sabato 12 luglio 2014

7° - IL REGIO CASALE DI CASAPULLA E LA FAMIGLIA " de Natale Sifola Galiani" LA PIU' ANTICA DI DETTO CASALE

Avvertenza ed alcune note sui
DIALOGUES SUR LE COMMERCE DES BLEDS

Giusta l’edizio princep

del 1770  

dell' abate dott. Ferdinando Galiani

Circa il testo, non ho da dichiarare altro se non che dell’edizione orìginale, cartonnée, ho rispettato scrupolosamente grafia, interpunzione, insomma tutto, salvo gli errori di stampa, sia quelli emendati nell’errata-corrige, sia altri sfuggiti a Parigi ai revisori del testo - la D’Épinay, il Diderot e parzialmente il Grimm ‑ e che da Napoli vennero genericamente deplorati dall’autore. Ho dato, insomma, un’edizione diplomatica. Intorno alle appendici illustrative è necessarto qualche chiarimento più diffuso. Del commercio dei grani, considerato sotto l’aspetto politico, il GALIANI, pure avendovi accennato nel Della Moneta (1751) e nell’opuscolo Della perfetta conservazione del grano, pubblicato col nome del pistoiese napoletanizzato Bartolomeo Intieri (1754), cominciò ad occuparsi ex professo a Parigi nel 1764, e, nel primo momento, più che per altro, per dovere di ufficio, cioè a causa della sua carica di segretario dell’ambasciata napoletana presso la corte di Francia. Due avvenimenti storici lo indussero a studiare la vessata questione. L’uno fu la fiera carestia che afflisse il Mezzogiorno d’Italia dagli ultimi mesi del 1763 sino al raccolto del 1764: una carestia a cui tennero dietro, per un verso e per alcuni mesi, una preoccupante cpidemia, derivata dalla carestia stessa, e, per un altro verso e per una decina d’anni, un’aggrovigliata controversia internazionale, suscitata da certo grano commesso dal governo napoletano a Marsiglia e divenuto oggetto di frodi d’ogni sorta. L’altro avvenimento, ancora più importante, fu la pubblicazione dei due editti famosi di Luigi XV, dei quali il primo (1763) consentiva in Francia la libera circolazione del frumento tra provincia e provincia, l’altro (1764) concedeva di esportarlo liberamente anche all’estero.
I documenti galianei relativi all’uno e all’altro avvenimento sono:
1. le lettere del GALIANI al ministro marchese Tanucci per l’anno 1764;
2. Un’amplissima relazione di ben centoundici pagine manoscritte, compilata dal GALIANI nel 1772 col titolo Istoria vera della controversia dei grani di Marsiglia scritta da persona ben informata, col parere sulla giustizia delle pretensioni delle parti litiganti;
3. Una molto più breve relazione anch’essa manoscritta, redatta dal GALIANI sul cadere del 1765 e presentata in Napoli all'anzidetto Tanucci col titolo Storia dell’avvenuto sugli editti del libero commercio de’grani in Francia promulgati nel 1763 e 1764.
Gli scritti citati coi numeri 2 e 3 non solo son totalmente inediti, ma eran sin qui affatto sconosciuti. Circa poi le lettere del GALIANI al Tanucci, gli autografi, insieme con i loro molti e preziosi allegati, andaron purtroppo distrutti nel rogo nefando a cui i tedeschi in ritirata condannarono i documenti più preziosi dell’Archivio di Stato di Napoli. Di esse, precedentemente, erano state pubblicate scelte parziali e non eccessivamente felici; e, inoltre, nel 1903 e anni seguenti, io, nel farmi editore nell’Archivio storico per le province napoletane, e per incarico ricevutone dalla Società Napoletana di Storia Patria, delle lettere del Tanucci al GALIANI riferii, integralmente o per riassunto, soltanto quei brani delle lettere galianee che giovassero a chiarire questo o quel punto oscuro delle ispide epistole del Tanucci. Sicché, per una buona metà, le