sabato 12 luglio 2014

5° Seconda parte - IL REGIO CASALE DI CASAPULLA E LA FAMIGLIA " de Natale Sifola Galiani" LA PIU' ANTICA DI DETTO CASALE

X.
Già a principio del 1734 il bisogno di far ratificare a suo tempo la divisata riconquista del Regno e indurre la Sede apostolica a concederne l'investitura al futuro re autonomo Carlo aveva consigliato alla corte di Madrid, allora anch'essa in lotta diplomatica con la curia pontificia, di nominare un suo plenipotenziario a Roma nella persona del ricordato cardinal Belluga, a cui, a riconquista già accaduta[1], tenne dietro monsignor Tommaso Rato y Ottonelli[2], vescovo di Cordova. Non è qui il luogo d'indugiarsi su quelle prime e poco concludenti trattative, bastando rimandare a quanto ne scrivono storici antichi e recenti, e in particolar modo a una pagina appassionata di Pietro Giannone, al quale, precisamente durante quei negoziati, il nuovo governo napoletano, per propiziarsi Roma, inibì il ritorno nel Regno; primo anello della fatale concatenazione di eventi che poco di poi doveva trascinare il vecchio esule all'agguato di Vesnà (1736), alla dodicenne prigionia (1736-48) e alla forzata abiura (1738). Giova piuttosto ricordare che nel giugno del 1734 la corte di Roma, a cui nominalmente spettava sempre il supremo dominio feudale del Regno, aveva accettato ancora l'omaggio della chinea dal re spodestato Carlo VI d'Austria; che nel giugno del 1735[3] essa s'era barcamenata, non ricevendolo né dal re spodestato né da quello assiso sul trono[4]; e che alla fine del 1736, malgrado il fiero movimento antispagnolo e antinapoletano scoppiato poco prima a Roma, le ritorsioni ispano-napoletane e le parole grosse corse da una parte e dall'altra, le cancellerie rispettive manifestavano il proposito di trattare un duplice concordato. In conseguenza di che, le corti di Madrid e di Napoli nominavano solidalmente due plenipotenziari: il cardinal Troiano d'Acquaviva[5], ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede[6] e - sola persona capace di dipanare quella matassa arruffata e, per saggezza, prudenza e moderazione, graddita, o meno sgradita di altre, a tutte le parti contraenti - il nostro Celestino. Il quale - affidata per interim la cappellania maggiore a monsignor Nicola de Rosa vescovo di Pozzuoli[7] e pregato il suo correligionario Giuseppe Orlando[8] di sorvegliare l'educazione dei nipotini - fin dall'11 marzo partiva per Roma, ove, salvo le interruzioni napoletane che si vedranno e qualche breve villeggiatura abruzzese a Capestrano e Collemaggio, rivisse per quattro anni la vita d'altri tempi nel suo antico quartierino all'Orso. Anche questa volta, come dieci anni addietro durante le dispute sull'Apostolica Legazia, le opinioni dei tanti che, a Roma, a Napoli e a Madrid, s'interessavano o ebbero a occuparsi variamente della schermaglia diplomatica che ora s'iniziava, oscillavano fra i tre punti di vista anticurialistico o giannoniano, curialistico o papalino, moderato o indipendente. E, per cominciare dagli anticurialisti, il Giannone, come s’è veduto, era ormai fuori combattimento; ma l’aureola di martirio, di cui la prigionia in terra straniera gli cingeva il capo, faceva alitare più che mai possente il suo spirito sulla casta di cui egli s'era fatto portatore, e ch'era composta dalla parte più eletta dei magistrati, avvocati e giureconsulti napoletani. Meri legali o, dispregiativamente, paglietti li chiamavano, non tanto forse il GALIANI, quanto i suoi amici moderati[9]; e, in un certo senso, non a torto, data la scarsa attitudine di quegli "avvocati” a trasportare le questioni giurisdizionali dal terreno giuridico e legalitario a quello della politica militante, che, se vuole essere tale, deve pure, a tempo e a luogo, materiarsi di accomodarnenti, transazioni, compromessi e utili rinunzie. A ogni modo, il loro programma massimo, formolato esplicitamente dal Giannone nella pagina a cui s'è alluso pocanzi, era quello, parzialmente attuato soltanto mezzo secolo dopo, di vivere tamquam Roma non esset, e cioè di non avere con lei rapporti diplomatici di sorta, di non riconoscerle quel supremo dominio feudale sul Regno che il mutato diritto pubblico aveva vuotato d'ogni contenuto, d'abolire l'umiliante omaggio della chinea, d'incamerare senz'altro i beni ecclesiastici, salvo a corrispondere ai proprietari o usufruttuari stipendi o altri assegni fissi[10], e, generalmente, di laicizzare all'interno la legislazione ecclesiastica in virtù, non già d'un patto bilaterale con una potenza straniera, ossia un concordato, ma d'un unilaterale atto di sovranità. Programma massimo, per altro, della cui immediata messa in opera gli anticurialisti medesimi vedevano i pericoli, tra cui quello, evidente, che Roma, esasperata, si gettasse nelle braccia di casa d'Austria, aiutandola con tutte le sue armi in quella non difficile riconquista dell'ancora debole e poco vitale Regno autonomo, che gli Absburgo del resto, pur senza riuscirvi, tentarono effettivamente nella poco posteriore guerra di successione austriaca. Donde la formolazione d'un programma minore, i cui capisaldi erano che il nuovo re di Napoli ricevesse pure l'investitura e prestasse la chinea e, per raggiungere lo scopo, trattasse un concordato; ma che questo si convertisse in una sorta di patto leonino, nel quale Roma, senza alcun corripettivo, cedesse su tutti gli oggetti di disputa, riconoscendo, in deroga alla bolla In Coena Domini, il più ampio regio exequatur; riconoscendo, del pari,di collazione regia molti benefici maggiori e minori, che un'apposita ricerca archivistica[11] avrebbe mostrato originariamente tali; inibendosi di conferire i benefici d'indubitata collazione pontificia a non regnicoli; e[12] acconsentendo alla totale abolizione dei tribunali del Sant'Ufficio e della Nunziatura, a una fortissima riduzione del foro ecclesiastico, all'accrescimento delle attribuzioni spirituali e temporali del cappellano maggiore, alla quasi totale soppressione del diritto d'asilo e infine alla sottoposizione di tutti i beni ecclesistici ai tributi e alla loro conseguente inclusione in un catasto onciario[13]. Programma, quest'altro, che ripeteva quasi punto per punto le teorie dell’Istoria civile e dell’Apologia dell'Istoria civile del Giannone[14], e dal quale, teoricamente, non erano troppo lontani nemmeno il cappellano maggiore e i suoi amici moderati. Salvo che gli anticurialisti avrebbero voluto vederlo attuato tutto in una volta, e proprio in sede di concordato; laddove, secondo i moderati, sarebbe stato bene per allora scivolare su talune questioni troppo aggrovigliate e scottanti, risolvibili meno con trattative diplomatiche che con un ponderato atto di forza, quando si fosse potuto farlo, e, anche tra quelle utilmente trattabili, cedere qualcosa dove non riuscisse di troppo danno[15] per potere essere fruttuosamente intransigenti dove fossero in gioco vitali interessi politici ed economici[16]. Diversamente dagli anticurialisti, nulla era tanto caro ai curialisti, cioè alla curia pontificia e ai parecchi regnicoli che, battendosi per lei, facevano gl'interessi propri, quanto un accordo col re Carlo Borbone. Per non dire altro, malgrado la loro perenne minaccia di aderire alle pretensioni di casa d'Austria, un re di Napoli autonomo, e quindi piccolo, appariva ad essi sempre meno pericoloso, e più consono alla secolare politica pontificia, d'un re grande e potente, cioè signore, al tempo stesso, della Lombardia e dell'Impero. Ma, salvo che in codesto punto di partenza, quanto poi i curialisti erano lontani dai moderati! Alla fine dei conti, costoro, pur rimproverando agli anticurialisti di voler troppo e ricevendone il rimbrotto di contentarsi di troppo poco, ponevano anch'essi come scopo precipuo del concordato non solo il consolidamento delle posizioni conquistate dal Regno negli ultimi cinquantanni di rinnovata lotta con Roma, ma altresì il far progredire la laicizzazione dello Stato, sia pure entro certi limiti, oltre i quali il GALIANI, frate e arcivescovo, non poteva e non voleva andare, di quanti più passi fosse possibile. Per contrario, programma massimo dei curialisti era un ritorno puro e semplice allo stato di fatto anteriore al 1692, cioè all'anno in cui l'atteggiamento, intollerabile per l'autorità laica, del Sant'Ufficio, della Nunziatura e della curia arcivescovile nel l'imprigionare, processare e condannare i così detti ateisti[17], aveva primamente determinato, per reazione, l'impetuoso risorgere, nel Regno, della lotta, alquanto assopita, tra Stato e Chiesa. E poiché ai loro occhi medesimi quel ritorno al passato appariva, qual era, utopistico, anch'essi avevano formolato un programma minore, che, tenuto presente da coloro che trattarono via via il concordato in nome di Roma, consisteva, com'è ovvio, non solo nel non fare alcuna concessione nuova, ma altrsì nel tentare di riguadagnare una parte delle posizioni perdute. Donde, così nella prima (1737-8) come sopra tutto nella seconda lunghissima fase dei negoziati (1738-40), l'attuazione in grande stile della secolare tattica diplomatica di Roma, ch’era quella di blandire, circuire e, segnatamente, stancare con temporeggiamenti i negoziatori dell'altra parte[18]. Tattica temporeggiatrice[19], nella quale i diplomatici romani - che trovarono sempre un avversario irremovibile nel moderato GALIANI, in cui la piena conoscenza di quegli artifici era congiunta con la tenacia più ferma e la pazienza più inalterabile - ebbero invece talvolta alleati insperati gli stessi anticurialisti napoletani, e, più particolarmente, una parte dei consiglieri della Real Camera di Santa Chiara[20] e, più particolarmente ancora, il marchese Orazio Rocca[21], delegato della Real Giurisdizione dal 1735 ai principî del 1740: magistrato integerrimo, ma appunto mero legale e professante un anticurialismo che gli amici del GALIANI qualificavano fanatico; onde, abbrancato con tutte le forze al minore programma anticurialistico, fissato in gran parte da lui medesimo, sottoponeva ad interminabili discussioni della Camera di Santa Chiara, e faceva talora respingere, qualunque attenuazione a quel programma fosse proposta via via dal GALIANI, venendo per tal modo a fare inconsciamente il giuoco degli avversari. Dopo il quale sguardo d'insieme nell'ambiente in cui si svolsero le trattative, è facile immaginare che, giunto appena a Roma, già la via lunga apparisse al nostro Celestino seminata di triboli, spine e insidie. Anche perché nella delegazione ispano-napoletana, alla quale per qualche tempo fu aggregato il cardinale arcivescovo di Napoli Spinelli, regnava tutt'altro che accordo. Non che con l'Acquaviva ed esso Spinelli i rapporti personali del GALIANI non fossero quanto mai amichevoli. Del secondo, che, sebbene salito ora così in alto, continuava, almeno estrinsecamente, a mostrare per lui rispetto e venerazione, egli, come s'è visto, era stato maestro; e anche il primo, che, malgrado gravi torti quale prelato e uomo politico, possedeva parecchie buone qualità del gran signore napoletano, non tardò ad ammetterlo nella sua intimità, ben lieto quando, posta da parte la politica, potesse passeggiare con lui nei giardini di Palazzo di Spagna, conversando di studi e particolarmente dell'Accademia istituita a Napoli dal GALIANI e che, visitata nel 1736 dall'Acquaviva, riceveva da lui un assegno annuo di cento ducati[22]. Ma, appunto perciò, riusciva duro al nostro Celestino dovere assumere difronte ai colleghi di delegazione atteggiamento di oppositore cortese ma reciso e, peggio, sorvegliarli nascostamente con occhio sospettoso: cosa tanto più necessaria in quanto lo Spinelli, che, pur di partecipare ai negoziati, aveva fatto pompa a Napoli di massime moderate, s'era rivelato a Roma curialista d'estrema destra[23]; e l'Acquaviva, dal canto suo, né curialista né anticurialista né moderato, ma intento soltanto agi'interessi propri e della propria casa, non avrebbe avuto , e talora non ebbe, tino scrupolo al mondo a sacrificare il paese natale al consolidamento della sua posizione personale così nel Sacro Collegio come presso la Corte di Madrid. Naturale, pertanto, che il GALIANI, solo patrocinatore effettivo della causa del Regno, dovesse, dopo un sic volo sic iubeo dell'Acquaviva e inutili appelli a Napoli, inghiottire il boccone amaro che il più facile concordato con la Spagna avesse la precedenza sull'altro, tanto più complicato, con Napoli. Costretto, anzi, nell'interesse medesimo del Regno, a lavorare con tutto l'impegno a sgombrare il terreno da quello che sarebbe divenuto un perpetuo peso morto, si dové proprio al suo zelo se il concordato spagnuolo fosse firmato fin dal 26 settembre 1737: così come, del resto[24], opera precipuamente sua fu non tanto forse il breve pontificio del 1° decembre concedente a Maria Amalia di Valburga, scelta sposa da Carlo Borbone, di passare a nozze sebbene tredicenne, quanto la bolla, definitiva già nell'aprile del 1738, ma pubblicata soltanto il 10 maggio successivo, con cui lo stesso Carlo, investito formalmente del Regno, era ammesso alla prestazione della chinea[25]. Ma, circa poi le questioni grosse che avrebbero dovuto materiare il concordato napoletano, perfino l'instancabile attività del Cappellano Maggiore s'infranse contro la pigrizia, la lentezza, l'oscitanza e il malvolere generali. A furia d'insistere presso il cardinal-nipote Neri-Corsini[26], ottenne che nell'agosto del 1737 fosse nominato, nella persona dell'ultracurialista monsignor Giuseppe Maria Feroni[27], allora assessore del Sant'Ufficio, poi cardinale (1753), il tecnico pontificio che avrebbe dovuto contradirlo, e che una congregazione di cardinali, appositamente nominata, tenesse dall'agosto del 1737 all'aprile del 1738 diciotto sedute[28]. Senonché, salvo per l’anzidetta questione dell'investitura, tutto si ridusse a logomachie protocollari e a verba generalia, e di cose utili al concordato propriamente detto egli non poté farne se non due. L'una fu d'aver presentato un suo memorando circa il diritto d'asilo quale era stato praticato nel Regno prima che la grande estensione di quel privilegio sancita nella famosa bolla gregoriana del 1591 e i conseguenti abusi seicenteschi non lo rendessero intollerabile. L'altra, d'essere riuscito a liberarsi dello Spinelli, mostrando in pari tempo che monsignor Giannandrea Tria[29], allora vescovo di Larino - che lo Spinelli appunto, consenziente l'Acquaviva, aveva fatto intervenire ai negoziati, assicurandolo ben disposto verso gl’interessi regi - era per contrario fin da allora il curialista acceso che doveva palesemente mostrarsi poi nel pubblicare a Roma (1752) quel l'intollerante confutazione delle teorie giannoniane, che gli piacque intitolare Osservazioni critiche intorno alla polizia della Chiesa. D'altra parte, il GALIANI s'accingeva appena a fare qualche altro passo, quando dal re Carlo, che pare non potesse festeggiare le proprie nozze senza avere accanto il suo Cappellano Maggiore, gli giungeva un categorico ordine di richiamo. Dové quindi partire per Napoli[30], ripartire con il re per Gaeta[31], accompagnarlo a Portella a ricevere la sposa[32], partecipare poi a Napoli[33] a banchetti e feste d'ogni sorta, collaborare, agli statuti degli ordini cavallereschi di San Gennaro e San Carlo, del quale ultimo fu anche nominato cancelliere; e soltanto il 20 luglio - provveduto meglio all'educazione dei nipoti rinchiudendoli nel convento celestino di San Pietro a Maiella, ove insegnava allora il suo correliggionario e futuro biografo Appiano Buonafede[34] - gli fu consentito di riavviarsi a Roma. Trovò che il cardinale Acquaviva, tornato nell'Urbe subito dopo d'avere accompagnato la reale sposa da Roma a Portella, aveva approfittato traditorescamente della breve assenza del suo vigile collaboratore per interpretare in senso latissimo talune concessioni al punto di vista moderato, strappate forse dallo stesso GALIANI alla Camera di Santa Chiara, e cedere quasi del tutto sull’exequatur, sull'Inquisizione e sui benefici di collazione papale. Senonché il dover riparare alla malefatta del suo superiore non fu al certo il maggior tribolo del nostro Celestino duarante questa seconda fase dei negoziati. Una fatica molesta è sempre un fare, e il fare, appunto, è condizione di vita per l'uomo in cui l'operosità ininterrotta sia divenuta seconda natura. Per contrario, senza la compagnia dei libri e di amici vecchi e nuovi - il Leprotti; il Bottari; il duca Filippo Corsini, figlio del principe Bartolomeo, e sua moglie Maria Vittoria; monsignor Cerati, che di quando in quando veniva a Roma da Pisa; l'ormai ottantenne cardinal Davia, divenuto cieco e molto vicino a passare in un mondo migliore; l'erudito e futuro cardinale Nicola Antonelli[35], allora semplice segretario nella Dateria e che, divenuto grande ammiratore del GALIANI, si fece ben presto suo alleato; e anche e particolarmente il neo-carinale Valenti-Gonzaga, che volle continuata la dolce consuetudine di dare e ricevere dall'antico maestro il confidenziale voi; - senza, dunque, i libri e codesti amici, un tormento intollerabile sarebbe stato pel nostro Celestino l'ozio prolungato, a cui lo costrinse un nuovo aspetto assunto, segnatamente dalla metà del 1739 in poi, dalla tattica temporeggiatrice romana. Ufficialmente, le trattative erano sempre in corso, e, quantunque più rari e meno concludenti, non furono interrotti mai i contatti col cardinal Neri-Corsini e lo stesso papa, che, personalmente ben disposto verso i Borboni, avrebbe voluto, prima di morire, aver la gioia di veder firmato un accordo ragionevole. Senonché, quasi novantenne sempre più ammalato e un paio di volte detto prematurarnente morto, Clemente XII non aveva più alcuna autorità sui cardinali di curia, per i quali, naturalmente, il desiderio di lasciare mani libere al futuro pontefice, era un maggiore stimolo a menare il can per l'aia. Senza dubbio, nulla avrebbe impedito al GALIANI di tornare fin da allora a Napoli, ove[36], per l'indisciplina, in cui la debolezza del suo sostituto stava facendo ricadere l'Università, era invocata continuamente la presenza del Cappellano Maggiore titolare. Ma se l'Acquaviva gli avesse giocato qualche altro e peggiore tiro mancino? E se la sua assenza fosse stata pretesto per trasferire, come a Roma si diceva e si voleva da parecchi, i negoziati a Madrid? La morte di Clernente XII (6 febbraio 1740) e l'ínterruzíone ufficiale dei negoziati lo liberarono da quelle perplessità. E, tornato a Napoli[37], poté anche concorrere[38] al conferirnento della Delegazione della Real Giurisdizione, in sostituzione del Rocca, gravernente ammalato, al marchese Niccolò Fraggianni[39], che aveva cominciato a stimare su quanto gliene scriveva da Palermo, ov'era stato consultore, il principe Corsini, e col quale, pur trovandosi talora agli antipodi, non tardò a stringersi in salda amicizia, quando vide personalmente che quel magistrato, anticurialista quanto il Rocca e forse più del Rocca, possedeva in misura molto maggiore ingegno, dottrina, pratica di mondo e di studi[40] e senso politico. Per una felice ripresa delle trattative era già un bel passo avanti. Ma, com'è ovvio, tutto dipendeva dall'esito del conclave, che ancora nel luglio del 1740, dopo tanti mesi, sembrava assai lontano dalla conclusione. Gotti, Aldrovandi, Lambertini, Corradini, Quirini, Lercari, Gentili: fra tutti codesti cardinali più o meno papabili, e dei cui alterni successi e insuccessi gli giungevano di continuo notizie, su chi mai si sarebbe fermato il Paracleto? Ah! Se fosse stato il suo amico Lambertini! Quante belle probabilità per una pronta stipulazione del concordato! E, come si sa, papa fu proprio il Lambertiní[41]; e suo segretario di Stato proprio il Valenti-Gonzaga, più che mai premuroso e affettuoso verso il GALIANI; e alle sue congratulazioni l'uno e l'altro risposero con lettere personali che facevano sperare bene; e, qualche mese dopo, lo stesso Benedetto XIV invitava il re Carlo a riprendere i negoziati e a inviare a Roma il suo Cappellano Maggiore; e, quando questi vi giunse[42], gli si fecero tante feste che si cominciò già con la fantasia a vederlo ammantato dalla porpora. A voler malignare, anzi, si potrebbe anche concepire il sospetto che quelle accoglienze, oltreché effusione sincera d'un'antica amicizia, fossero altresì una captatio benevolentiae per trovare alquanto più arrendevole chi fin allora s'era mostrato, da buon appulo, caput durum, come nei suoi quattrocenteschi Annales Bononienses, pubblicati circa quel tempo dal Muratori, il bolognese Geronimo de Bursellis diceva di Niccolò da Bari[43]. Ma, ammesso che codesta o altre speranze del genere fossero concepite, l'evento non tardò a mostrarle fallaci. A quattro cardinali - il Corradini e il Valenti-Gonzaga, che si sono già incontrati, più i due bolognesi Vincenzo Gotti[44] e Pompeo Aldrovandi[45] - e anche talora a se medesimo, più ancora forse dei quattro esperto nelle questioni giurisdizionali, Benedetto XIV affidò la causa della Sede Apostolica nei nuovi congressi, che ebbero luogo quasi tutti alla sua presenza. Tuttavìa, quantunque solo contro quei cinque[46], il GALIANI era troppo padrone della materia e dei propri nervi perché, pur senza farlo sapere, assumesse di fatto la direzione della disputa. Cosa difficile, anche perché più volte dové resistere con rispettosa fermezza allo stesso papa, il quale, pur nella grande bontà d'animo, era divenuto con gli anni[47] alquanto collerico e insofferente di contradizione, specie se fattagli da amici e devoti alla sua persona, contro i quali non esitava a sfogare anche pubblicamente la sua irritazione. Una partaccia tremenda ebbe, per esempio, nel 1742 monsignor Giuseppe Simone Assemani[48] - anch'egli buon amico del GALIANI e poi (1752) cicerone di suo nipote Ferdinando a Rorna - per aver sostenuto a torto, contro l'esatto ricordo del pontefice, che San Dìego fosse stato canonizzato da Sisto V nella chiesa dei Santi Apostoli e non, com'era effettivamente, a San Pietro; e, sebbene in tono minore , sgridate, durante quelle discussioni concordatarie, non mancarono nemmeno al nostro Celestino, d'una delle quali, più forte delle altre, giunse un'eco all'orecchio di Carlo di Borbone, che, per mezzo di monsignor Giuseppe Alfonso Melendez, vescovo di Potenza, volle far pervenire una parola di conforto ed elogio a chi (diceva) lavora e soffre tanto per me. Ma, punto sbigottito, anzi, comprendendo, da buon diplomatico, che quelle sfuriate erano indizio di prossima resa, il GALIANI, lasciatele svaporare, tornava sempre più agguerrito all'assalto, rinnovato nel febbraio del 1741 con tanto impeto che la vittoria cominciò a delinearsi sicura. Pur con qualche restrizione nell'esecuzione immediata, il principio della sottoposizione dei beni ecclesiastici ai tributi - vitale per l'esausto bilancio del Regno, che tutto faceva prevedere sarebbe stato coinvolto nell'imminente nuova guerra europea - fu finalmente ammesso. Si convenne che il diritto d'asilo, esteso nella pratica perfino ai giardini, alle cucine e alle cantine dei monasteri e luoghi pii, fosse ristretto alle sole chiese parrocchiali, e a quelle in cui si venerava il Santissimo e, anche per queste, limitato ai soli rei di eresia, poligamia e di pochi altri delitti minori. Non mai come in questo caso riluttante, Benedetto XIV[49] - stabilito il principio che vi dovessero essere un concordato pubblico e taluni articoli segreti - consentì che in quello non si dicesse una parola sola né dell'Inquisizione[50], né dell’exequatur[51], né dei poteri del delegato della Real Giurisdizione, accontentandosi del l'assicurazione generica, da sancire semplicemente in un articolo segreto, che il re avrebbe dato gli