoni. Ricordarlo per tener
presente che la sconfitta dei turchi significò anche l’allentamento della
pirateria saracena nel nostro mare. Lo storico calabrese Gustavo Valente nel
suo libro:Le torri costiere della Calabria, ed. Serafino C., 1960, ci ha dato
un saggio poetico del suo immaginare lo stato d’animo della gente che era
esposta a quei pericoli e, di converso, all’esultanza popolare nel veder
veleggiare quella poderosa armata in difesa della cristianità, per ridare
sicurezza alle rotte commerciali, a salvaguardare i porti e garantire
l’incolumità alle popolazioni dei paesi minacciati e spesso vittime del
flagello di quelle ripetute incursioni predatrici e devastatrici. Ma ecco la
scena descritta dal Valente che ci riporta indietro nel tempo. Siamo nel 1571
e … dall’una all’altra sponda, dalle
montagne calabresi che quasi dirupano verso il mare, dalle degradanti terre sicule,
la gente accorsa dai paesi, dai borghi e dai casolari, con bimbi in braccia,
con volti commossi, guarda l’eccezionale spettacolo, e dal cuore si sente
salire una dolce preghiera perché l’esito desiderato coroni l’impresa cui si
avviano i cristiani che hanno le schiere fortemente nutrite di corregionali,
amici e parenti. Il passaggio della proprietà del feudo dal dimesso potere
degli Ajerbe ad un’appartenente a famiglia di tanta eccelsa nomèa sia a Roma
come a Napoli e Messina fu certamente di buon auspicio, anche perché foriero
della buona novità di procedere all’immediato restauro del castello.
Quell’antica svettante acropoli posta a difesa del paese che i conti d’Aragona
Ajerbe, forse dal primo all’ultimo avevano lasciato che andasse in rovina. Il
barone invece, dopo qualche anno dalla sua presa di possesso del feudo, fece
murare sopra l’arco del portone interno del castello una lapide in marmo
brecciato locale in cui si legge: FRANCISCUS
EX ROMANA COLVNNENSIUM FAMILIA MESSANENSIS CASTRUM HOC VETUSTATE COLLAPSUM
RESTAURABAT AN. 1580, Detto questo c’è da aggiungere che tra alcuni
cittadini proprietari di animali ed il barone don Francesco nacquero dei
contrasti fino alla Corte della Vicarìa di Napoli, che stabilì che gli animali
del feudatario si dovessero limitare a
pascolare et acquare in territorio di Amendolara e Palizzi. (Partium
Vol.37, fol.33). Tale decisione fu presa nell’anno 1589. Qualche anno dopo don Francesco, forse per malferma salute,
affidò ai figli l’amministrazione del feudo. Morì nel 1604. Nel 1594 per
rinuncia di Scipione (7°barone di Calatabiano) Colonna figlio di Francesco,
diventò barone di Palizzi e Pietrapennata il fratello Pompeo (8° barone di
Calatabiano) che si fece confermare il diritto di far pagare una imposta ad
ogni barca che caricasse legna. (Partium Vol. 46, fol.55). Dalla stessa fonte
si apprende che don Pompeo si fece rinnovare la concessione Vicereale per l’affitto dei mulini, bagliva e mastrodattìa,
la riconferma di aver cura delle Difese da conservarsi per la Regia razza dei cavalli,
il vincolo che Palizzi fosse passo
proibito e non ultima l’importante decisione della Camera della Sommaria che non
si possono creare(sic) cittadini di detta Terra (Palizzi) dalla terra di
Brancaleone nelle foreste di Votano e Galati. Le quali terre, come
ricordiamo, erano state escluse dalla vendita del 1571 di don Alfonso Ajerbe
d’Aragona perché rivendicate dalla Regia Corte. Per la puntuale osservanza
degli obblighi derivanti dalle concessioni di cui sopra e la riscossione dei
tributi a lui spettanti egli nominò suo Erario per tutto il feudo di Palizzi e
Pietrapennata il nobile Francesco Nesci messinese che qui aveva fissato la sua
residenza e messo su famiglia sposando donna Nunzia Maesano di don Pompeo, come
si riferisce altrove. Risulta che don Pompeo Colonna tenne il feudo fino al
1638. Dal 1638 da don Pompeo, e non si sa se per cessione o successione, il
feudo passò al fratello Giuseppe (9°
barone di Calatabiano)( Francesco ebbe anche una figlia di nome Maria che sposò
lo zio Giuseppe), che licenziò il Nesci ed affidò l’incarico di erario per l’esazione dei pesi fiscali a Giovan