tutt’altro che ispide, anzi non men divertenti che istruttive lettere del GALIANI al Tanucci restarono ancora inedite. Ciò vuol dire che la summentovata distruzione degli autografi sarebbe stata irreparabile, qualora una compiuta sebbene non sempre corretta copia ottocentesca di essi non fosse venuta, in questi ultimi tempi, per dono munifico degli eredi del senatore Augusto Pierantoni, ad arricchire le tanto decimate collezioni dell’Archivio di Stato napoletano. Quanto desidererei compiere oggi il lavoro inverso a quello a cui, non per mia iniziativa, attesi più di mezzo secolo fa! Quanto volentieri, cioè, pubblicherei per intero tutte le lettere del GALIANI al Tanucci e mi servirei di quelle di quest'utimo esclusivamente per chiarire i rari punti oscuri delle missive del suo delizioso corrispondente! Comunque, si troverà ovvio che l’Appendice prima rechi uno spoglio sistematico dei passi che nelle lettere del GALIANI al Tanucci si riferiscono sia alla carestia napoletana del 1763-64, sia agli editti francesi summentovati. Così la sua lunghezza eccessiva e anche il suo carattere alquanto avvocatesco[1] non inibissero di dar per intero, nell’appendice seconda, l’Istoria vera de’grani di Marsiglia, e costringessero a trascriverne soltanto le pagine iniziali e a soggiungere, in corpo più piccolo, non altro che un riassunto del resto, non senza tuttavia intercalarvi due piccoli brani testuali. A proposito dei quali, sarà bene tener presente che nel 1759 il Tanucci aveva da Napoli mandato il GALIANI a Parigi con la carica apparentemente modesta di segretario dell’ambasciata napoletana, ma col segreto incarico, tutt’altro che modesto, di sostituirsi, senza farlo parere, nella trattazione degli affari più importanti e delicati, a quella vera e propria nullità ch’era l’ambasciatore titolare conte di Cantillana. Da che consegue che quanto, nell’Istoria vera, viene attribuito o, genericamente, all’ambasciata napoletana o, specificamente, al Cantillana, del quale è intercalato altresì un elogio molto pomposo, fu effettivamente opera del GALIANI stesso. Del quale - data la tanto maggiore brevità e dato altresì il tanto maggiore interesse del numero 3 - è ovvio che nell’appendice terza venga pubblicata per intero la Storia dell'avvenuto sugli editti del libero commercio de’grani in Francia. Nel leggere quest’ultima e le lettere galianee, si proverà una sorpresa: che, di fronte a codesto libero commercio e all’abate Morellet, che finirà col divenirne il pìù fanatico e battagliero sostenitore, il GALIANI aveva assunto, per lo meno sino al 1765, un atteggiamento, se non proprio opposto a quello manifestato dal Dialogues, per lo meno profondamente diverso. A che cosa mai è da attribuire un così radicale cangiamcento di opinione, maturatosi dal decembre 1766, data del ritorno di lui da Napoli a Parigi, al novembre 1768, tempo in cui quelli che saranno concetti direttivi dei Dialogues venivan già esposti oralmente dal Nostro nei salotti letterari parigini e, in modo particolare, in quelli, a lui più cari, della signora d’Épinay e del barone d’Holbach? Può darsi che a tal riguardo non restassero del tutto senza efficacia un viaggio che nel 1767 il GALIANI compì a Londra e la vita in comune che, per qualche settimana, egli condusse lassù col suo ospite e amico carissinio, cioè col marchese Domenico Caracciolo, ambasciatore napoletano presso la Corte inglese e non secondo a lui nella visione ultrarealistica della vita in gencre e di quella politica in ispecie. Senonché, a parer mio, l’accento va fatto battere sulla crescente avversione