ordini opportuni per la pronta esecuzione delle bolle e altri atti pontifici. Ma, in cambio, lo stesso papa dové obbligarsi a far consacrare, non solo negli articoli segreti ma anche nel concordato pubblico , il suo impegno solenne a non conferire i benefici regnicoli di collazione apostolica se non appunto a regnicoli,salvo che per una somma di 40.000 ducati annui[52]. Analogamente, il GALIANI fece qualche altra non pericolosa concessione, consentendo a sua volta che i vescovi continuassero ad avere il diritto[53] di visita e di verifica di conti anche nei riguardi delle chiese estaurite, delle confraternite, degli ospedali e di simili luoghi pii fondati da laici; che i giudici ecclesiastici continuassero a poter procedere contro i laici pei reati di poligamia, sacrilegio e scandalo e a conoscere civilmente di talune cause beneficiarie e matrimoniali[54]; e che la stampa fosse sottoposta alla censura preventiva non già soltanto del magistrato regio[55], ma anche del vescovo competente[56]. In compenso, per altro, tra parecchie riduzioni del foro ecclesiastico, ottenne che l'ecclesiastico reo d'assassinio fosse quindi innanzi giudicato dal magistrato laico, e che si desse vita a un tribunale misto, vagheggiato, come s'è veduto, fin dal 1729 dall'Argento, e che - composto, di triennio in triennio, da un presidente da nominarsi dal papa fra una terna di prelati proposti dal re, da un segretario e da quattro deputati del Regno, due ecclesiastici e due magistrati togati, scelti, fra un maggior numero di designati per elezione, per metà dal papa, per l'altra metà dal re - avrebbe dovuto, fra le sue molteplici attribuzioni, giudicare delle cause d'immunità locale e vigilare così all'amministrazione dei luoghi pii laicali e all'esecuzione dei legati pii, come, particolarmente, all'applicazione del concordato. Singolarmente e sopra tutto nell'insieme, patti così insperatamente vantaggiosi pel Regno nessun altro diplomatico era stato e sarebbe stato mai capace d'ottenere. Il programma moderato[57] aveva così pieno trionfo e, conseguentemente, la sconfitta curialistica appariva così palmare, che, quando, in uno degli ultimi congressi, dalla discussione dei singoli punti si passò alla lettura complessiva d'un primo abbozzo del concordato, il papa e i suoi cardinali, e in particolar modo il vecchio Corradini, quasi meravigliati d'avere a poco a poco ceduto tanto, furono sul punto di rimettere tutto in discussione. Alieno dallo stravincere, il GALIANI propose egli stesso qualche abile ritocco di forma che, salvando l'amor proprio degli sconfitti, lasciava immutata la sostanza: dopo di che, preannunziata alla corte napoletana la felice conclusione dei negoziati[58], redigeva con l'approvazione papale e mandava a Napoli[59] la minuta definitiva così dei dieci capi del concordato pubblico[60] e dei sei articoli segreti, come ancora di due bolle separate, l'una sulla facoltà e giurisdizione del cappellano maggiore, specie in quanto vescovo castrense, l'altra concedente all'ordine di San Gennaro le stesse prerogative ecclesiastiche del Toson d’oro. Salvo qualche lieve critica a punti secondari, anche il Fraggianni e la Camera di Santa Chiara riconoscevano la vantaggiosità dell'accomodamento[61]: onde fin dal 26 maggio partivano le plenipotenze regie per l'Aquaviva e il GALIANI; il 2 giugno il papa nominava a sua volta plenipotenziario il Valenti-Gonzaga; lo stesso giorno, nel Quirinale, i tre firmavano il concordato pubblico e gli articoli segreti; l'8 e il 13 Carlo di Borbone e Benedetto XIV li ratificavano; il 30 il cardinal prodatario Aldrovandi firmava le due bolle complementari[62]; e l'11 luglio il nostro Celestino, lasciava Roma (9 luglio), tornava a Napoli. Ove, senza riposare sugli allori, provvedeva alla stampa della parte non segreta del concordato, pubblicata a Napoli il 3 agosto e nel resto del Regno a principio del settembre; faceva convocare immediatamente una particolare commissione che, secondo il concordato, avrebbe dovuto fare proposte concrete per la riduzione degl'innumeri vescovati minori - commissione composta dal cardinale Spinelli, da lui, dal nunzio pontificio e futuro cardinale Ranieri Simonetti[63], dal presidente del Supremo Tribunale di Commercio[64] Francesco Ventura[65] e dal Fraggianni; - e fin dal 22 settembre otteneva che codesta commissione fissasse in seimila ducati annui[66] il fabbisogno per gli stipendi e altre spese del Tribunale misto. Le proteste dei curialisti, a cominciare dal cardinale Spinelli, che faceva sempre il doppio giuoco, e dal suo canonico Torno[67] furono più alte di quanto si fosse previsto. E proruppero ancora più concitate e veementi quando il nostro Celestino, posto primo in terna da Carlo Borbone e scelto da Benedetto XIV[68], pur restando sempre cappellano maggiore, divenne presidente del tribunale misto, che fin dal settembre del 1741 inaugurò nel monastero di Monteoliveto, mostrando dal primo momento, senza possibilità di equivoci, che, fintanto lo avesse presieduto lui e fosse riuscito[69] a comporlo di persone sue, non lo avrebbe convertito mai in un docile strumento di Roma. Spaventata, la curia pontificia, procurò di correre ai ripari. Il vecchio Corradini, a cui si rivolgeva l'accusa che, sebbene sempre strenuo difensore della giurisdizione ecclesiastica, si fosse fatto infinocchiare quella volta dalle parole melate e dalle bugiarde promesse del GALIANI, gli scrisse una lettera semifuribonda[70]. Una lunghissima, e tanto amichevole nella forma quanto deploratrice nella sostanza, gl'inviò l'anno appresso[71] lo stesso Benedetto XIV, anch'egli fatto segno, come scriveva, a taciti ed anche aperti rimproveri dei cardinali di curia, e che non esitava a dire che il Tribunale Misto, così come lo guidava il GALIANI, s'era ridotto, nei riguardi della Sede apostolica, a una cosa più mostruosa del Tribunale della Monarchia di Sicilia. Consigli d'annacquare più che potesse il suo vino acurialistico gli faceva giungere spesso il Valenti-Gonzaga, che nel maggio del 1743 procurò anche, senza riuscirvi, di farlo venire a Roma per un intesa verbale col papa. E poiché queste ed altre pressioni e blandizie non ismossero il GALIANI dal convincimento che venir meno, sia pure soltanto per mancato zelo, al suo dovere di suddito e magistrato di Carlo di Borbone sarebbe stato un peccato di cui nemmeno il suo amico Benedetto XIV avrebbe potuto assolverlo, il risultato di codesta battaglia postconcordataria[72] fu ch'egli si giuocò per sempre il cappello rosso. E si che quel cappello sembrava sicuro! Non sarà mai - gli aveva scritto nel 1728 l'allora semplice cardinal Lambertini - ch'io possa scordarmi di lei, e sempre mi ricorderò della sua persona e delle sue belle virtù intellettuali e morali; e, se stesse a me a comandare, io non la lascerei girare, generale, per i monasteri del suo ordine, ma la vorrei cardinale in Palazzo alla testa dell'affari dottrinali della Chiesa. Nel settembre del 1741, non più il cardinal Lambertini ma proprio Benedetto XIV, nel conferirgli, per impulso proprio dell'animo e non a richiesta o sollecitazione estranea, due piccoli benefici[73], faceva aggiungere senza veli dal suo segretario di Stato che quel segno d'affetto era soltanto mostra e preludio di altre beneficenze. Durante la primavera del 1743, quand'era in laboriosa gestazione la prima e pletorica promozione di ben ventisei cardinali fatta dal nuovo pontefice, non ci fu corrispondente, romano e non romano, del GALIANI che non gli ripetesse in altra forma ciò che gli scriveva dal suo arcivescovato di Benevento l'antico amico Francesco Landi[74], compreso anch'egli tra i ventisei: Chiunque consiglierà bene Nostro Signore non potrà a meno di rappresentare a Sua Santità che, fra quanti soggetti egli possa promovere, non ve n'è alcuno che possa fare più onore alla sua promozione e al Sacro Collegio che lei che, senza adulazione, toto vertice è sopra a tutti. E ancora il 27 agosto 1743, quando l'elenco dei promovendi era ormai definitivo, il bene informato monsignor Bottari parlava dell'inclusione in esso di due regolari, che sono per anco secreti[75], uno dei quali sarebbe stato molto probabilmente il GALIANI. Che cosa avvenisse all'ultimo momento non si sa. L'abate Ferdinando GALIANI parlava di una levata di scudi dei gesuiti. Il Tanucci, invece, in una lettera allo stesso Ferdinando[76], spiegava la cosa da un punto di vista più generale, osservando che 1a storia ecclesiastica, concepita alla guisa del nostro Celestino, non ha fatto cardinali Bossuet, Fleury, Arnaldo(Arnaud), Bottari, GALIANI, Sarpi, Muratori, bensì, concepita in tutt'altro modo, ha fatto Baronio, Bellarmino, Pallavicino, Orsi, e soggiungendo che "Noris fu un miracolo di un papa napoletano, che fu più cavaliere che papa[77], e Lambertini lo fu di un altro buon napoletano, che fu più vescovo che papa[78]. Certo è che, subito dopo la pubblicazione di quell'elenco, nel quale fu cercato invano da parecchi il nome del GALIANI, il Valenti-Gonzaga sentì il bisogno di scrivere al suo antico maestro due lettere[79], nelle quali, tra altri dicorsi parimente misteriosi, parlava da un lato, e proprio a proposito di quel mancato cappello, di fatali contingenze, le quali troncarono i fili più forti delle amicizie e che, determinate da cieca passione, sono di una natura così maligna che non si possono dissimulare da chi vuol soddisfare ai propri doveri; e, d'altro canto, rimproverava al GALIANI di esibire, a proposito di quello ch'egli credeva a sua volta adempimento al proprio dovere, una filosofia seria e grave oltre i limiti, aspra e dura, irragionevole, cioè inflessibile alla ragione[80], e, insomma, uno stoicismo da fare adirare una statua. Dal che è tanto più legittimo concludere che ci furono effettivamente segrete pressioni sul papa contro il GALIANI, e che esse trovarono un aiuto nel l'intransigenza del GALIANI medesimo, in quanto il Valenti-Gonzaga non manca di soggiungere di non avere mutata idea e di non averla mutata in fondo nemmeno (diceva) chi può tanto più di me[81]: onde alla presente omissione si sarebbe potuto pur rimediare nell'avvenire, sempre che quella parte che ha ecceduto [82] si rimetta alla ragione[83], e l'altra [84] riceva per buono il ravvedimento e dia man facile perché succeda. Comunque, anche quell’"infortunio di carriera", che, pel suo contegno immutato, si ripeté nella promozione cardinalizia del 1747, lasciò sereno il nostro Celestino, felice in cuor suo di restare a Napoli cappellano maggiore, anziché tornare a Roma per fare, contro voglia e contro vocazione, il cardinale di curia. E, più di lui, forse dové soffrirne Benedetto XIV, al quale, costretto sovente, durante il suo pontificato, a fare ciò che non voleva e a non fare ciò che voleva, la coscienza, quella volta, non poteva non rimproverare d'aver peccato non solo di lesa amicizia, ma altresì di lesa giustizia. Donde un accrescimento di cordialità nei suoi rapporti personali col vecchio amico, del quale poi fu ben lieto d'aiutare e proteggere il nipote Ferdinando, primo, più intelligente e più riconoscente dei suoi biografi (1758).
XI.
Fra tante cose che il nostro Celestino aveva fatte fino al sessantesimoterzo anno era mancata la guerra; ma la morte di Carlo VI d'Austria (1740) e la conflagrazione europea, che ne fu la conseguenza, gli porsero occasione di conoscere da vicino anche quella. Veramente, poco prima di marciare alla frontiera con un esercito semimprovvisato per difendere il Regno, minacciato dalle truppe del Lobkowitz, Carlo Borbone aveva manifestato il desiderio di non esporre il suo vecchio e fedele Cappellano Maggiore ai disagi e pericoli di quella campagna. Senonché, convinto, per contrario, che, appunto perché c'erano da affrontare disagi e pericoli, il posto del cappellano maggiore, ossia, come s'è visto, dell'elemosiniere regio e del vescovo castrense, fosse accanto al re e in mezzo ai soldati, il GALIANI chiese egli stesso e ottenne dal segretario di Stato Montealegre l'ordine di partire: onde, apparecchiato sollecitamente il suo equipaggio[85], mosse da Napoli, accompagnato dal suo segretario Domenico Squeglia e alcuni domestici, lo stesso giorno del re[86]. I disagi e i pericoli, per altro, e più ancora i patemi d'animo, furono superiori al previsto. Infame quella strada di Montevallone che, per una mossa sbagliata del comando, gli convenne percorrere da giù in sù e da su in giù a pochi giorni di distanza[87], e, tutt'e due le volte, sotto una pioggia torrenziale, accompagnata da frequenti grandinate, e con una fanghiglia cretosa e attaccaticcia che giungeva al petto dei cavalli: donde, per essere restati impantanati tutti i calessi, la necessità - anche per lui, cavallerizzo e podista non troppo valente - di percorrere quelle sette miglia eterne la prima volta a cavallo, e la seconda, per essergli mancato il cavallo sotto, a piedi. E quanto tristi poi i venti giorni[88] di sosta forzata a Venafro! Indisciplinato e quasi privo non solo di servizi di sussistenza ma anche del denaro per improvvisarli, l'esercito napoletano trattò quella grossa terra peggio del paese nemico: da che riduzione di quelle campagne fiorenti quasi a deserto sabbioso; urli, pianti e alti guai dei contadini pagati a bastonate del bestiame che si toglieva loro per forza; e, proprio sotto gli occhi esterefatti del cappellano maggiore, assassinî di pacifici borghesi ammazzati a legnate sulla testa sol perché privi del denaro che si chiedeva loro dagli "svizzeri" a semplice titolo di estorsione. Ne più liete, dopo le tappe di San Germano (7 maggio), Alvito (16), Arpino (17), Veroli (20), Ferentino (21) e Valmontone (25), le sessantatré giornate[89], durante le quali, accampato a Velletri, di fronte al nemico occupante le alture circostanti, e particolarmente quella della Faiola, altresì il nostro Celestino attese con ansia angosciosa una battaglia che tutti dicevano decisiva per le sorti del giovane Regno, al tempo stesso che la crescente indisciplina e le continue diserzioni dei soldati mostravano sempre meno probabile la vittoria. S'aggiunga, dopo che gli austriaci ebbero tagliato l'acquedotto del Faiola, il tormento, col caldo incalzante, della scarsezza d'acqua, a cui si congiunse talora anche quella del cibo e d'indumenti, come, per esempio, quando, per ignavia di capi, che avevano fatto accompagnare il convoglio da due dragoni soli, il nemico catturò a Piperno[90], circa cinquecento muli carichi di viveri e di bagagli, tra cui i tre recanti i vestiti, le biancherie e le argenterie del GALIANI, che, per essergli stato fatto allora prigioniero, perdé il suo segretario. Anch'egli, pertanto, accolse come una liberazione la sorpresa notturna austriaca dell'11 agosto, allargatasi poi a vera e propria battaglia, che, delineatasi pei napoletani primamente come sconfitta, durante la quale mancò poco fosse catturato lo stesso re, finì, quando tutto pareva perduto, col convertirsi in vittoria. Se si fosse saputo sfruttarla, la campagna sarebbe finita fin da allora. Si tornò invece alle antiche posizioni: gli austriaci sulle alture, i napoletani a Velletri, ove soltanto dopo altri ottantatré giorni l'improvvisa ritirata del nemico consentì al nostro Celestino, in mitria, piviale e pastorale, d'intonare con la sua voce sonora il Te Deum di grazie[91]. Ormai dell'opera sua non c'era più bisogno: onde, concessosi, dopo quella bella prova di resistenza fisica e morale, qualche giorno di riposo a Roma nel convento dell'Orso, e rivisti Benedetto XIV, il Valenti-Gonzaga, il Leprotti, il Bottari e qualche altro amico, tornò a Napoli[92], riprendendo, senza interromperla più fino alla morte, la vita ordinaria, consacrata agli studi, alle corrispondenze scientifiche, alla cappellania maggiore, all'Università, al Tribunale misto e anche a dare l'ultimo tocco all'educazione dei nipoti. Di loro, quanto ad ingegno e cultura, sarebbe stato difficile non essere contenti. A vent'anni, Berardo cominciava a dare saggi di quella provetta competenza nell'archeologia e nella teoria, critica e storica delle arti figurative[93], che doveva renderlo un giorno socio dell'Accademia Ercolanense (1755), lodato traduttore e commentatore di Vitruvio (1758) e anche autore d'una voluminosa opera sul bello, che si serba ancora inedita tra le sue carte. E Ferdinando, oggetto pel passato di stupita ammirazione dei precettori, e già ora, a sedici anni, autore di buoni versi e migliori dissertazioni filosofiche, economiche ed erudite, era vantato da tutta Napoli quale miracolo di precocità, versatilità, acume e spirito. D'altra parte, la cura vigile e l'esempio quotidiano dello zio erano pur valsi a sviluppare in tutt'e due la più rigida probità non soltanto privata ma - cosa non frequente nella Napoli di quei tempi - altresì pubblica, che per citare un esempio solo, indusse Ferdinando, nel 1769 a giuocarsi il soggiorno parigino, al quale teneva quanto alla vita, per non piegarsi al duca di Choiseul, che lo avrebbe bramato meno zelante nel curare gl'interessi napoletani, allora in contrasto con quelli della Francia. Tuttavia, tre cose, malgrado i suoi sforzi, monsignor Celestino non era riuscito e non riuscì a trasfondere in quei più che figli: la sua concezione religiosa della vita, la sua febbre di operosità, il suo perfetto equilibrio. Il gaudentismo e la pigrizia di Ferdinando sono passati in proverbio, né per questo verso il fratello era troppo migliore di lui. E, circa l'equilibrio, come in Berardo la serietà dello zio degenerava talvolta in sussiego e pedanteria, così la festosa argutezza di Monsignor Celestino era spinta sovente in Ferdinando a vera e propria buffoneria; come Berardo mancava affatto d'accorgimento pratico, così Ferdinando, per averne o volerne avere troppo, finì qualche volta col commettere, anche nella vita pubblica, errori da cui il suo secondo padre si sarebbe guardato; come in Berardo il sentimento diveniva spesso contemplativo sentimentalismo, così Ferdinando peccava per crudismo e aridità di cuore. Da che non poco cruccio pel nostro Celestino, che, cupido di plasmare l'uno e l'altro a sua perfetta immagine e somiglianza, dimenticava che rare volte discende per li rami l'umana probitate, e, anche quando discenda e nella misura che discende, assume atteggiamenti sempre diversi. Cruccio divenuto più vivo quando per quei ragazzi fu giunto il momento di scegliere uno stato. Monaco e Arcivescovo, nulla egli avrebbe amato più quanto il vederli incamminati per la sua stessa strada, lungo la quale gli sarebbe riuscito più agevole guidarli e aiutarli. Ma, come accade sovente a chi sia educato in ambiente pretesco, se c'era cosa aborrita da loro era precisamente la vita ecclesiastica. Prendere gli ordini minori e godere i frutti magari di molte badie, sì; ma tonsurarsi e, ch'è più, essere preti sul serio com'era lui, votandosi, come lui, a perpetua castità, non mai. Povero Celestino! Quale delusione quando, pur nella sua totale inesperienza di certe cose, ebbe prove irrefragabili che Ferdinando, il quale nei suoi amori partenopei e parigini non diè mai saggio di gusto, finezza e cautela eccessivi, era uno dei più intraprendenti insectatores puellularum dell'amatoria Partenope! E come restò male quando, nel 1748, da Sant'Agata di Sessa, Berardo gli mandò a dire d'avere sposato colà alla chetichella una fanciulla senza (quasi) un soldo e di fare affidamento sulla generosità dello zio! Minacciò, tempestò: poi, naturalmente, perdonò, togliendosi in casa il figliuol prodigo con la moglie, e gioiendo come un vecchio nonno sempre che costei gli regalasse qualcuna di quelle pronipoti[94] che Ferdinando un giorno avrebbe rese celebri. Chi glielo avesse detto, quando viveva solitario a Sant'Eusebio o all'Orso, che un giorno il suo palazzone napoletano sarebbe divenuto teatro non solo di geste di levatrici e nutrici, ma anche di concitati certami oratori tra ben cinque figlie femmine di suo fratello Matteo, che, alla morte del padre[95] - trasferito fin dal 1738 a Napoli alla Gran Corte della Vicaria e, pei meriti del fratello, com'è detto nel preambolo del diploma, nominato marchese, - vennero anch'esse a bussare alla porta ospitale di zio monsignore? Pure, quella vita familiare, turbolenta che fosse, finì con l'attirarlo, occuparlo e naturalmente preoccuparlo. Per tutta quella gente[96] la sua morte sarebbe significata miseria, se, non senza prestare il fianco a una livida calunnia, per altro di breve durata, egli non si fosse imposto, negli ultimi anni, una rigida economia, e, in deroga al diritto canonico, che devolveva alla Camera degli spogli i beni dei regolari viventi fuori monastero, non avesse ottenuto da Benedetto XIV[97] di disporre dei suoi risparmi per testamento. E d'altra parte sentiva troppo i suoi doveri paterni da non trovare il tempo di godere delle gioie, trepidare delle ansie, soffrire dei dolori di tante persone care. Come rise nel 1749 quando Ferdinando fu scoperto principale autore della graziosa beffa letteraria[98] che gli aprì le porte della celebrità! Con quale occhio vigile prima, e quanta trepidazione poi, seguì dal 1749 al 1751 la lunga composizione e il successo del giovanile trattato dello stesso Ferdinando sulla moneta! E con quanto amore, pur da lontano, lo seguì a tappa a tappa nel lungo viaggio d'istruzione (1751-2) che, in premio di quella fatica, gli fece compiere per l'Italia. Vi è un proverbio - gli scriveva a Roma il 14 settembre 1751[99], - vi è un proverbio volgare che dice: "Dum fueris Romae, romano vivito more". Quando costà tutti portano perrucca, anche i prelati più seri, e dà agli occhi il non portarla, io stimerei che doveste portarla ancor voi. Tanto più che i vostri capelli non sono la cosa più bella del mondo, e, oltre a ciò, la perrucca innalzerebbe la vostra piccolezza.
E poco più tardi:
Con sommo mio piacere ho finora buone notizie di lei. Solamente procuri di andarsi uniformando alle civiltà e belle maniere romane. Sopra tutto poi le raccomando e prego di essere anche più del dovere circospetto in parlar delle cose di qua: anzi, per quanto può, sfugga di parlarne. "Mors et vita in manu linguae", se ne ricordi spesso. E di più: "Stultus, etiam si tacuerit, sapiens reputabit, et, si compresserit labia sua, intelligens". Sono insegnamenti dati dallo Spirito Santo per bocca di Salomone”.
E il 18 decembre
Uno de’ maggiori vantaggi del viaggiare dee essere l'osservare le maniere di trattare della gente più culta de’ paesi, per ripulirsi ed imparar a vivere. Così spero che voi farete. Sopra tutto vi raccomando che nel parlare non vi riscaldiate, acciocché possiate parlar sempre con riflessione, per non dir cosa che non convenga ad un giovane savio e ben educato. E ricordatevi di parlar sempre con lode delle cose del paese dove si sta. Se ciò dee praticarsi in tutti i luoghi, specialmente dee osservarsi costì. I romani, e non senza ragione, hanno altissima idea delle cose loro: onde non soffrono volentieri che un forestiere, arrivatovi di fresco, ne parli con poca stima.... Ma finora, grazie a Dio, io di voi ricevo buone notizie da tutte le parti, e da tutti, con molta vostra lode, anche da’cardinali, ne ricevo congratulazioni: il che se mi piace e rallegri, potete voi immaginarvelo, che sapete quanto sempre io vi ho amato e vi amo, e quante cure mi son preso per l'educazione vostra e di vostro fratello, fin a perdervi talvolta la mia quiete ed essere da voi due stimato per molesto ed incontentabile, quando dovevate riflettere che tutto era per vostro bene e che le cose che io da voi pretendeva erano ragionevolissime, attesoché, in genere di educazione, debba particolarmente badarsi che non si contraggano che buone abitudini, dalle quali unicamente dipende la condotta nostra in questo mondo