Matteo Tuscano. Nel verbale della visita pastorale del vescovo Contestabile c’è
scritto che questo barone don Giuseppe regalò alla chiesa matrice di Sant’Anna
dei paramenti sacri di pregiata seta. A don Giuseppe Colonna Romano, nel 1640,
successe il figlio Giacomo, meglio
noto come marchese di Altavilla con residenza fissa a Castro Nuovo di San
Giovanni a Teduccio presso Napoli. Già dal momento in cui prese possesso del
feudo si dimostrò inflessibile con i suoi debitori e specialmente con quelli
che non gli fecero pervenire richieste di clemenza o non corsero a pattuire
forme di accordio risolutore. Di
questo suo modo di interpretare il ruolo di padrone e giustiziere, si hanno
tante prove, ma ci si limita a quelle che vengono dai seguenti documenti. Il
primo è un’atto del notaio di Bova: Giovan Battista de Marco (notaio in Bova,
1610-1644,(Arch.St., R.C., buste 3-5), in cui si legge: Il 31 agosto 1640 alla
nostra presenza si so costituiti Giordano Sfarauni, Giovan Battista e Salvatore Sfarauni figli di Giordano di questa
Terra di Palizzi… i quali… in vulgari eloquio per maggiore intelligenza hanno
asserito, qualmente detto Giordano… è debitore della Corte Baronale in docati
261, per quale debito li fu eseguito trapasso di terra sita e posta nel
territorio di detta Terra in Contrada Domascinìa, arborata con vigne, celsi ed
altri alberi fruttiferi, limito Marcello Cavaleri, Gio Domenico Marsano, la
vigna di S. Paolo, Matteo Siciliano, Domenico Marra ed il vallone di
Muzzopotamo (Agliola) ed altri confini; quale sta per detto debito posseduta da
detta Corte e per restare detta possessione in potere di essi de Sfaraone hanno
dato memariale all’Ill.mo Marchese di Altavilla e Barone di questa Terra di
Palizzi, quale è del seguente tenore.V.B.: Ill.mo, Giordano, Salvatore, Giovan
Battista e Sebastiano Sfaraone, Vassalli della Sua Terra di Palizzi, asseriscono
che li anni passati, per docati 320 che dovea detto Giordano alla Corte di V.S.
Ill.ma di detta Terra di Palizzi l’è stata eseguita e venduta una sua
possessione di gelsi ed altri fruttiferi, vigna con terre scapole in detta sua
terra in contrada Domascinìa, limiti la vigna di Giandomenico Callea, Minico
Celentano ed altri al quale supplicante con alcuni dei suoi figli li è stata
retrocessa per detti debiti in docati 320 con pagare alla detta Corte…le tante
(rate) alla ragione (sic) di docati 30 l’anno, e per la cautela fatta per mano
di Pietro Romano il giorno 14 settembre 1633 in detta Terra e havendo pagato docati 30
all’Erario Gio Matteo Tuscano e docati 29 all’Ill.mo Signore d. Giuseppe
Colonna, padre di V.E. Ill.ma restano veri e liquidi debitori in docati 271 e
non avendo potuto corrisondere a detta somma sta per vendersi parte di detta
terra di V.S. Ill.ma in presenza di suppliche. Perciò screvimo (sic) alli
facoltà di V.S. Ill.ma e supplichiamo voglia restar servita concederla a censo
alla ragione di sei per cento con farli obbligo in ampia forma pagarli annue
quote per ogni mese di agosto con espresso patto che mancando una soluzione di
censo, tanto si possa liquidare ed incusare per tutto il capitale, com’anco
ogni volta pagherà docati 70 e non meno ad estinsione di detto capitale si
sminuisca detto censo pro rata alla raggione… e lo riceverà come da Dio. Alle
suppliche degli Sfaraoni d. Giacomo sentenziò: Ci accontentiamo che li
supplicanti fondano cautela con il Magnifico nostro Erario di pagare annue
quote per raggione di censo docati vinti e non meno in estinsione di capitale
si estingua alla ragione di otto per cento ut supra, avendo de incominciare il
pagamento di docati dieci per tutto l’agosto del 1640 e d’agosto in avanti
habbia da correre docati vinti annue quote ut supra, ordinando con questa al
medesimo Nostro Erario che possa stipulare detta obbligazione a nome Nostro e
li abbia da ponere nella nostra lista dei censi baronali. Data in Castro Nuovo
di S.Giovanni Thodecio die 30 maggio 1640. Giacomo Colonna.