suscitata non soltanto nel Nostro, ma altresì nei suoi amici enciclopedisti, e segnatamente nel Diderot e nel Grimm, dall’astrattismo di quegl’irritanti sostenitori a oltranza del più incondizionato liberismo economico, quali si vennero sempre più manifestando, a prescindere dal loro fondo di ragione, coloro che i contemporanei e, con essi, il GALIANI chiamavano economisti, e a cui noi diamo il nome di fisiocrati. Un’astrattismo, nel quale si direbbe tanto più che il GALIANI fiutasse la futura mentalità giacobinica, in quanto proprio lui, scrivendo il 13 ottobre 1770 alla d’Épinay, parlerà dei fisiocrati come d’un troupeau d’économistes qu’on peut noyer dans un crachat, et qui cependant formeront une secte puissante, et peut-être une religion, parce qu’ils sont tristes et absurdes, et tant soit peu inclinés à cette sédition qui doit, dit-on, rétablir l’égalité des conditions. Impossibile, dunque, che contro quell’astrattismo non finisse col reagire chi, come lui, aveva. da buon napoletano, l’occhio fiso sempre al concreto; e reagire nella guisa che gli era consueta, vale a dire ragionando, sì, a fil di logica, ma, al tempo medesimo scherzando, barzellettando e segnatamente canzonando. Comunque, a passare il Rubicone, ossia a prendere apertamente partito contro i fisiocrati, il GALIANI non si risolverà, se non, conforme s’è detto, nel novembre 1768, che, pertanto, può essere additato come il dies a quo in cui, dopo vive premure non solo del Diderot, del Grimm e della signora d’Épinay, ma altresì del barone d’Holbach, venne iniziata la stesura dei Dialogues.
Ai documenti relativi a codesto periodo, per dir così, d’incubazione è consacrata la quarta appendice, comprendente:
a) Un secondo spoglio del carteggio GALIANI-Tanucci;
b) Brani di due lettere del Diderot a Sofia Volland;
c) Un accenno al d’Holbach in una lettera del GALIANI alla d’Épinay.
Sembra che, nella mente dell’autore, i Dialogues dovessero esser nove. Senonché egli aveva terminato appena di compiere la redazione definitiva del settimo, quando il 29 maggio 1769 da Napoli, invece della consueta lettera confidenziale e amichevole del Tanucci, gli giungeva questo lugubre dispaccio ufficiale, sottoscritto, senza nemmeno un rigo di saluto, dal medesimo Tanucci: È volontà del re che V. S. Ill.ma, fra quattro giorni dal ricevere questo dispaccio, esca da Parigi per portarsi a Napoli al suo destino di Consigliere del Magistrato del Commercio. Glielo prevengo nel real nome, perché così eseguisca. Ben si conosce che a motivare codesto improvviso richiamo a Napoli fu un errore diplomatico commesso, più che dal GALIANI, dal Tanucci o, se non altro, dal GALIANI nel farsi interprete ed esecutore delle direttive generali della politica, sostanzialmente antifrancese, del Tanucci stesso. A ogni modo, i soli quattro giorni di respiro divennero, nel fatto, circa trenta: di che il GALIANI approfittò per porre in carta, «en sanglotant», com’egli scriverà alla d’Épinay, l’ottavo dialogo (non anche il nono). Dopo di che, il 25 giugno, partì, affidando al Diderot e alla d’Épinay[2] tutta una serie d’incarichi relativi al, come chiamava i Dialogues, suo enfant posthume: rivedere sotto gli aspetti ortografico e letterario il manoscritto autografo; chiedere alla polizia un censore e spronar costui a far presto; trovare un editore disposto, come ad affrontare le spese di stampa, così a compensare l’autore con cento luigi; correggere infine due e tre volte le bozze di stampa. Più o meno conosciute, intorno a tutto ciò, eran sinora le lettere del GALIANI alla d’Épinay
madame d'Epinay