Predica, che continuava nell'altra lettera del 25 decembre:
A quest'ora voi averete cominciato a conoscere quanto in cotesta corte per un uomo di spirito vi sia da imparare in ogni genere, ma specialmente, che è quello che più importa, intorno alla civil prudenza, cioè di saper vivere, per conciliarsi l'amore e la stima de’ grandi, donde in gran parte dipende la fortuna che può farsi in questo mondo. Post multa, conoscerete che la strada sicura, che mai non isbaglia, sono virtù vera, soda e non apparente, cioè di cose buone che possano conferire alla pubblica felicità. Desidero che questa strada voi battiate, che è la via che tutt'il corso della mia vita ho sempre avuta innanzi agli occhi, con replicar continovamente a me stesso: Iustitia et veritas. Quest'unica strada, senza averne mai tentata altra, mi ha condotto dove, con somma misericordia di Dio, mi ritrovo. Ciò sia detto di passaggio e solamente per vostro bene, acciocché procuriate sempre più, con una lodevole e prudente condotta e con una non interrotta applicazione agli studi, meritarvi quelle lodi che con infinito mio piacere mi vengon date da tutte le parti.
E finalmente (saltando parecchie lettere) il 9 maggio 1752 a Firenze:
La vita frugale de’ signori fiorentini merita essere diligentemente osservata, specialmente da’napoletani, che tanto inclinano all'eccesso opposto, con ridursi poi quasi alla mendicità o almeno a rubare e fare altre azioni turpi, come purtroppo fa qui il pagliettismo e il baronaggio. L'aurea strada è quella di mezzo.... A Bologna trattenetevi qualche settimana ed osservate bene la specola astronomica e la preziosa abbondante suppellettile astronomica che vi è. Andate a vedere la chiaia di Casalecchio, per poter formar idea del modo col quale da’fiumi si deriva acqua per formar canali navigabili, acciocché, se mai qui avessero tanto giudizio di pensare a farne uno per comodo di questa città col deviar l'acqua del Volturno, voi possiate parlare e dirne ancora il parer vostro.
Per altro, chi legga intere negli originali codeste e altre lettere al nipote, che, sempre più rare, giungono fino al settembre del 1752, non solo nota un forte distacco tra quelle anteriori e quelle posteriori al gennaio 1752, ma avverte in queste ultime una decadenza così precipite da correre subito col pensiero a qualche grave novità. La scrittura del nostro Celestino, brutta sempre, ma chiara e ferma, si fa aggrovigliata, confusa, tremolante; i periodi talora non corrono; il tono, qua e la, se non proprio aspro, diventa insofferente e nervoso. Purtroppo, il 1° gennaio di quell'anno c'era stato un colpo apoplettico, sopraggiuntogli a Torre del Greco, e rinnovatosi più forte a Napoli nel febbraio. Un cangiamento d'aria a Pozzuoli[100] e, più ancora, una cura di bagni caldi e stufe a Ischia[101], gli ridiedero l'uso del braccio destro, che era parso quasi totalmente perduto; ma, d'altra parte, gli furono fatali, giacché, credendosi guarito, si riattaccò con tanto accanimento al lavoro da ridursi una larva. Nel maggio del 1753 era così giù che Carlo di Borbone, di sua iniziativa, gli fece ordinare dal primo ministro Giovanni Fogliani[102] di sgravarsi intieramente per due o tre mesi dal peso de’gravi affari del suo impiego e badare unicamente a’bisogni della sua salute. Era un atto d'affetto, a cui si congiunse anche altro[103] di disporre che, in quel periodo di forzato riposo, quale ne fosse stata la durata, venissero corrisposti interi al GALIANI i suoi emolumenti, che dal 1741 erano stati accresciuti di altri 1200 ducati annui[104] per la presidenza del Tribunale misto. Senonché al nostro Celestino parve invece una condanna a morte, della quale sarebbe giunto a procrastinare l'esecuzione, se il re non avesse risposto con un diniego, affettuoso ma fermo[105], a una supplica[106], nella quale afferma che per altri due mesi ancora, fintanto non fosse giunto il tempo di recarsi a Ischia, avrebbe potuto (scriveva), senza verun mio incomodo né pregiudizio di salute, maggiormente per esservi abituato da tanti anni, adempiere a tutti i doveri della mia carica meglio anche di quello che ho fatto per tutto il passato inverno, in cui ho sempre assistito a’concorsi nell'Università degli Studi, al Tribunale misto ed a tutto ciò che ha bisognato pel disimpegno della mia carica, nella quale (soggiungeva) spero di continovare a servire Sua Maestà fin all'ultimo momento di mia vita, Momento che un terzo attacco, contro cui non poterono né bagni né stufe, fece avvicinare a grandi passi fra l'ansia degli amici d'ogni parte d'Italia, di cui restano parecchie lettere trepidanti scritte in quei giorni all'abate Ferdinando; e, tra le altre, del cardinal Valenti-Gonzaga, che volle affermare di dovere al caro monsignore molto più di quanto il mondo credesse; di monsignor Cerati, che nel 1749 s'era recato apposta a Napoli per vederlo; e dell'abate Antonio Niccolini, che, venuto anch'egli a visitarlo nel giugno del 1753, era ripartito per Roma col presentimento d'una catastrofe imminente: Con pensiero delicato, che voleva essere un augurio, Benedetto XIV gli fece pervenire fin dal 14 luglio, cioè con tre mesi di anticipo, la conferma nella presidenza del Tribunale misto pel triennio 1753-56. Ma appena dodici giorni dopo[107] l'abate Ferdinando comunicava al papa e al cardinal Valenti-Gonzaga la morte dello zio, al tempo stesso che ne faceva prendere la maschera e tumulare la salma nella chiesa celestina dell'ascensione, ove anch'egli nel 1787 voll'essere sepolto. Si conosce di sicuro che sulla tomba fu apposta un'iscrizione, che tutto fa supporre composta da un altro grande amico e beneficato dello scomparso, Alessio Simmaco Mazzocchi[108]. Pure, chi si rechi oggi in quella chiesa, rifatta lungo l'ottocento, cercherebbe invano un segno ricordante il sapere e le virtù di monsignor Celestino GALIANI.