IL FEUDATARIO COLONNA, MARCHESE D’ALTAVILLA, CHIEDE ED OTTIENE LA CARCERAZIONE DEL
SUO ERARIO DON FRANCESCO NESCI:
Un’altra
prova che ci fornisce spunti per giudicare la personalità di d.Giacomo
l’abbiamo nell’Atto del notaio di Bova Angelo Velonà (1634-1682, Arch. St.,
R.C., buste 11-14). Vi troviamo sotto accusa l’ex erario Francesco Nesci,
consorte di d.Nunzia Maesano, dalla quale aveva avuto diversi figli. Tra i
quali il dr. Giuseppe, chierico coniugato con la bovesana Antonia Logharà di
Giandomenico e devoto figlio di famiglia disposto a rinunciare alle sue
spettanze ereditarie pur di levare il genitore dai guai, ma anche come astuto
diplomatico di fronte al severo marchese di Altavilla: Qualmente li mesi
passati il sopradetto Sig. Marchese fece fare sequestro a sua istanza per
ordine della Gran Corte della Vicaria, alcuni stabili, bestiame, ed altri
animali contro il predetto Francesco Nesci, padre di esso Dr. Giuseppe… per lo
pagamento di 9900 docati che detto Marchese pretende dal predetto Francesco
Nesci per tutto quel tempo che esso Francesco fu Erario nella predetta Terra
di Palizzi per conto del fu marchese d.
Pompeo Colonna zio del presente Marchese Iacobo…sì come ampiamente dicono
apparire per atti significatori e sequestri contro l’Erario… ristretto nel
bagno di Salerno. Da parte sua d. Giuseppe intervenne dicendo che suo padre
sosteneva di non essere debitore di 9900 ducati, ma di minor somma. E per
questo, Egli mandava supplica al detto Sig. Marchese di non maltrattare li soi
Vassalli per fine di interesse, ma facesse restituire i beni sequestrati ed
accettasse l’accordio per 3200 ducati debendi e gli altri rilasciarli in
considerazione dei servigi che d. Francesco aveva prestato alla Corte Baronale
durante il suo lungo Erariato. A garanzia Giuseppe gli rilasciò una
dichiarazione di rinuncia per prima cosa e sopra ogni altra cosa alla sua
parte… di patrimonio che gli potesse spettare come Chierico coniugato o come
figlio di famiglia… fintanto che non si ratificherà il presente Istrumento da
detto Francesco e dagli altri suoi figli.
Pienamente d’accordo le parti che, il marchese fosse libero e
giustificato se volesse procedere contro il predetto Francesco Nesci e i suoi
figli… con ulteriori sequestri. Anche nel caso in cui questi si sottraessero
all’obbligo di restituire i 3200 docati a partire da questo anno 1640 e così
continuare anno per anno fino all’estinzione del debito. Quegli accettò la
proposta, ma pretese che i Nesci saldassero il debito dei 3200 docati nello
spazio di otto anni alla media di docati 400 l’anno. Inoltre lo stesso d.