I.
Ordinato e medodico, il GALIANI ebbe l'abitudine, almeno nelle circostanze più notevoli della sua vita, di compilare diari, tra i quali i suoi manoscritti, posseduti oggi dalla Società Napoletana di Storia Patria, serbano questi di cui segue l'elenco:
I. Diario del viaggio fatto da don Celestino GALIANO in compagnia dell’ill.mo monsignor Domenico Riviera da Urbino per la visita delle acque delle tre province di Bologna, Romagna e Ferrara[109].
II. Diario del viaggio fatto dal padre lettore don Celestino GALIANO in Città della Pieve in compagnia di monsignor Domenico Riviera nel maggio del 1718 per trattare l'aggiustamento co’ministri del granduca di Toscana intorno alle acque della Chiana[110].
III. Memorie del viaggio fatto in Bologna il mese di ottobre dell'anno 1719[111]. Comincia l’11 ottobre 1719, finisce il 6 giugno 1720, e comprende il racconto giornaliero non solo del viaggio a Bologna ma anche dell'insieme delle operazioni di misurazione e scandaglio del Po.
IV. Frammenti vari d'un giornale senza titolo, indicante minutamente, con gran copia di cifre e calcoli matematici, i particolari dell'anzidetta misurazione. Disseminati nel maggior disordine nel codice sopra citato (numerato e rilegato in epoca recente), essi sono da ordinare così:
1. Dal 12 al 14 decembre 1719[112].
2. Dal 26 al 29 decembre 1719[113].
3. Dal 24 gennaio all'11 febbraio 1720[114].
4. Dal 24 al 29 febbraio 1720[115].
5. Dal 29 febbraio al 1°marzo 1720[116].
6.Dal 6 al 10 marzo 1720[117].
V. Breve diario, senza titolo, della visita al Po compiuta nel 1721[118]. Comincia il 22 febbraio, finisce l’11 maggio.
VI. Memorie istoriche per gli anni 1733 e 1734[119]. Cominciate a scrivere nel marzo del 1734 a Napoli, hanno a principio (novembre 1733-marzo 1734) forma di narrazione continua, salvo dal 9 aprile 1734 al 3 novembre 1736 (giorno in cui restano interrotte) ad assumere quella di diario. La loro importanza storica, oltre che autobiografica, si può vedere dal lavoro Sulla riconquista ispano-borbonica del Regno di Napoli di Nicola Nicolini (Firenze, Olschki, 1930, estratto dall'Archivio storico italiano), che le ha messe largamente a profitto.
VII. Diario del viaggio fatto in Apruzzo mentre son ito servendo Sua Maestà, che partì da Napoli la Mattina del 25 marzo 1744[120]. Fonte di prim'ordine per la campagna velletrana, e che, pubblicata integralmente dal De Blasiis[121], è stata largamente sfruttata dallo Schipa[122]. Oltre codesti diari[123], il GALIANI, circa la metà del 1734, cominciò a scrivere una vera e propria autobiografia, della quale, col titolo Alcune memorie della vita di don Celestino GALIANO[124], abbozzò primamente una breve trama cronologica aggiornata via via fino al settembre del 1750, salvo ad andarla sviluppando, lungo un ventennio circa[125], in un molto più ampio Ristretto della vita di Celestino GALIANO[126], la cui parte scritta consta di sette capitoli. Il primo[127], senza numero d'ordine e anepigrafo, comincia così:
Accostandomi ormai all'età senile, avendo già compiuto[128] l'anno cinquantesimo secondo dell'età mia, per aver sotto gli occhi della mente tutte le mie passate azioni, ho risoluto registrarle in questi fogli, cominciando dal giorno in cui nacqui. Il frutto, che desidero ricavar da tale storia, è di confondermi al cospetto delle mie molte mancanze e di chiedere al Signor Iddio umilmente perdono, e di rendere ancora umilissime grazie alla Maestà Sua divina per li moltissimi benefici da me non meritati, e de’quali purtroppo non ho fatto il miglior uso che doveva e poteva.
Al quale brano giova altresì aggiungere quest'altro[129], che mostra il punto di vista da cui è condotta la narrazione, e che potrebbe anche sembrare il vichiano principio della provvidenzialità della storia, applicato con tanto vigore nella stessa Autobiografia del Vico[130], se le ultime parole (quello che è destinato sarà) non mostrassero che dal GALIANI la provvidenza era concepita nella stessa guisa trascendente di sant'Agostino e del Bossuet, e quindi in modo toto caelo diverso dall'immanente logica interna della storia, professata dall'autore della Scienza nuova.
E qui giova ammirare le occulte disposizioni della divina Provvidenza, che per istrade a noi ignote, ci conduce dov'ella ci ha destinato. Quanto poi il GALIANO ha ottenuto in questo mondo, e la lettura in Sant'Eusebio, e la cattedra di mattematica, ch'egli non volle mai esercitare, e poi di storia ecclesiastica nella Sapienza romana ...(e continua in codesto sguardo d'insieme alla sua vita), tutto è derivato dalla resistenza che egli trovò nel suo padre abate Giucciardini a non volerlo far partire da Roma, nonostanti gl'infiniti sforzi fatti da esso GALIANO per ottenere tal soddisfazione. Sicché con raggione vi è qui tutt'il luogo di ammirare le occulte esterne disposizioni della Provvidenza; e quindi ancor può impararsi che l'uomo, dal canto suo, dee oprar bene e con indefessa fatica rendersi abile a rendere qualche servizio al pubblico, riposandosi poi, in quanto al di più, su le disposizioni della Provvidenza, perché quello che è destinato sarà, e riescon vani i nostri sforzi, quando l'ordine eterno delle cose è contrario a’ nostri desideri.
 Il capitolo secondo[131] s'intitola Continovazione della vita di don Celestino GALIANO dall'anno 1713 all'anno 1719, che egli fu fatto abate del monastero d'Aversa de’celestini. Il ricordo del Landi, ora degnissimo cardinal arcivescovo di Benevento, lo mostra lavorato non prima del 1743, anno dell'elevazione del Landi alla porpora. Notevole poi il brano che segue[132]:
 Il sacerdote Luigi Maille... fu uno di quei che si opposero alle pretensioni della corte di Francia pel noto affare della regalia: perciò, con parecchi altri ecclesiastici, gli convenne uscire da quel regno. Egli ebbe la disgrazia, nel pontificato di Clemente XI, di essere carcerato dal Sant'Officio come preteso giansenista; ma in realtà la sua carcerazione fu effetto dell'odio de’gesuiti verso di lui, a’quali si era renduto assai molesto, perché intendendosela cò nemici della Compagnia di Francia e di Fiandra, faceva a’padri della Compagnia aspra guerra su le materie dottrinali. Il Maille stette anni cinque insieme coll'abate Torelli, francese ancor egli, carcerato in Firenze per l'istessa causa e di là passato in Roma, ne’carceri dell'ìnquisizione romana. Liberato poi specialmente per la difesa che ne prese monsignor Lambertini, oggi Benedetto XIV, egli se ne andò in Parigi appresso il cardinal Noailles.
 Del capitolo terzo[133], intitolato Continovazione della vita di don Celestino GALIANO dall'anno 1719, che egli fu fatto abate, fin all'anno 1731 che, fatto arcivescovo di Taranto, lasciò Roma, ma che effettivamente giunge soltanto fino alla sua nomina a generale dei Celestini (1728), Giova ricordare due brani: l'uno d'interesse soltanto cronologico[134]; l'altro, che suona così:
 Quando noi siamo veramente innocenti e la ragione è dalla parte nostra, le calunnie e le persecuzioni de’malevoli il più delle volte invece di nuocere ci giovano. Il che dee sempre più animarci a fare il dovere nostro, con ferma speranza che, così facendo, i malevoli colle loro calunnie e raggiri non saranno per nuocerci.
Importante nel capitolo quarto[135], intitolato Continovazione della vita di don Celestino GALIANO dal maggio dell'anno 1728, in cui egli fu fatto generale della congregazione celestina, fino al giugno del 1731 che, fatto arcivescovo di Taranto, lasciò Roma, quest’altro brano:
 In questa nuova carica[136] egli impiegò tutto il suo zelo in far fiorire l'osservanza ed i buoni studi nella medesima congregazione. Lontano da qualunque spirito di partito o di fazioni, che fin a quel tempo avean cagionato gravissime scissure nella medesima congregazione, riguardò tutti egualmente, secondo il lor merito, con amor paterno, col non aver altro innanzi agli occhi, rimosso qualunque privato fine, che '1 solo ed unico vero bene della medesima congregazione. Quindi nelle proviste delle dignità e degl'impieghi con iscrupolosa diligenza egli s’informava del merito delle persone, e quelli, che dopo diligente esame trovava più meritevoli, venivano promossi, passando appresso di lui per demerito il farsi raccomandare e '1 procurar offici di persone potenti per ottener cariche e dignità, massimamente nelle famiglie religiose, dove, professandosi umiltà, dee essere bandito ogni spirito di ambizione. E su tal punto fu egli sì dilicato che nelle proviste, in eguaglianza di merito e di requisiti, preferiva sempre coloro che né pure con semplice lettera a lui scritta gli avevano rappresentati i loro requisiti per fargli conoscere che, secondo le leggi della loro congregazione, erano in istato di poter ottenere quella tal carica o dignità che doveva provvedersi. E tutto ciò, perché esso GALIANO ebbe per massima costantemente osservata in tutto il corso di sua vita che le cariche e dignità non dovessero dimandarsi, ma che dovere fusse di ciascun privato di rendersi abile colle proprie fatiche a conseguirle, e che chi presiede alla repubblica debba andar cercando le persone di maggior merito per impiegarle secondo richiede il ben pubblico, giacché le dignità e gli offici nella società non sono già istituiti per accomodar un privato, ma unicamente pel bene pubblico della società. Quod christiani sumus, propter nos est - dice Sant'Agostino; - et quod episcopi, propter vos. E secondo tal massima il GALIANO in tutti gli stati, ne’quali per infinita misericordia del Signor Iddio appresso si ritrovò, e di arcivescovo di Taranto e di cappellano maggiore, egli nelle proviste o fatte da lui o nel proporre i soggetti al re per li vescovati e per altre dignità ed offici, non ebbe altro mai motivo che '1 movesse se non quello del ben pubblico, e che i soggetti fussero i più abili e meritevoli per quel tale impiego che proveder si dovesse. La qual sua retta intenzione fu per lo più secondata dal Signor Iddio, coll’aver fatto cadere le proviste, nelle quali egli ebbe qualche parte, in persone che fecero tutte o quasi tutte un'ottima riuscita, con vantaggio delle diocesi e benedizione de’popoli.
 Per contrario, dei capitoli successivi basta dire che il quinto[137] s'intitola Continovazione della vita dell'arcivescovo don Celestino GALIANO dal giorno 24 giugno 1731, che egli lasciò Roma, fin al maggio dell'anno 1734, in cui le armi spagnuole riacquistarono il Regno di Napoli; il sesto[138]: Continovazione della vita di don Celestino GALIANO arcivescovo di Tessalonica, cappellano maggiore, dall'anno 1734, in cui il Regno passò sotto il dominio di S. M. Carlo Borbone, fin al 1737, che egli fu mandato in Roma per trattar l'aggiustamento delle controversie giurisdizionali; e che del settimo, intitolato Continovazione della vita di don Celestino GALIANO dalla sua spedizion in Roma per comporre le controversie giurisdizionali fin al suo ritorno in Napoli, ch'è a quanto dire dagli 11 di marzo 1737 fin agli 11 luglio 1741, sono scritte soltanto quattro pagine[139], che non contengono nulla di autobiografico, bensì soltanto il principio d'uno schizzo storico sulle controversie giurisdizionali nel Regno di Napoli dal concilio di Trento in poi.
II.
Oltre tutti codesti documenti autobiografici, altra fonte capitale del presente saggio è il carteggio del GALIANI. Purtroppo delle tante lettere scritte da lui ne restano relativamente molto poche: trentotto, ufficiali, al Montealegre inviate da Roma durante le trattative del concordato del 1741[140], che si serbano tutte nell'archivio di Stato di Napoli[141]; tre del 1751 al Girolamo Sersale(1690-1770) duca di Cerisano, ambasciatore napoletano a Roma[142]; una cinquantina e forse meno a diversi, di cui tra le sue carte personali[143] resta ancora la minuta; quasi altrettante a don Guido Grandi, esistenti nei carteggi di quest'ultimo, che, ordinati per corrispondenti, sono custoditi nella biblioteca Universitaria di Pisa. Contavamo proprio di trovare quelle a Eustacchio e Gabriele Manfredi e al cardinal Davia[144] nella Biblioteca Comunale di Bologna, ricchissima di carteggi manfrediani, zanottiani e di altri illustri bolognesi del secolo XVIII; ma, per questa parte, abbiamo provato una delusione. È probabile, per altro, che molte lettere del GALIANI, specie relative al concordato del 1741, si trovino disseminate nei vari fondi dell'Archivio del Vaticano: senonché finora c'è mancato il tempo e l'agio di compiere un'apposita ricerca, che, d'altronde, ai fini del presente saggio sarebbe superflua. Per contrario, malgrado molte dispersioni, restano ancora un paio di migliaia di lettere scritte al GALIANI da più centinaia di corrispondenti italiani e stranieri. La maggior parte degli originali, ordinata per corrispondenti, fu rilegata intorno al 1840 in sette grossi volumi, serbati anch'essi nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria[145],, e consacrati il primo ai cardinali, dal secondo alla prima parte del settimo agli altri corrispondenti susseguentisi alfabeticamente, l'ultima parte del settimo agli anonimi. Ma non mancano errori e duplicazioni: onde, p. e., di più lettere d'un unico cardinale, arcivescovo o vescovo talune si trovano sotto il cognome, altre sotto il titolo cardinalizio, arcivescovili o vescovile; e, ancora, di altri corrispondenti[146], alcune, firmate, sono poste sotto i cognomi, le altre prive di firma, tra cui gli anonimi. Inoltre non sono poche le lettere lasciate fuori da codesti sette volumi, e sparse, nel maggior disordine, in parecchie miscellanee galianee custodite negli scaffali[147] della medesima biblioteca, e in particolar modo nei codici[148]. Vero è anche che, per un primo sommario orientamento, può giovare fin da ora il catalogo generale dei manoscritti della Società storica napoletana, compilato dal sempre compianto Giuseppe de Blasiis, in attesa che sia terminato l'ampio regesto che di codesto materiale epistolografico ha redatto già per circa due terzi chi scrive e che, giunto a compimento, sarà posto nell'anzidetta Società storica a disposizione degli studiosi. Altri particolari sarebbero qui tanto più superflui , in quanto sul carteggio galianeo l'autore del presente saggio ha iniziato altresi una serie di particolari studi, pubblicandone finora due: dei quali l'uno, col titolo Su taluni rapporti di cultura tra l'Italia, l'Inghilterra e l'Olanda[149], mette a profitto le lettere di Guglielmo Burnet, del 's Gravesande, di Tommaso Johnson e di altri; e il secondo, intitolato Tre amici bolognesi di monsignor Celestino GALIANI[150], reca i brani salienti di quelle di Benedetto XIV, del cardinal Davia e del Leprotti[151]. D'altronde, anche prima di chi scrive , il carteggio galianeo aveva richiamato l'attenzione di alcuni studiosi, tra i quali vanno ricordati Placido Troyli[152], che nella sua Istoria generale del reame di Napoli[153] inserì una lettera latina di Michele Larionovitch conte di Woronzow[154], gran cancelliere dell'impero russo, al GALIANI (24 giugno 1739) e la risposta di questo ultimo (18 settembre 1739), l'una e l'altra già edite in un opuscolo senza frontespizio, di cui i manoscritti galianei serbano un esemplare; Benedetto Croce, che ne pubblicò una di Giambattista Vico[155] nella Bibliografia Vichiana[156], ristampata poi in G. B. Vico, Autobiografia, carteggio e poesie varie, ediz. Croce-Nicolini[157], pp. 185-6; Giovanni Gentile, che ne dié una di Matteo Egizio[158], in Pietro Giannone plagiario e grand'uomo per equivoco[159]; lo stesso Croce, che ne pubblicò due di Antonio Conti e parzialmente una del matematico tedesco Giacomo Hermann[160] in un particolar opuscolo Per la storia delle matematiche ai principî del secolo XVIll, estratto dalla Raccolta di scritti storici in onore del prof. Giacinto Romano[161]; e finalmente Mario Mandalari, che ne stampò dieci del De Aguirre in Quindici lettere del conte F. de Aguirre[162], estratto dall’Archivio storico per la Sicilia orientale. Pertanto, qui non è da aggiungere altro se non che per la chiamata del GALIANI all'Università di Torino abbiamo tenuto presenti le lettere del De Aguirre e di Bernardo Lama; per le varie visite al Po quelle del GALIANI al Grandi e del Grandi al GALIANI, più le altre del De Cristofaro, del Marinoni[163], e particolarmente di Eustacchio Manfredi; per i rapporti del GALIANI col Cerati, con l'abate Antonio Niccolini, col cardinal di Polignac, con Gianluca Pallavicino e, con quasi tutte le persone, alte o umili, ricordate nel testo, le molte e poche lettere appartenenti a ciascuna; per le trattative precedenti la bolla Fideli, taluni biglietti del futuro Benedetto XIV; pel mancato conferimento dell'arcivescovato di Salerno e quello effettivo dell'arcivescovato di Taranto e della cappellania maggiore, le altre lettere dei tre D'Harrach[164]; Per la riconferma dell'Università di Napoli quelle viennesi di Pio Niccolò Garelli, del Lama e di altri; per l'ambiente napoletano-romano in cui si svolsero le trattative del concordato del 1741, quelle di Bartolomeo Corsini, di Troiano d'Acquaviva, di Ferdinando Porcinari, di Nicola Antonelli, di Pietro Contegna, di Bernardo Tanucci, di Bartolomeo Intieri, di Alessandro Rinuccini e di altri; per la levata di scudi contro il GALIANI a causa dell'introduzione del Saggio sull'intelletto umano del Locke nel Regno di Napoli, le lettere del cardinal Davia. E via continuando.
III.
Se invece del presente breve saggio biografico, avessimo voluto scrivere su Celestino GALIANI una compiuta monografia, avremmo dovuto studiare a fondo, ed elencare qui, i suoi innumeri manoscritti non autobiografici ed epistolografici[165] serbati non solo tra le sue carte personali[166], ma anche e sopra tutto nell'Archivio Vaticano e, per quanto è a nostra conoscenza, negli archivi statali di Napoli, Bologna e Firenze[167]. E certamente sarebbe bene che altri studiosi, specializzati nelle singole questioni, li ponessero a profitto per approfondire quanto è stato detto da noi per semplici accenni intorno alla partecipazione del GALIANI ai lavori di misurazione del Po, alle discussioni sulla Piana, alle trattative precedenti la bolla Fideli, a quelle, ancora più importanti, relative al concordato del 1741[168], e così via. Renderebbe anzi un buon servigio alla storia della cultura italiana chi avesse il coraggio di spogliare sistematicamente l'immane congerie di atti distribuiti tra le varie rubriche della serie Cappellano maggiore dell'Archivio di Stato di Napoli, per cavarne un particolare studio su Celestino GALIANI cappellano maggiore del Regno di Napoli[169]. Noi ci siamo dovuti contentare di spigolare qualche notizia sussidiaria tra le sue carte personali, e in particolar modo nel cod. XXXI. B. 1, contenente appunti relativi alla questione delle tesi romane; nel cod. XXX. A. 13, ove si trovano talune sue relazioni sull'introduzione del gioco del lotto a Roma; nel cod. XXX. D. 2, serbate prolusioni, abbozzi di lezioni e appunti dei suoi vari corsi di Storia della Chiesa alla Sapienza[170]; nei codd. XXX. A. 11, 12 e 13, ove sono raccolti parecchi documenti relativi alla cappellania maggiore, al concordato del 1741 e al Tribunale misto; e nel cod. XXIX. C. 8, ove a parecchie lettere s'alternano documenti personali e non personali d'ogni sorta. Aggiungiamo per ultimo che nel cod. XX. B. 22, f. 295 sgg., è un esemplare del rarissimo opuscolo: Conclusiones / selectae /ex historia veteris testamenti / Ab Urbe condito ad Abrahae in Chananaeam / profectionem, / Quas sub auspiciis / eminentiss. et reverendiss, principis / Josephi Renati / Imperialis / S. R. E. Cardinalis Diaconi Sancli Georgii / publico examini exponet / In Monasterio Sancti Eusebii Congregationis Coelestinorum / Ordinis Santi Benedicti / D. Bonifacius Pepe / Eiusdem Congregationis Alumnus / praeside / D. Coelestino GALIANO / In praefato Monasterio sacrae Scripturae Interprete / Anno 1708 mense Januaii // Romae Apud Franciscum Gonzagam.MDCCVIII. / Superiorum permissu; - e che nel cod. XXX. A. 16, f. 109, è un foglio volante, parimente a stampa, intitolato : Album professorum Regii Gymnasii Neapolitani, in quo exhibentur materiae tractandae ex die XX octobris MDCCXXXIII ad extremum aprilis MDCCXXXIV, praefecto illustrissimo et reverendissimo antistite d. Coelestino GALIANO, archiepiscopo Thessalonicensi et Carolo VI imp. Regique Catholico a Sacris, a Consiliis, etc.