Francesco avrebbe dovuto versare il residuo che gli fu dato da Giuseppe
Palermiti per conto del Sig. Marchese e recuperare i debiti di Lucantonio
Ditto, Michelangelo Chichino e Giordano Sfaraone, quali nomi di altri debitori
restano a carico di Nesci per il loro dovuto non riscosso e per cui il Nesci
resta autorizzato a sequestrare, carcerare, escarcerare, vendere, alienare e
fare ogni altra cosa necessaria per l’esazione. I Nesci ratificarono l’accordo il 16 luglio del 1640,
dopo la scarcerazione di d. Francesco. E presto si misero al lavoro per il
recupero del dovuto da parte dei debitori. Il primo a cader nella padella fu un
certo Sebastiano Pannuti di San Lorenzo, ma dimorante in Palizzi.Gli venne
intimato proprio dal dr. Giuseppe Nesci di presentarsi in Palizzi dinanzi al
notaio Velonà per farsi ipotecare alcuni terreni situati nei territori di Motta
San Giovanni e San Lorenzo per quanto da lui dovuto alla Corte Baronale. Nell’atto
c’è scritto: fu di patto che quei terreni sarebbero rimasti vincolati e sotto
sequestro fino a quando il Pannuti non
avesse pienamente saldato il debito mediante rate di anno in anno e con la più
scrupolosa puntualità. Pena l’avvio delle procedure per la confisca e la
carcerazione. Minaccia questa che d. Giacomo tradusse in fatto eclatante nel
1644 ordinando al Capitano della Terra di Palizzi Donato Antonio Piranti di
arrestare, per insplvenza debitoria, il chierico Colantonio Pannuti figlio del
predetto Sebastiano. Il carcerato in data 7 dicembre dello stesso anno fu
tradotto a Napoli dinanzi al Tribunale
Ecclesiastico della Nunziatura, con la feluca di padron Iacobo Schiano. Non si
sa se questa fu l’ultima delle carcerazioni ordinate dal marchese barone. Certo
è che i suoi debitori trassero sospiri di sollievo nel 1652 in coincidenza
dell’assenso reale a favore del Colonna perché potesse procedere alla vendita
del feudo di Palizzi e Pietrapennata a d. Margherita Arduino di Messina per il
pattuito prezzo di ducati 27 mila. L’atto di vendita fu stipulato nel 1654 cui
seguì il definitivo Regio assenso sotto la data del 2 marzo 1655 [Quint.108,
fol.140]).
[7] di Palazzo ?
[8] Libro XVII foglio
88 posizione 157. La chiesa è sita in piazza De Nicola 49, sezione San Lorenzo.
Nella registrazione si legge: A dì 10.
Novembre 1805, Io D. Aniello Vacca economo curato con licenza di Mons.Vicario
di Napoli ho battezzato in casa un figliuolo nato a dì ad ore sette e mezza in
casa dell' Ill.mo Sig. Marchesino d. Bernardo M.aria Natale Sifola Galiani, seu Natale Galiani
Cavaliere Gerosolimitano di Devozione, e Marchesina D.Mª Candida Romano Colonna
Dama Messinese de'Marchesi d'Altavilla coniugi nel proprio palazzo alla strada
di S.Antoniello al q.le ho dato nome Carminio Giuseppe Luigi Andrea. Ostetrica
Anna Gattone. Dottore in legge citato nell'opera jureconsulti "Opera Omnia" pubblicata in Napoli MDCCLXlV pag.67 e citato anche nel Catalogo de'"legali del foro di Napoli" per l'anno 1784 al 04/05/1785 stampato per ordine della Regal Camera di Santa Chiara , Napoli MDCCLXXXlV.
[9] Nel libro dei battesimi è registrato con il cognome NATALI,
sembra sia morto a Roma. Seguendo Francesco ll.
[10] Commendatore dei cavalieri dei SS. Maurizio e Lazzaro.
[11] Tipografia Nuzzi,1842, Campobasso, localizzazione Biblioteca Provinciale
di Avellino – AV7; Biblioteca Provinciale di Benevento – BN 15, codice
documento IT/ICCU/SBL/0397969.
[12] Codice identificativo IT/ICCU/NAP./0167594,
[13] Probabilmente a Santa Maria A Vico.
[14] Santa Maria A Vico?
[15] Ibidem.
[16] A Roma ?
[17] Di questo ramo maschile non si hanno più notizie fino a tutt’oggi.
[18] Detto Peppone
[19] Partecipò alla disastrosa battaglia di Gaeta. La resa del re Francesco
II avvenne il 03 Febbraio 1861.
[20] Battezzata nella parrocchia di Santa Maria delle Vergini il 29 luglio
1799.
[21] Ramo parallelo della famiglia del marchese Buonpane
[22] Casapulla 5 novembre 1889-30 giugno 1984.
[23] Calendario Generale del Regno d’Italia, archivio Centrale dello Stato
Roma-Eur. 1° sindaco di Casapulla dopo l'unità d'Italia, avvenuta il 03
febbraio 1861, con la resa a Gaeta del re del Regno delle due Sicilie Francesco
II.
[24] Probabilmente a
Santa Maria a Vico.
[25] Secondo don
Felice Provvisto nacque il 4 ottobre 1834.
[26] Nata in Napoli il
9 settembre 1846* sezione San Ferdinando, deceduta in Casapulla il 21 maggio
1920*.
[27] Registro atti di
morte del comune di Casapulla anno 1913 vol. unico parte 1ª atto n.42. Sulla
sua tomba vi è scritto Loculo ossario
di famiglia donato dalla confraternita al parroco Camillo NATALE (ossia
de NATALE SIFOLA GALIANI) addì 3 luglio 1921. In questo loculo
riposano le spoglie anche di Filomena Di Sorbo vedova Mingione.
[28] Nel palazzo avito
di famiglia sito in Via Apollo n°1
[29] Tanto che le
figlie Rosa, Margherita e Giovanna (Candida) essendo nubili beneficiarono della
reversibilità della pensione del padre.
[30] Andato in
America. Secondo don Felice Provvisto si chiamava Erennio secondo Serra di
Gerace Erminio.
[31] Secondo don
Felice Provvisto nacque il 2 ottobre 1847.
[32] Sepolto nella cappella del Monte dei Morti: 16 Novembre 1879* Casapulla
16 Maggio 1972*.
[33] Moglie di zio Luigi fratello di mio padre.
[34] Professoressa di lettere.
[35] Professoressa di lettere.
[36] Medico
[37] Secondo don Felice Provvisto nacque il 13 settembre 1850.
[38] Secondo don Felice Provvisto nata nel 1857.
[39] Secondo don Felice Provvisto nel 1883.
[40] figlio di Carminio.
[41] Nata a Napoli in Castelnuovo il 9 settembre 1846 deceduta in Casapulla
il 21 maggio 1920
[42] Approvato
nell’esame di laurea addì 4 maggio 1922 dato dalla Regia Università di Napoli
addì 21 luglio 1922, registrato fol.58 n°54
[43] Figlia di Carminio e di Maria Teresa Trepiccione.
[44] Più esattamente
la chiesetta della Santissima
Concezione di Nostra Donna.
[45] Posta subito dopo
la cappella di Sant’Antuono.
[46] de NATALE SIFOLA GALIANI
ossia NATALE-GALIANI.
[47] L'attuale
via:Armano Diaz.
[48] All’epoca non
esisteva l’autostrada del sole con il cavalcavia. Arrivati all’edicola sacra,
subito dopo, si girava a sinistra e poi si imboccava il viale tutto dritto che
conduceva al cimitero.
[49] Erano suoi vicini
di casa. Don Manlio abitava l’ultimo palazzo a sinistra del trivio la vigna
provenendo dalla cappella di Sant'Antuono. Il palazzo era di proprietà della
sua famiglia. Per successione di mia zia Ada una parte oggi è di proprietà dei
miei cugini Carminio Aristo e Carlo.
[50] Sul trivio di
prospetto alla strada c’è una bellissima facciata barocca che doveva far parte
di un abitazione di un grande di Spagnano (sec.XVII-XVIII); abitazione che non
fu mai terminata ed il terreno retrostante veniva chiamato vigna. Subito dopo
il trivio sulla sinistra vi erano due case coloniche che in quel punto erano le
più avanzate del paese.