IV

 Resta ad accennare a quanto abbiamo trattato da testimonianze dirette o indirette di contemporanei, da documenti ufficiali e da lavori di studiosi moderni intorno al tempo in cui il GALIANI visse e agli avvenimenti ai quali partecipò. Circa codesto terzo punto (ci si consenta l'inversione cronologica), l'amico lettore non pretenderà una compiuta e perciò lunga biografia, che la modestia del presente lavoro renderebbe alquanto ridicola, e si contenterà dei soli rimandi che seguono:
1. Sulla Congregazione delle acque in Roma, sugli antecedenti e susseguenti delle varie visite al Po compiute dalle commissioni a cui partecipò il GALIANI[171] e sulla secolare questione della Chiana: Eugenio Casanova, I precedenti storici della bonifica integrale[172], passim, spec. p. 54 sgg.
2.Sulla questione dell'Apostolica Legatia, sulla bolla Fideli ecc.: Michele Amari, L'Apostolica Legazia in Sicilia, in Nuova Antologia, novembre 1867, pp. 435-55[173]; Francesco Brandileone, Diritto bizantino nell'Italia meridionale dall'VIII al XII secolo[174]; Francesco Scaduto, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai giorni nostri[175], il quale appunto (p. 37) presenta la bolla Fideli come una vera e propria vittoria dell'Impero; Francesco Ruffini, Perché il cardinal Baronio non fu papa?, in Per Cesare Baronio, scritti vari nel III centenario della morte[176]; G. F. Savagnone, Contributo alla storia dell'Apostolica Legatia, negli Annali del Seminario giuridico dell'Università di Palermo, VI (1919).
3.Sull'Università di Napoli dalla fine del Seicento alla metà del Settecento, sugli statuti del conte di Lemos, sulla prima riforma del Vidania, su quella del GALIANI, ecc.: Nino Cortese , L’età spagnuola, e M. Schipa, Il secolo decimottavo, nella collettiva Storia dell'Università di Napoli[177]; e, per parecchie e importanti notizie complementari, relative anche a quanto il GALIANI fece o tentò di fare per le scuole private, Gennaro Maria Monti, Per la storia dell'Universilà di Napoli[178], capp. IV e V.
4.Sul salotto napoletano del GALIANI: F. Nicolini, La puerizia e l'adolescenza dell'abate Ferdinando GALIANI, Napoli, 1919, estratto dall'Archivio storico per le province napoletane.
5.Sulle trattative del concordato del 1741: Schipa, Carlo Borbone cit., I, 172-200; e cfr. G. M. Monti, Dal Duecento al Settecento[179], pp.147-51 e 187-90; nonché, per la questione dell'Inquisizione, pel processo del 1692-3 contro gli ateisti napoletani, ecc.: Luigi Amabile, Il Santo Officio dell'Inquisizione in Napoli[180], passim; F. Nicolini, Nuove ricerche sulla vita del Vico[181], pp. 12-6; e La giovinezza di G.B. Vico[182], pp.77-8.
6.Sulle varie persone della famiglia GALIANI: F. Nicolini, La famiglia dell'Abate GALIANI[183].
Analogamente, tra i documenti ufficiali di cui ci siamo avvalsi, non ne citeremo più di sette:
1. La bolla Fideli, inserita, tra altre collezioni, nei Capitula Regni Siciliae [184] II, 511-27.
2. Fondacion y estatutos de la real orden de s.Genaro[185], stampati più volte in opuscoli e inseriti nelle Pragmaticae Regni Neapolitani, ediz. Domenico Alfeno Vario[186], IV, 355-65.
3.Il rescritto di fondazione[187] dell'altro ordine equestre di San Carlo[188]: cfr., quanto al GALIANI, la seconda alinea dell'articolo decimo.
4.Il concordato del 1741, inserito anch'esso nelle citate Pragmaticae, II, 238-54, le quali dànno altresì le plenipotenze e le ratifiche.
5. La bolla sull'ordine di San Gennaro[189].
6. Quella Super iurisdictione et facultatibus cappellani maioris[190].
7. Il motuproprio esplicativo di siffatta bolla[191].
Finalmente, quanto a testimonianze dirette o indirette di contemporanei, un ricordo, sia pure generico, meritano, prima di tutto, i frequenti accenni al GALIANI che si trovano nelle lettere inedite del cardinal Davia a Eustacchio Manfredi, serbate nella Biblioteca Comunale di Bologna[192]; e nelle altre, parimente inedite, così del Manfredi a don Guido Grandi, custodite nella Biblioteca Universitaria di Pisa[193], come di Salvino Salvini e Anton Francesco Marmi a Uberto Benvoglienti, tra i carteggi Benvoglienti della Biblioteca Comunale di Siena[194]. Vedere inoltre l'anonimo Racconto di varie notizie accadute nella città di Napoli, pubblicato dal De Blasiis nell’Archivio storico per le province napoletane, XXXII (1907), p. 608[195]; gli avvisi e i dispacci degli agenti fiorentini a Napoli, serbati nelle filze 4139-4141 del Mediceo dell'Archivio di Stato di Firenze, e particolarmente alle date dell'11 e 18 decembre 1731, 20 maggio 1738, 8 settembre 1739, 23 febbraio 1740, 10 aprile 1742[196]; e, passim, i 42 dispacci inviati da Napoli nel 1738 da Alvise Mocenigo IV, ambasciatore straordinario della Serenissima, e posseduti dall'Archivio di Stato di Venezia, Ministri a Napoli, vol. 69[197]. Notizie del genere si potrebbero rinvenire in un'altra serie archivistica, che non abbiamo avuto agio di spogliare, ossia nei dispacci dei nunzi pontifici, serbati nell'Archivio Vaticano, e dei quali sarebbe bene vedere non solo quelli del ricordato Ranieri Simonetti (1734-6, 1738-44) e del suo successore nella nunziatura di Napoli monsignor Gualtieri, col quale il GALIANI medesimo, nel diario velletrano, narra d'avere avuto rapporti; ma altresì gli altri inviati nel 1718 da Firenze dall'allora nunzio, poi (1738) cardinale,Gaetano Stampa[198], che da una lettera del Marmi al Benvoglienti [199] appare aver partecipato anch'egli a qualcuna delle conferenze sull'affare della Chiana. Né poi è inutile ricordare che fra le carte della Giunta d'inconfidenza contro gli austriacanti[200] c'è una denunzia del 12 decembre 1736 contro il GALIANI, accusato di aver promosso alla carica di lettori cattedratici nei Regi Studi persone di genio alemanno, sue dipendenti, e, fra queste, Marcello Papiniano[201], già professore nell'Università di Torino, e nel 1754 elevato all'arcivescovato di Palermo, suo confidentissimo amico, tornato ultimamente dalla corte di Vienna, conosciuto da tutti per un geniale tedesco[202]. Discorso alquanto più lungo è necessario intorno alle cinque serie di testimonianze che seguono:
1. Giambattista Vico.
Giovan Battista Vico

 - S'è già ricordata la lettera scritta da lui al GALIANI. Qui si aggiunge che gli esemplari della prima e seconda Scienza nuova donati con dediche autografe al nostro Celestino si serbano rispettivamente a Roma dal signor Angelo Marzorati e a Napoli nella collectio viciana di Benedetto Croce. -Vedere inoltre l'epistola dedicatoria a Giovanni Ernesto d'Harrach del 19 ottobre 1731, firmata da Pietro Belli, ma scritta effettivamente dal Vico, in Opere, ediz.Ferrari, VI, 141 sgg.:"Ella.... per molti anni in Roma con la direzione del dottissimo abate don Celestino GALIANI, ora ben degno arcivescovo di Taranto,.... è stata istruita, dopo le cognizioni delle lingue, delle leggi civili e delle storie profane, a meraviglia bene nelle mattematiche, nelle filosofie, nelle storie ecclesiastiche e ne’sagri canoni e, sopra tutt'altre, nell'ampia scienza sublime del diritto naturale delle genti", ecc. E ancora: "Con augusti auspici partiste (col GALIANI) per lo vostro letterario viaggio da Roma, e, giunti qui in Napoli, vi conciliaste la venerazione di tutti i dotti uomini, cò quali entraste in letterari ragionamenti: de’quali sopra tutt'altri mostraste di dilettarvi di quelli che si facessero dintorno a materie di diritto naturale delle nazioni: con l'occasione d'uno de’quali essendosene l’Eccellenza Vostra reverendissima ricordata, Ella al lettore di eloquenza di questi Regi Studi, signor Giambattista Vico, che è il primo il quale in Italia n'ha scritto, gentilmente disse di averne in Roma veduto un di lui libro che ne trattava, e si gli diede l'ardire di presentarglielo il giorno appresso, ed Ella con grandezza d'animo gradinne il presente ed onoronne l’autore". -Tener presente ancora le prime righe del De mente heroica (ivi, p.125): Quum in hac regia Academia utilissimum institutum quotannis litterarum studia solemni ad vos, optimae spei adolescentes, oratione habita, rite et ordine auspicandi satis diu siluisset; et huic nuper creato illustri praefecto (il GALIANI), viro usquequaque doctissimo et in vestra re literaria augenda, quam qui maxime, effuso, id de more hac stata recurrenle die in primis usurpari placuerit: me sane, qui tres super triginta perpetuos annos eloquentiae professoris munere in hac ipsa fungor, et severis meditationibus literariis sum pene absumtus, novum aliquod ad vos afferre argumentum omnino decet, non sententiarum calamistris verborumque cincinnis iuveniliter exornatum, sed quam maxime fieri potest, et ipsarum rerum pondere grave et vestro uberrimo fructu refertum. -Che il Vico fosse tra i frequentatori più assidui del salotto napoletano di monsìgnor Celestino, è asserito da Luigi Diodati, Vita dell'Abate Ferdinando GALIANI[203], p. 4, che, naturalmente, teneva la notizia dal suo biografato. -Per ultimo, i documenti relativi ai benefici resi dal GALIANI al Vico, a suo figlio Gennaro e anche all'altro figlio Filippo sono raccolti nella citata edizione dell’Autobiografia, carteggio e poesie, pp. 304-9[204].
2.Pietro Giannone. - Circa il suo atteggiamento ultracombattivo durante e dopo le trattative per ]'Apostolica Legazia vedere Vita scritta da lui medesimo, ediz. Nicolini[205], pp. 155-69, e il Trattato de’veri e legittimi titoli delle regali preminenze che i re di Sicilia hanno sempre conservato in quel Regno ed esercitato per mezzo del Tribunale della Monarchia, al quale si è aggiunta la prammatica sanzione del re Fìlippo III di Spagna, con l'istoria degli ultimi trattali avuti in Roma colla corte di Vienna e la bolla di Benedetto XIII ultimamente emanata, colle riflessioni sopra la medesima, pubblicato postumo da Augusto Pierantoni col titolo Il Tribunale della Monarchia di Sicilia[206]. -Il parere, ancora inedito, sulla riforma universitaria proposta dal GALIANI nel 1732 s'intitola: Parere intorno alla riforma de’Regi Studi di Napoli disteso dal signor dottore Pietro Giannone sopra le sue memorie, da lui prese in una consulta tenuta in Vienna lì 20 febbraio 1733, coll'infervento del presidente marchese di Villasor, reggente duca Positano, conte di Sintzendorf, reggente conte Perlongo, reggente marchese Alvarez, conte Perlas, reggente marchese Esmandia, reggente don Giuseppe Rifo[207]. Nell'Archivio di Stato di Torino se ne serba la minuta autografa[208] e una copia[209]: un riassunto in Nicolini, op. cit., pp. 73-5. - La pagina giannoniana, a cui s'allude a principio del capitolo X, è un brano aggiunto all'ultimo capitolo del XL libro dell’Istoria civile nell'edizione dell'Aia, 1753, e soppresso dalla censura borbonica nelle ristampe napoletane settecentesche: vedilo in Nicolini, op.cit., pp. 127-30. - Per le teorie sostenute dal Giannone nell'Istoria e nella relativa Apologia cfr., tra gli altri, Fausto Nicolini, Le teorie politiche di Pietro Giannone[210]. - Da notare per ultimo che accenni al GALIANI s'incontrano dal 1732 in poi nelle inedite lettere viennesi scritte dal Giannone al fratello Carlo[211], tra cui è da vedere specialmente quella del 7 luglio 1732, dalla quale appare quanto il Giannone tenesse che fosse offerto anche al GALIANI un esemplare della sua Risposta alle Annotazioni critiche sopra il nono libro della Storia civile del padre Paoli (1732), e quanto il GALIANI gradisse quell'omaggio.
3.Antonio Genovesi.
Antonio Genovesi
- Sui rapporti tra lui e il GALIANI e anche su taluni amici napoletani di quest'ultimo[212] sono fondamentali così la breve autobiografia scritta dal Genovese nel decembre 1755, come un’anonima biografia di lui compilata intorno al 1748, e l'una pubblicata integralmente, l'altra convenienteniente sfruttata ne Le meniorie di Antonio Genovese edite e illustrate da Alessandro Cutolo[213]. Da esse veniamo a conoscere che fin dal 1738 il Genovese, presentato al GALIANI dal Cusano, gli divenne intimo amico (p. 240); che nel 1741 il GALIANI gli fece avere la cattedra universitaria di metafisica, non senza andare, con altri lettori amici, ad ascoltare una sua lezione, e, pur congratulandosi fervorosamente con lui, ribattere una sua confutazione del Locke (pp.268-9); che nel 1743 proprio il GALIANI stornò dal capo di lui una gran tempesta ch'era per iscoppiare a proposito della prima parte della Metafisica, presentandolo e raccomandandolo al cardinale Spinelli (p. 242); che nel 1744 gli fece conferire dal Montealegre l'incarico di riordinargli la biblioteca e dal re Carlo Borbone, per real dispaccio, ossia senza concorso, la cattedra di Etica e politica (242-3); che nel 1748, durante l'accesa polemica tra il Giannone e il clero napoletano, lo stesso GALIANI, scrivendo a Roma[214] in favore del primo, ottenne[215] che la curia pontificia si mantenesse neutrale (244-6);e via continuando. Senza dubbio, il Genovese, mentre scriveva, non aveva totalmente smaltita la stizza suscitata in lui, durante quella polemica, dalla malafede pretesca; e ciò spieghi come mai egli tacci di debolezza l'atto, semplicemente prudenziale, del GALIANI d'inibirgli d'insegnare teologia fino a tanto che si fosse calmato il bollore delle passioni. Analogamente, la corda anticurialistica risuona in lui più forte di quanto sarebbe stato consentito dall'obbiettività storica, quando rimprovera al moderato GALIANI d'avere intrapreso facilmente, ma con egual facilità abbandonato i gran progetti, e, pur nella sua molta conoscenza di mondo, di non aver vinto del tutto certi ostacoli al grande contratti nel chiostro. Ma, d'altra parte, c'è affetto e gratitudine, quando lo presenta quale uomo di bella taglia, di facile abbordo, di gran mente e fornita delle migliori cognizioni, specialmente per quello che appartiene alla filosofia e alla matematica e quale provetto conoscitore degli abili giovani che ,amava portare avanti. E c'è giustizia appassionata, quando riconosce che 1e lettere in Napoli dovevano molto al GALIANI, che gli studi erano barbari prima di lui, e che, se a Napoli si cominciò a insegnare e a studiare la storia naturale, la fisica sperimentale e l'astronomia, se la metafisica e l'etica insegnate nell'Università, da vecchio gergo, divennero veramente filosofia, tutto questo si doveva al GALIANI. - Tenere presente altresì un dialogo dello stesso Genovese[216], in cui monsignor GALIANI e il marchese Fraggianni sostengono rispettivamente, sulle questioni giurisdizionali e la riforma universitaria, il punto di vista moderato o antipagliettistico e quello anticurialistico o pagliettistico, ma che, mercè l'intervento del cardinal Pietro Bembo[217], finiscono con l'accordarsi su una tesi molto cara al Genovese, e cioè che nell'Università qualunque materia si dovesse Celestino, Antonio Niccolini, Gaspare Cerati e del cardinal Valenti-Gonzaga a lui. ormai insegnare, non più in latino, ma in italiano.
4.Ferdinando GALIANI. - Sul suo carteggio, serbato anch'esso nella Società napoletana di storia patria[218], è lavorato gran parte dell'ultimo capitolo del presente saggio, e, più particolarmente, sulle lettere di lui al fratello Berardo e a Domenico Squeglia (1751-2) e su quelle di codesti due e ancora di monsignor Da queste ultime si desume che, morto Celestino, Ferdinando restituì al Valenti-Gonzaga, a richiesta di lui, un plico di lettere e carte alquanto gelose trovate fra i manoscritti dello zio; il che spiega perché tra questi le lettere del Valenti-Gonzaga siano pochissime. - Vedere altresì ciò che, degli ultimi anni di monsignor Celestino, Ferdinando racconta nella prefazione aggiunta alla seconda edizione della Moneta (1780), con l'avvertenza, per altro, che il racconto, a cui qualche altra frangia aggiunse il Diodati[219], è stato rivelato dai documenti quasi tutto fiabesco[220]. - Negli ultimi mesi del 1753 Ferdinando voleva scrivere una biografia del suo secondo padre, ma non ne abbozzò più d'una pagina[221], consacrata esclusivamente a notizie genealogiche dei GALIANI. - Accenni a monsignor Celestino sono nel carteggio di Ferdinando col Tanucci[222]. - L'amicizia di Benedetto XIV per Celestino è menzionata anche in un breve di Clemente XIV[223] a Ferdinando[224]. - La lettera di Ferdinando a monsignor Sanseverino, ricordata nel testo alla fine del capitolo III, è pubblicata integralmente nel citato Giornale storico[225]. Nel suo testamento (1787) Ferdinando legò al suo congiunto barone Giovan Lorenzo GALIANI da Montoro, insieme con carte e quadri di famiglia, la maschera mortuaria, oggi dispersa, e due ritratti di Monsignor Celestino, che si serbano a Montoro dalla famiglia GALIANI[226], alla cortesia della quale dobbiamo d'averne potuto riprodurre uno (il meno rovinato) in testa al presente studio.[227]. - E finalmente che Celestino e Ferdinando GALIANI fossero sepolti nella chiesa dell'Ascenzione, è detto dal Diodati[228].
5.Appiano Buonafede. - Il 30 settembre 1753 egli scriveva a Ferdinando GALIANI, da Rimini, la seguente lettera[229]:
Vengo sollecitato da vari amici letterati acciò si formi un elogio del nostro fu monsignor GALIANI. Io mi addosserei volentieri questo lavoro per la venerazione che ho sempre nudrita per quel valentissimo uomo, quando Ella mi volesse comunicare le notizie opportune. So che il defunto facea una specie di commentario delle sue cose: Ella potrebbe fornirmene un estratto, aggiungendovi ciocché col suo buon giudizio riputerà a proposito. Ho udito dire che Ella pensa a comporne la vita, e fa bene. Il mentovato elogio non pregiudicherebbe punto alla sua idea; anzi in esso si potrebbe preventivamente annunziare il suo lavoro. Faccia dunque questo onore a me, e promova la gloria d'un zio, cui Ella e noi dobbiamo tanto. Quasi sicuro della sua grazia e desideroso di ricambiarla servendola come io possa, divotamente mi raffermo, ecc. ecc.
E il 21 ottobre, parimente da Rimini:
Mi è riuscito d'infinito piacere il gradimento che mi avete mostrato per lo consaputo elogio. La vostra approvazione mi conforta sempre più a dare al mondo questo contrassegno della mia particolare venerazione verso uno de’primi spiriti del nostro secolo e verso il maggiore e, dirò anche, unico lume della nostra congregazione. Balbettino ciocché vogliono i malvagi, ché il gracchiar di cornacchie non persuase mai genti di senno. Frattanto io aspetto con impazienza capire i punti più luminosi della sua vita colle date de’tempi e colle circostanze rilevanti, ché, per la disposizione e per gli ornamenti, ruminerò io. Vorrei però sopra tutto penetrare con chiarezza nell'affare delle acque di Bologna e delle Chiane, ne’negoziati della Monarchia di Sicilia e del concordato di Napoli, e nella famosa disputa romana sulle sue tesi. Ma voi avete una mente troppo ben fatta e non abbisognate sentir da me ciocché occorre per un elogio. Se mi manderete il disegno della medaglia che pensate di far coniare (e non fu mai coniata), io la farò incidere, e servirà di fregio al frontispizio. Se vi pare, potrò anche inserire le iscrizioni sepolcrali…
E finalmente il 30 decembre, sempre da Rimini
L'elogio del nostro monsignor GALIANI, intrapreso da me per diletto, è poi divenuto un impegno. Nella ricerca delle notizie ho incontrato tante puerili difficoltà, tante cabale, tanti raggiri per distornarmi, ch'io, stomacato da prima e poi arrabiato, mi son posto a volerlo compiere a dispetto di chi non volea. Per non nasconderle nulla, io dubitava che Ella ancora fosse stata subornata. La gran tardanza delle sue lettere me ne dava un fondamento. Ma io mi sono colle mani e co’ piedi adoperato in modo che, al giungermi del suo plico , l'elogio era già compiuto, e, tolte alcune piccole varietà, non solamente concorda benissimo colle memorie rimessemi, ma è anche più copioso. Veda la forza dell'impegno. Non ostante, io la ringrazio molto della briga presasi, e le consapute memorie mi saranno in parte utili, almeno per riordinare alcuni fatti de’quali non sapea le date precise. Di due punti solamente vorrei un po’d'illustrazione.
1. Intorno al trattato per la Monarchia di Sicilia dicono le sue memorie che Clemente XI dichiarò falsa e nulla la bolla di Urbano II. Non si dovrebbe dire piuttosto Anacleto II, antipapa, il quale fece ampie concessioni a Ruggiero II re di Sicilia? ... (non si dovrebbe dire).
2. Il signor Gabriele Manfredi mi scrive che "monsignore ebbe gran parte a persuadere mosignore poi cardinal Riviera ad accettare il partito che poi fu quello che prevalse e ch'ebbe effetto nella transazione che seguì fra la Santa Sede e il governo di Toscana". Ciò non si accorda colle memorie....(Gabriele Manfredi ricordava male).
Ma chi, dopo codeste lettere, si faccia a percorrere le trentasei paginette striminzite che il Buonafede intitolò De Caelestini GALIANI, archiepiscopi Thessa1onicensis, vita commentarius[230], prova una gran delusione. I dati di fatto, sempre molto generici e tutt'altro che cronologicamente esatti[231] non superano forse la ventina; e di non esibiti dal GALIANI nell'autobiografia non ce ne sono se non due: il giudizio di Eustacchio Manfredi riferito da noi nel capitolo I[232], e la risposta data da monsignor Celestino quando si parlava della sua destituzione da cappellano maggiore quale austriacante[233]. Tutto il resto[234], è, come diceva il Buonafede stesso, ornamento, ossia vuoto elogio, in cui a malapena abbiamo ripescato qualche tratto della fisionomia morale di monsignore.
Comunque, dalla biografia buonafediana derivano queste tre, ancora più brevi:
1. Appio Anneo de Faba Cromaziano[235], Ritratti poetici[236]. - Riassunto del Commentarius; più, polemica con un ser Gerunzio Maladucci, che contro quell'elogio aveva fatto girare nel 1754 una letteruccia spampata, nella quale, con gentilezza da chiasso e da bettola, si accusa l'autore di tre o quattro errori in latinità.
2. Lorenzo Giustiniani, Celestino GALIANI, in una raccolta, senza titolo, di vite degli uomini illustri del Regno di Napoli, fascicolo VIII, maggio 1798[237].
3. Abate Volo, Celestino GALIANI, in Domenico Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, tomo I [238]
INDICE-SOMMARIO
– Ritratto fisico – Carattere morale – Forma mentis – Maestro ma non scrittore – Del presente lavoro.
(1681-1707). - Nascita e puerizia - Primi studi a Foggia - Primi maestri - Veste l'abito celestino - Nuovi studi e nuovi maestri a Lecce - Primi saggi di autodidascalismo - Studia un corso filosofico del cardinal Tommaso Maria Ferrari - È inviato studente a Roma nel convento di Sant'Eusebio - Nuovi maestri - Si rivela autodidatta - La Summa Theologica di san Tommaso e gli Elementi di Euclide - Monsieur Mony - Primo infruttuoso tentativo di studiare Cartesio - Torna ad Euclide - Stu­dia la geometria solida, le sezioni coniche, l'algebra e il calcolo integrale e differenziale - Gabriele Manfredi - Riprende con frutto lo studio delle opere cartesiane - Un corso di anatomia umana - È confermato studente a Sant'Eusebio per un secondo triennio - Corso di autoperfezionamento - Amicizie letterarie romane.
(1707-13). - È nominato lettore di teologia morale e Sacra Scrittura s Sant'Eusebio - Metodo d'insegnaniento - Impara l'ebraico - È invitato a far discutere pubblicamente alcune sue tesi - Inesistenza dei preadamiti e universalità del Diluvio - Un pettegolezzo di convento - Trionfale discussione delle tesi - È nominato lettore a Sant'Eusebio anche di teologia dommatica - Un viaggio nell'Italia meridionale e amicizie letterarie napoletane - Nuova pubblica discussione di sue tesi - Invidia di altri lettori romani - Cinque sue proposizioni denunziate alla Congregazione dell'Indice come ereticali - Tre anni di accesa disputa al riguardo - Sua condanna, cangiata poi in assoluzione - Filogiansenismo del cardinal Davia e del GALIANI.
(1713-18). - Lettera aperta a Gregorio Calapreso in difesa del newtonianismo. - È nominato lettore di filosofia a Sant'Eusebio - Partecipa ad una commissione pontificia incaricata di studiare l'immissione del Reno nel Po - Dimora a Bologna e amicizia col Manfredi e con gli Zanotti - Sua relazione sulla questione padana e polemiche al riguardo - Referendum europeo - Pareri dell'Accademia delle Scienze di Parigi, della Società Reale di Londra, dell'Accademia di Leida, dei matematici napoletani - Viaggio in Toscana per la questione della Chiana - Gli è data la sopravvivenza nella cattedra di matematica alla Sapienza romana - Gli offrono cattedre nelle università di Padova e di Torino - Riforma dell'Università Torinese - Francesco de Aguirre - Bernardo Lama - Il GALIANI rifiuta di lasciare Roma senza il consenso del Papa, che lo nega - È nominato lettore di Storia della Chiesa alla Sapienza - Il padre Luigi Maille - Prospero Lambertini - Prolusione e corsi di lezioni.
(1718-24). - Nominato abate, passa al convento romano dell'Orso - Discussioni romane sul giuoco del lotto - Apposita congregazione nominata da Clemente XI - Pareri del GALIANI al riguardo - Il lotto è introdotto a - Rorna, poi abolito, poi reintrodotto - Partecipa a una commissione interitaliana incaricata d'una nuova visita al Po - Il generale Lathermann e il matematico Marinoni - Viaggi a Milano, Bologna, Ravenna, Fano, Rimini - Il cardinal Davia, Antonio Leprotti e Giovanni Bianchi - Viaggi a Venezia, Padova, Firenze, e nuove amicizie letterarie - Convegno generale della commissione a Lagoscuro - Morte di Clemente XI - Giacinto de Cristofaro - La questione padana sembra risoluta; ma, morto Innocenzo XIII, torna al punto di partenza.
(1724-28). - Bebedetto XIII e il cardinal Coscia - Il GALIANI è nominato procuratore generale dei celestini - L'abazia di Pratola e il vescovato di Sulmona - Illustri discepoli - Il cardinal Sciarra-Colonna - Il cardinal Valenti-Gonzaga - il cardinal Tamburini - Il cardinale Spinelli - Gian Luca Pallavicino - I figliuoli del viceré d'Harrach - Studiosi inglesi - Sua nomina a socio corrispondente della Società Reale di Londra - Un battibecco col cardinal Cienfuegos a proposito di libri proibiti - Il cardinale Alberoni - Il salotto romano del cardinal Davia - E quello del cardinal di Polignac - Gaspare Cerati e Antonio Niccolini - L'abate Esperti e la Scienza nuova del Vico - La questione dell'Apostolica Legazia di Sicilia - Le bolle di Urbano II e di Clemente XI - Dispute della curia pontificia con Vittorio Amedeo II di Savoia e Carlo VI d'Austria - Orientamento dei partiti anticurialistico, curialistico, e moderato al riguardo - Pietro Giannone - Pietro Perrelli - Il GALIANI è incaricato di trovare insieme con Prospero Lambertini un accomodamento - La bolla "Fideli" - Discussioni viennesi al riguardo - Ratifiche di Carlo VI e di Benedetto XIII - Ire e ingiurie degli anticurialisti e dei curialisti contro il GALIANI.
(1723‑31). - È nominato abate generale dei celestini - Inizia una visita a tutti i conventi italiani - Dimora a Napoli - Le questioni giurisdizionali e il viceré d'Harrach - Tentativo segreto di accomodamento con la curia papale Gaetano Argento e monsignor Perlas - Il GALIANI è aggiunto alla commissione ‑ Morte del Perlas e interruzione delle trattative - Indignazione dei cardinali di curia contro Benedetto XIII e loro accuse contro il GALIANI - Continuazione della “visita" Abruzzo, Ancona, Firenze, Livorno, Pisa, Bologna, Milano, Ritorno a Roma - Morte di Benedetto XIII - Conclave e pasquinate relative - Clemente XII - Il cardinal Neri e il principe Bartolomeo Corsini - Il Leprotti – I "barboni” del Sacro Collegio - Il GALIANI è designato da Carlo VI arcivescovo di Taranto - Esame pubblico al cospetto del papa ‑ Utrum gratia sufficiens detur omnibus - Irritazione e minacce del cardinal Cienfuegos - Il GALIANI accusato nuovamente di giansenismo – Intervento Pacificatore di Clentente XII - Preconizzazione e consacrazione - Partenza da Roma.
(1731-32). - La cappellania maggiore del Regno di Napoli - Il centenario cappellano maggiore Vidania - Due ladroni di strada maestra - Sfacelo dell'Università napoletana - Inadattezza della sede di San Domenico Maggiore - Ignavia dei lettori - Pessima distribuzione delle cattedre e iniqua sproporzione fra gli stipendi - Commissioni di concorso - Sosta del GALIANI a Napoli - Giambattista Vico - Lamentele e confidenze del viceré d'Harrach - Collocamento a riposo del Vidania - Lotta per la successione - È nominato il GALIANI - Sua perplessità e scontento - Accetta - Ma si reca prima a Taranto a conoscere il suo gregge - Rinunzia all'arcivescovato e assume a Napoli la cappellania maggiore - Rapida riforma di quell'ufficio - Destituisce seicento cappellani regi straordinari - Valanga di reclami contro di lui a Vienna e a Roma - Accusato, al tempo stesso, di voler distruggere la regia giurisdizione e d'introdurre a Napoli libri perniciosi alla religione - Sua serena imperturbabilità.
(1732-37). - Suo primitivo disegno di riforma dell'Università - Obiezioni del Consiglio Collaterale - Ostilità del Consiglio di Spagna - Inutile intervento del Giannone a favore della riforma - Se ne approva soltanto il trasferimento dell'Università al Palazzo degli Studi - Il nuovo viceré Visconti - L'autorità militare impedisce al GALIANI di prendere possesso dell'edificio - Guerra di successione polacca - Le truppe austriache lasciano Napoli - Stato in cui il GALIANI trova il Palazzo degli Studi - Arrivo di Carlo di Borbone ad Aversa - Il GALIANI accusato di austriacantismo - Ma il nuovo regime lo conferma nella carica - Ingresso di Carlo di Borbone a Napoli - Fatiche del GALIANI - Riesuma la riforma universitaria - La mancanza di fondi lo costringe a ridurla - Ciò non ostante, pone l'Università al livello di cultura dei tempi - Nuove cattedre e nuovi lettori - Riattamento del Palazzo degli Studi - Trasferimento dell'Università - Solenne inaugurazione - Attività del GALIANI a favore dei lettori e degli studi - Accademia delle Scienze fondata da lui - Suo salotto napoletano - Gianibattista Vico - Antonio Genovese - Ferdinando GALIANI.
(1737-43). - Prime trattative fra le corti di Madrid e di Napoli e quella di Roma - Sacrificio di Pietro Giannone - Risoluzione di stipulare un duplice concordato - Nomina dei plenipotenziari ispano-napoletani: il cardinale Acquaviva ed il GALIANI - Atteggiamento dei partiti difronte alle trattative - Anticurialisti, curialisti e moderati - La camera di Santa Chiara - Orazio Rocca - Prima fase dei negoziati - Il cardinale Spinelli - L'Acquaviva - Il concordato con la Spagna - La bolla d'investitura in favore di Carlo Borbone - Prime trattative del concordato napoletano - Monsignor Tria - Matrimonio di Carlo Borbone - Richiamo del GALIANI a Napoli - Suo ritorno a Roma - Seconda fase dei negoziati - Tattica temporeggiatrice romana - Morte di Clemente XII - Ritorno del GALIANI a Napoli - Niccolò Fraggianni - Il conclave - Elezione di Benedetto XIV ed elevazione alla segreteria di Stato del cardinale Valenti-Gonzaga - Richiamo del GALIANI a Roma – Terza fase dei negoziati - Scatti collerici di Benedetto XIV - Vittoria del GALIANI - Basi del concordato del 1741 - Firma e ratifiche - Ritorno del GALIANI a Napoli - Istituzione del Tribunale Misto - Ne è nominato presidente - Proteste curialistiche - Dispiacimento di Benedetto XIV - Perché il GALIANI non fu cardinale.
(1744-53). Campagna velletrana - Il GALIANI vi partecipa quale arcivescovo castrense - Suo ritorno a Napoli – Educazione dei nipoti - Berardo e Ferdinando GALIANI - Vita familiare - Consigli epistolari al nipote prediletto - Decadenza e morte.
Nota bibliografica
Celestino compose:
Istituzioni teologiche e filosofiche.
Gioco del Lotto.
I. - Diari e memorie autobiografiche
II. - Carteggio
III. - Manoscritti vari
IV. - Testimonianze dei contemporanei, documenti ufficiali, letteratura dell'argomento