[51] Teresa de NATALE SIFOLA GALIANI ossia NATALE-GALIANI di
Carminio.
[52] Giovanna Candida de NATALE SIFOLA GALIANI ossia NATALE-GALIANI di Luigi.
[53] Il sacerdote don
Camillo con i genitori e le sorelle Rosa, Margherita e Giovanna Candida
abitavano un loro palazzetto in Via 4 novembre che caceva angolo con la
strettulella (oggi Via Peccerillo) dalla parte della parrocchia. Questo
palazzotto era stato comprato con la vendita di un altro palazzotto di
proprietà del nonno Luigi con del denaro dello zio Camillo sacerdote e con un
prestito di mia nonna Maria Teresa.
[54] NATALE-GALIANI, ossia de NATALE SIFOLA GALIANI.
[55] 4 gennaio 1944. –
Era nato il 5 luglio 1872.
[56] de NATALE SIFOLA GALIANI.
[57] Registro atti di nascita vol. unico parte 1ª n.21. Nacque in casa in via
Vescovo NATALE n°15.
[58]
Nella grande guerra 1915-18 militò
nell'arma dei carabinieri.
[59] Registro atti di morte anno 1950 n. 27 parte 1ª vol. unico.
[60] Contratto di concessione di area cimiteriale del 19 settembre 1969,
delibera Giunta Comunale n.135 del 6 agosto 1969 restituita dalla prefettura di
Caserta per ricevuta il 28 agosto 1969 n. 8252/T, licenza edilizia del 4 luglio
1972.
[61] Sepolto nel loculo dove riposano il padre e la madre
[62] A Santa Maria a Vico (Caserta)
[63] Secondo don Felice Provvisto nacque l'11 giugno 1884.
[64] Sino a questa generazione tutti i personaggi sopra menzionati sono
citati nei manoscritti di Livio SERRA DI GERACE in Famiglie nobili napoletane, nel Vol. V, Genealogia GALIANI-NATALE (de), conservati
presso il Grande Archivio di Stato di Napoli sez. Diplomatica Politica.
[65] Le date con asterisco sono certe
[66] Successivamente sicuramente dopo il 1980 portato in Capua a seguito
della costruzione di una cappella realizzata dai figli.
[67] Nei registri dello stato civile, alla nascita, fu registrato col cognome
NATALE e nella parrocchia di Sant’Elpidio col cognome NATALE-GALIANI.
[68] In realtà nacque il 17 marzo
1910. Fu registrato nel libro dello stato
civile due giorni dopo. Vedere vol. unico parte 1ª n.28 anno 1910.
[69] La sua
antica famiglia era originaria della città di Durham in Inghilterra. Fu detta
“de Duram e de Dura un ramo di detta famiglia appartenne Seggio di Porto e fu
una della 6 famiglie Aquarie (Memorie delle famiglie nobili delle province
meridionali d’Italia, Vol. 1-2 Conte Berardo Candida Gonzaga)
[70] Enrico nacque a Montefiascone il 31 agosto 1891 e fu battezzato nella
Cattedrale di Santa Margherita. Nella grande guerra combattè nel corpo degli
alpini agli ordini del generale Cadorna. Fu decorato della medaglia di bronzo.
Morì a Roma il 9 gennaio 1973. Assunta, anche lei nativa di Montefiascone
nacque il 24 agosto 1889 e fu battezzata netta cattedrale di Santa Margherita.
Morì a Roma il 17 agosto 1970.
[71] Successione ereditaria n° 1/16896 del 10 settembre 1996 in cui lasciava un
appartamento, titoli di stato ed una discreta liquidità.
[72] Parrocchia sita
vicino alla di lui abitazione, sita in Via Flaminia Vecchia 732 Roma.
[73] Insieme ad una
corona d'alloro legato con un nastro dai colori di Roma ad un rametto di
quercia
Nessun commento:
Posta un commento