CURIOSITA’
ARCHIVIO STORICO PUGLIESE
Lettera dell'arcivescovo di Lanciano Anton Ludovico Antinori a
monsignor Celestino GALIANI per ottenere il passaggio a Trani,
la cui sede che riteneva libera[239]
Ill.mo et Rev.mo Sig.re e P.ne Col.mo
Scrivo questa mia ossequiosissima con mano tremante e spinta piuttosto dall'altrui persuasione. Sento la vacanza della Chiesa di Trani.
V. S. Ill.ma intende il resto. Se stima, che io possa supplicare per la traslazione, essendo io sua creatura, La prego istantissimamente a degnarsi di consigliarmi. Se poi stima che non possa io ottenerla, La supplico a non farne parola. Quando in quella Chiesa V. S. Ill.ma vede che non abbia io a riuscire a profitto e che ci vogliano altri soggetti, mi ritiro affatto ed ho il mio pensiero per audace e per inconsiderato. L'unico motivo, dal quale mi sono indotto a averne l'idea, è quello del clima, che so men soggetto agli scirocchi ed agli umidi di qui, da’quali sono malmenato a segno di non potere applicare quasi affatto e a non potere conciliare il sonno. So che scrivendo a V. S. Ill. ma scrivo ad un padre, che mi ha guidato e sollevato dal niente ch’io era, onde prenderà sempre in buona parte questa mia, ancorché fosse o presunzione o volubilità. Le confesso ancora una mia tenera inclinazione a quella città e a quei paesi e vi aggiungo il genio di poter vivere là dove è Tribunale Collegiato, poiché meno si sentono e sconcerti e petizioni non giuste. Io depongo però la mia volontà in mano dí V. S. Ill.ma da cui attendo qualunque legge sia per darmi, mentre facendole um.ma riverenza le bacio la mano
Um.mo dev.mo serv.re ubb.mo di V. S. Ill.ma e Rev.ma
A. Antinori arcivescovo di Lanciano
Lanciano, 31 dicenibre 1751
Celestino GALIANI ed il ministro Tanucci:
A pag. 82 del vol. 1° in Storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia di Cesare Speranzoni, Editrice Rizzoli & e., Milano 1933-XI si legge:
Bernardo Tanucci
potente ministro del re Carlo III di Borbone

.... in questa riforma della scuola[240] non si ebbe alcuna intenzione di mettere l’istruzione alla portata del popolo minuto. Il pensiero era rivolto ai nobili....«La plebe deve fare arti» rispondeva il Tanucci a (Celestino) GALIANI, che avrebbe ammesso nei collegi i figli di popolani: cfr. Pia Onnis: L’abolizione della Compagnia di Gesù nel Regno di Napoli, in Rassegna Storica del Risorgimento, a. 1928, fasc.IV.
Posa della prima pietra della reggia di Caserta, lettera 49, Caserta 1° del 1752 Vol. 1°:
«…..alla funzione del 20 gennaio (1752) si crede che vi sarà anche l’intervento del Cappellano Maggiore[241]…..»
Sul giornale “Il TEMPO" di domenica 23 marzo 1986, anno XLIII/n’77
si legge sull’articolo “I BORBONI NEL’700” pag.5.


 

……«….Vincenzo Ferrone ci illumina su Celestino GALIANI, lo zio di Ferdinando, come diffusore del newtonianesimo e iniziatore, prima ancora che il Borbone ponesse piede a Napoli, della cultura illuministica partenopea:...».
In un articolo sul giornale "GIUSTIZIA" di Marco Fanini anno imprecisato (dopo il 1983) si lègge:
«......I giuristi napoletani si rifacevano invece alle tesi giusnaturaliste di Grozio e di Puffendorf ed ai concetti del grande Leibniz …..A Napoli fu istituita una cattedra di "Diritto patrio" nel 1753 ad opera di Celestino GALIANI e più tardi, nel 1754, sorse a Napoli ad opera di Bartolomeo Intieri la prima cattedra di Economia Politica del mondo! Entrambi GALIANI ed Intieri[242] erano convinti seguaci della filosofia scientifica ed economica del Leibniz. ....

Pel ritorno dell’Università di Napoli nel Palazzo degli Studi
nel 1736 fu in detta Università posta la seguente lapide:

PUBLICUM MUSAEUM
HAC MAXIMA URBE MAGNI REGIS SEDE DIGNISSIMUM
PRO CASTRIS
DIU IN SQUALORE ET SORDIBUS HABITUM
CAROLUS BORBONIUS
REX UTRIUSQ.SICILIAE DUX PARMAE PLACENTIAEQ.
AC MAGNUS HETRURIAE PRINCEPS
CAELESTINO GALIANO
ARCHIEP.THESSAL.A REGIS SACELLO ET CONSILIO
STUDIORUMQUE PRAEFECTO
CURANTE
PRISTINO NITORI EX PARTE RESTITUIT
FECITQUE SPEM ATQUE ADEO FIDUCIAM
MAGNIFICENTISSIMO OPERE PERFECTO
PACIS ARTES
IPSIUS AUSPICIIS
HEIC FAUSTE FELICITERQUE PROFECTURAS





[1] Maggio 1734.
[2] ?-1738.
[3] E così nel 1736 e nel 1737.
[4] Carlo di Borbone.
[5] 1689-1747.
[6] E dal 1738 anche di Napoli.
[7] ?-1774.
[8] Il già mentovato professore di fisica all'Università)
[9] Il principe Bartolomeo Corsini, Bartolorneo Intieri, Alessandro Rinuccini, Pietro Contegna, l'ex discepolo del Vico Giambattista Filomarino della Rocca, allora ambasciatore napoletano a Madrid, il suo segretario Nicola Carfora e altri)
[10] Proposta , a quanto si dice, patrocinata anche da Antonio Genovese in uno scritto giovanile disperso)
[11] La quale fu anche iniziata)
[12] Per tacere, brevitatis causa, di moltre altre cose.
[13] Cominciato a preparare nel 1739.
[14] Allora ancora inedita, ma divulgata in un visibilio di copie manoscritte.
[15] Per esempio sull'exequatur e sulla questione beneficiaria.
[16] Per esempio sulla sottoposizione dei beni ecclesistici ai tributi.
[17] I cartesiani napoletani.
[18] Date ai preti - diceva il Giannone - tempo e tavolino e siete fritti
[19] Tanto è vero che i partiti estremi, pur combattendosi a oltranza, finiscono con l’aiutarsi a vicenda.
[20] Sostituita nel 1735 all'abolito Consiglio Collaterale del viceré.
[21] 1665-1742.
[22] 425 lire-oro.
[23] E, anche dopo il suo ritorno in sede, pose ostacoli d'ogni sorta all'opera del GALIANI.
[24] E lo confessa in una lettera a lui l'Acquaviva medesimo.
[25] Presentata con grande sfarzo in Montecavallo il 29 giugno.
[26] A cui analoghe insistenze epistolari, provocate dal GALIANI, giungevano periodicamente da Palermo dal principe Bartolomeo.
[27] 1692-1767.
[28] 23 e 30 agosto 1737, 13, 27 e 29 settembre, 29 novembre, 6, 13 e 21 decembre, 3 gennaio 1738, 7, 21 e 28 febbraio, 2, 7, 11, 28 marzo, 18 aprile.
[29] 1676-1760.
[30] 14 maggio 1738
[31] 6 giugno.
[32] 19 giugno.
[33] S'immagini con quanto suo divertimento!.
[34] 1716-93.
[35] 1697-1767.
[36] Altro suo cruccio.
[37] 21 febbraio.
[38] O quanto meno, non formulare alcuna opposizione.
[39] 1686-1763.
[40] Ricordare i suoi rapporti letterari con la signora Du Boccage.
[41] 20 agosto 1740.
[42] 9 dicembre.
[43] Lo scultore dell'arca di San Domenico in Bologna.
[44] 1664-1742.
[45] 1668-1752.
[46] Giacché sull'aiuto fiacco e infido dell'Acquaviva, anch'egli presente alle discussioni, valeva meglio non fare affidamento.
[47] Ne contava ormai circa sessantasei.
[48] 1687-1768.
[49] Che ancora un anno e mezzo dopo non riusciva a perdonarsi d'aver ceduto su questo punto.
[50] Che a Napoli, come volevano i moderati, fu totalmente abolita con un atto d'imperio nel 1747.
[51] Il che significava riconoscere implicitamente quelle ch'erano a Napoli la legislazione e la prassi relative.
[52] 170.000 lire-oro.
[53] Anch'esso, per altro, limitato.
[54] Uno dei punti di dissidio tra anticurialisti e moderati.
[55] Come col detto e col fatto aveva sostenuto il Giannone.
[56] Come, nella pratica, s'usava già da tutti.
[57] e, con esso, buona parte di quello anticurialistico.
[58] 16 maggio.
[59] 22 maggio.
[60] Suddivisi ciascuno in parecchi articoli.
[61] 25 maggio.
[62] Alla prima delle quali, sul cappellano maggiore, nel novembre fu aggiunto un motuproprio esplicativo ed estensivo.
[63] 1688-1762.
[65] ? - 1759.
[66] 25.500 lire-oro.
[67] Gli anticurialisti accesi si contentarono di qualche borbottamento.
[68] E così ancora nel 1744, nel 1747, nel 1750 e nel 1753.
[69] come gli riuscì sempre.
[70] 15 decembre 1741.
[71] 14 decembre 1742.
[72] Divenuta ancora più aspra quando, due anni dopo la morte di lui, la direzione della cosa pubblica fu assunta a Napoli dal fiero ghibellino Tanucci.
[73] La commenda di Sant'Elia da Calastro nella città di Seminara e il beneficio di Sant'Angelo de Cincinnis nella chiesa di Sant'Angelo di Napoli.
[74] 1683-1757.
[75] Furono invece quattro.
[76] 30 settembre 1768.
[78] Benedetto XIV.
[79] 17-24 settembre.
[80] Ossia alle considerazioni utilitarie.
[81] Evidentemente Benedetto XIV.
[82] Il GALIANI.
[83] Sia più transigente.
[84] Benedetto XIV.
[85] Un calesse, due cavalli da sella e tre muli carichi di bagaglio.
[86] 25 marzo1744.
[87] 2 e 14 aprile.
[88] 16 aprile-6 maggio.
[89] 29 maggio-10 agosto.
[90] 12 giugno.
[91] 1° novembre.
[92] 14 novembre.
[93] Particolarmente dell'architettura.
[94] Annamaria e Gaetana.
[95] gennaio 1748.
[96] salvo pel solo Ferdinando.
[97] O, meglio, dal Valenti-Gonzaga.
[98] Componimenti in morte del boia Iannaccone.
[99] e giova, dopo aver parlato sempre noi, fare risuonare direttamente la sua voce all'orecchio dell'amico lettore.
[100] Marzo.
[101] Giugno.
[102] 1697-1780.
[103] Comune, del resto, a tutti i vecchi governi paterni nei riguardi dei loro fedeli servitori.
[104] 5 100 lire-oro.
[105] 8 maggio.
[106] 5 maggio.
[107] 26 luglio 1753.
[108] 1684-1771.
[109] Cod. XXIX, C. 7, ff. 180-201. Comincia il 24 settembre, finisce il 22 novembre 1716.
[110] ivi, ff. 137-45.
[111] ivi, ff. 147-67.
[112] ff. 172-7.
[113] ff. 228-32.
[114] ff. 207-15.
[115] ff. 127-36.
[116] ff.216-8.
[117] ff.219-24.
[119] ivi, ff. 233-47.
[120] ivi, ff. 250-301.
[121] Archivio storico per le province napoletane, XXX, 1905, pp.339-73.
[122] Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone, Albrighi e Segati, 1923,I, 380 sgg.
[123] E chissà quanti altri, oggi dispersi.
[124] Cod. XXIX. C. 8, ff. 188-96.
[125] 1734 c.-1751 c.
[126] Cod. XXIX. C. 7, ff. 1-121.
[127] ff. 1-22.
[128] 8 ottobre 1733.
[129] f. 8 b.
[130] Certamente non ignota al nostro Celestino.
[131] ff. 23-28.
[132] f. 27 a
[133] ff. 29-60a
[134] E tal permissione, cioè quella del lotto in Roma, continova fino al giorno di oggi 22 novembre 1748, che si scrivono queste memorie.
[135] ff. 60 b-90.
[136] di Generale dei celestini.
[137] ff. 91-110.
[138] ff. 111-119a.
[140] 1737-41.
[141] Affari esteri, Roma, fascio 1117.
[142] ivi,fascio 1396.
[143] Quelle possedute dalla Società storica napoletana.
[144] Che, a giudicarne dal numero delle risposte, dovevano, complessivamente, superare le due centinaia.
[145] Segnati XXXI. A. 1-7.
[146] Bartolomeo Intieri, Bernardo Tanucci, ecc.
[147] XXIX, XXX e XXXI.
[148] XXIX. A. 8, XXX. D. 2, XXX. D. 5 e XXXI. B. 1.
[149] Napoli, 1930, estratto dagli Atti della Regia Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli.
[150] Bologna, 1931, estratto dagli Atti della R. Deputazione di storia patria per l'Emilia.
[151] Un terzo, su Eustacchio Manfredi e Celestino GALIANI è in corso di stampa nel medesimo periodico; e un quarto, in preparazione, su Gli amici e corrispondenti napoletani di Celestino GALIANI vedrà la luce al più presto in questo medesimo Archivio storico per le province napoletane.
[152] 1687-1757.
[153] Napoli, 1748-54 vol. IV, Parte IV, pp. 244-7.
[154] 1710-1767.
[155] Napoli, 18 ottobre 1725.
[156] Napoli, 1904, pp.97-8.
[157] Bari, Laterza, 1929.
[158] Napoli, 14 luglio 1731.
[159] Critica, II, 1904, pp.233-4.
[160] 1678-1733.
[161] Pavia, 1907.
[162] Catania, 1907.
[163] Di cui molte da Vienna.
[164] Il viceré e i suoi figli.
[165] Relazioni, rapporti, processi verbali, consulte, processi, sentenze, e via discorrendo.
[166] Che ne hanno anzi, relativamente, una parte piccola.
[167] Qualcosa è molto probabile sia altresì negli archivi nazionali di Vienna.
[168] Sulle quali sarebbe proprio indispensabile una monografia analoga, per ricchezza d'informazioni e bontà di metodo, al bel volume di Walter Maturi sul concordato del 1818.
[169] 1732-1753.
[170] Ivi anche ff. 51-64, la minuta della sua lunga lettera aperta al Calopreso sul newtonianismo.
[171] 1716-1721.
[172] Milano, Treves, 1929.
[173] cfr. anche la Storia dei Mussulmani in Sicilia, III, 302.
[174] Bologna, Fava, 1886, estratto dall’ Archivio giuridico, XXXVI, fasc. 3 e 4.
[175] Palermo, Amenta, 1887.
[176] Roma, 1912.
[177] Napoli, Ricciardi, 1925.
[179] Napoli, Itea, 1925.
[180] Città di Castello, Lapi, 1892.
[181] Napoli, 1929, estratto dagli Atti della R. Accademia di Scienze morali e politiche.
[182] Napoli, 1932, estratto dagli Atti dell'Accademia Pontaniana.
[183] Firenze, 1920, estratto dall'Archivio storico italiano.
[184] Palermo, Felicella, 1743.
[185] 3 luglio 1738.
[186] Napoli,1772.
[187] 22 ottobre 1738.
[188] Pragmaticae, ediz. Cit. , vol. II del Supplementum, pp.239-44.
[190] ivi, testo, II, 420-25.
[191] ivi, IV, 329-30.
[192] Questione delle acque bolognesi, rapporti del GALIANI col Davia, coi Manfredi, col Leprotti, ecc.
[193] Lettera del GALIANI al Calopreso, affari delle acque bolognesi e della Chiana, dimora fiorentina del GALIANI nel 1718, ecc.
[194] Polemica Laderchi-Capassi, affare della Chiana.
[195] Elevazione del GALIANI alla cappellania maggiore.
[196] Nomina a cappellano maggiore, visita pastorale a Taranto, trattative del concordato, diceria che il GALIANI sarebbe stato nominato stabilmente ambasciatore napoletano a Roma, onori funebri resi da lui nell'aprile del 1742 alla piccola infanta Maria Giuseppa Antonia di Borbone, ecc.
[197] Posizione preponderante acquistata dal GALIANI a Napoli.
[198] 1678-1742.
[199] 18 giugno 1718.
[200] Archivio di Stato di Napoli.
[201] ?-1766.
[202] cfr. G. M. Monti, in Samnium, I, anno 1928, pp.63-4.
[203] Napoli, 1788.
[204] e cfr. Giovanni Gentile, Studi Vichiani, Firenze Lemonnier, 1927, indice dei nomi sub GALIANI Celestino.
[205] Napoli, Pierro, 1905.
[206] Roma, Loescher, 1892; e cfr. Fausto Nicolini, Gli scritti e la fortuna di Pietro Giannone, Bari, Laterza 1913, pp. 34-5.
[207] Vienna, 23 aprile 1733.
[208] Mss.Giannone, mazzo I, n. 7.
[209] Mazzo miscellaneo segnato H. VII. 9.
[210] Napoli, 1915, estratto dagli Atti dell'Accademia Pontaniana.
[211] Copia in 12 volumi nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria.
[212] I cardinali Spinelli e Landi, i padri celestini Giuseppe e Celestino Orlando, Bartolomeo Intieri, Alessandro Rinuccini, Marcello Papiniano Cusano, Nicola de Rosa vescovo di Pozzuoli e altri.
[213] Archivio storico per le province napoletane, nuova serie, X, 1924, pp. 232-86) (Archivio storico per le province napoletane, nuova serie, X, 1924, pp. 232-86.
[214] Ossia al Valenti-Gonzaga.
[215] E non fu piccolo servigioì.
[216] Pubblicato da G. M. Monti, in Per la storia dell'Università di Napoli cit., pp.122-8.
[217] In cui è evidentemente adombrato il Genovese stesso.
[218] Per un compiuto catalogo, F. Nicolini, in Archivio storico per le province napoletane, XXXIII, 1908, pp. 184-93.
[219] Op. cit., p. 12 sg.
[220] Cfr. F. Nicolini, Intorno a Ferdinando GALIANI, in Giornale storico della letterarura italiana, LII, 1908, p. 8; e lo stesso, in GALIANI, Moneta, Bari, Laterza, 1915, p.367.
[221] Società napoletana di storia patria, cod. XXXI. C. 8, f. 66.
[222] Cfr. ediz. Nicolini (Bari, Laterza, 1914), I, 76; II, 250, 322.
[223] 23 maggio 1773.
[224] F. GALIANI, Correspondance, ediz. Perey-Maugras, Paris, Calmann Lévy, 1881, II, 218.
ì[225] Vol.cit., pp. 44-5.
[226]Ccfr. Nicolini, La famiglia dell'abate GALIANI cit., p. 15.
[227] Ancora oggi 1997 i detti quadrì , di Matteo, Celestino, Berardo e Ferdinando si trovano depositati presso il museo di San Martino in Napoli per volontà del barone Galiani di cui fu esecutore testamentario il dott. Cutolo suo genero.
[228] Op. cit., p. 86.
[229] Serbata, con le due successive, parimente inedite, nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria, cod. XXXI. B. 18, ff. 139-44.
[230] Faventiae, MDCCLIV, typis Benedicti impressoris episcopalis, necnon academiarum Remotorum ac Philopôn.
[231] (sono errate perfino le date di nascita e di morte.
[232] Pel quale, fonte del Buonafede fu certamente Gabriele Manfredi.
[233] Comunicata certamente al Buonafede dall’abate Ferdinando.
[234] Cioè almeno trenta pagine sulle trentasei.
[235] Anagramma dello stesso Appiano Buonafede.
[236] 5.ª edizione, Napoli, Terres, 1775, pp. 214-19.
[237] Un esemplare nella Biblioteca della Società napoletana di storia patria.
[238] (Napoli, Gervasi, s. a., ma 1808.
[239] Anno XXXII - Fasc.I-1V Gennaio - Dicembre 1979 Grafica Bigiemme-Bari; Biblioteca della Società di storia patria di Napoli, Ms. XXX-A-3, c. 284.

[240] Del Regno delle due Sicilie.
[241] Celestino GALIANI.
[242] Amici fraterni.

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