dal luglio 1769 a tutto il gennaio 1770: per contrario, più o meno sconosciuti, anzi spesso totalmente o parzialmente inediti, sono ancora, intorno al medesimo argomento, altri documenti epistolari rientrati nel medesimo periodo, quali le lettere inviate al GALIANI principalmente dalla d’Épinay[3], più ancora dal Diderot[4], dal d’Holbach, dal Grimm e dallo stesso luogotenente di polizia, da cui dipendeva anche la censura preventiva della stampa, cioè dal De Sartines, ben noto non solo agli studiosi della storia di Francia, ma altresì ai lettori dei Mémoires di Giacomo Casanova. Documenti tutti che, nei brani relativi alla revisione e alla stampa dei Dialogues, son raccolti ncll’appendice quinta. A questa ne segue una sesta, intorno alla quale è necessario consacrare men breve discorso. Oltre cinquant’anni fa Gaston Maugras - lo studioso che, tra l’altro, nel 1881, aveva curato insieme con la signorina Luce Herpin[5], la più ampia delle quattro edizioni della Correspondance francese del GALIANI - mi scrisse da Parigi d’essere venuto in possesso dell’autografo galianeo dei Dialogues: autografo che nel 1783 la d'Épinay, morendo, aveva lasciato, insieme con quelli delle lettere del GALIANI, al Grimm, e che, pertanto, aveva subito le medesirrie vicende fortunose delle carte di quest’ultimo, scappato da Parigi durante la Rivoluzione e morto poi vecchissimo nella sua Germania nel 1807. Ignoro attraverso quali trapassi l’anzidetto autografo sia da alcuni anni venuto in possesso della Harvard University, a Cambridge, nel Massachusetts. Certo è che un bel giorno, dopo un nutrito carteggio con me, mi si presentò l’ora dottore in filosofia Philip Koch: un giovane nel quale la vivezza dell’ingegno e l’amore per il lavoro son pari alla simpatia grande che emana dalla sua persona, e che per mesi, a casa mia, nella Biblioteca Nazionale, in quella della Società napoletana di storia patria e nell’Archivio di Stato, si consacrò anima e corpo a studiare i Dialogues e il loro autore. Circa due anni fa (1957), egli, dopo aver proseguito le sue fatiche galiance a Parigi e, naturalmente, nell’università americana di cui era stato sin allora studente, mi mandò da laggiù, con una dedica quanto mai affettuosa, un voluminoso dattiloscritto dal titolo FERDINANDO GALIANI’S Dialogues sur le commerce des bleds: a critical edition of the autograph mauiscript: edizione che ha trovato nel dottor Koch, che vi ha premesso altresì un’eccellente introduzione di circa duecento pagine, un recensore che ha atteso alla lunga, paziente, gravosa fatica con diligenza, minuziosità, perizia veramente esemplari. Pertanto ai rapporti intercedenti tra l’editio Princeps del 1770 e codesta critical edition del Koch ho consacrato appunto la sesta appendice, esibente uno spoglio sistematico delle loro varianti non meramente formali. Senonché, prima di passare oltre, occorre, proprio a proposito di questa sesta appendice, porre e tentar di risolvere una questione preliminare. L’edizione Koch - è da chiedere - esibisce il testo mandato in tipografia ed emendato, sia pure ampliamente, sulle bozze di stampa, dalla d’Épinay e dal Diderot? ovvero essa non ci offre se non un abbozzo, quasi tutto rifatto in una posteriore e oggi perduta redazione manoscritta, che, nel separarsi da Parigi, il GALIANI lasciò nelle mani della d’Épinay, perché ella e il Diderot, rivedutala e fattala porre al netto, ne curassero la composizione tipografica? O, per riproporre la medesima domanda in termini diversi: i rapporti che corrono tra l’edizione Koch e quella del 1770 sono più o meno analoghi a quelli intercedenti tra la prima edizione del 1827 e la seconda del 1840 dei Promessi sposi? Ovvero fra i due testi si scorge, se non altro parzialmente, quella distanza tanto maggiore che separa la prima edizione del grande romanzo dall’abbozzo conosciuto col titolo di Fermo e Lucia? A me sembra che, meno e talora molto meno per l’ultimo dialogo, del quale, anzi, si può essere quasi sicuri che no, più e talora molto più, per i primi sette, si debba aderire alla seconda ipotesi. Ed ecco perché. Anzitutto, nell’edizione del 1770 interlocutori dei Dialogues sono il marquis de Roquemaure, al secolo Marcantonio marchese di Croismare[6]; 1’altro francese president de *** du P. de B., ossia il giovane magistrato Armando Baudouin de Guémadeuc[7]; infine l’italiano cavalier Zanobi, nel quale l’autore impersonò se medesimo. Orbene, nell’edizione Koch questi tre nomi cominciano a comparire soltanto dall’ottavo dialogo. Per converso, nei primi sette, la parte dell’obiettante, che finisce ogni volta col riconoscere il proprio torto - parte che nell’edizione del 1770 è affidata al Roquemaure - è assegnata al francese chevalier de Painmollet; quella, per dir così, di giudice di campo, non ancora al Président, bensì al francese monsieur de Painbis; e alla parte di confutatore e trionfatore o, ch’è lo stesso, a impersonare il GALIANI, attende, sì, un italiano, ma recante non ancora il nome di cavalier Zanobi, bensì l’altro[8] di «marquis de Frangipane». In secondo luogo, si voglia por mente ai documenti epistolari raccolti nell’appendice quinta. Il Diderot scriveva tra l’altro: Le manuscrit a été copié; la copie lue et relue avec le scrupule de l’amitié; et l’ouvrage présenté au libraire. Dunque, in tipografia venne mandato non il manoscritto lascìato dal GALIANI alla d’Épinay, bensì una copia esemplata a Parigi dopo la partenza di lui. Da chi? Con Probabilità tanto maggiore dall’abate Mayeul, segretario della d’Épinay[9], in quanto proprio di codesto abate Mayeul il GALIANI, quando dimorava ancora sulla Senna, s’era servito talora come di amanuense. La lettura e la rilettura di codesta copia, una con gli emendamenti che vi furono introdotti, vennero compiute, secondo informa la d'Épinay, da lei e dal Diderot in una giornata sola. Durante quella giornata - soggiungeva la buona signora -, nous nous sommes enfermés le philosophe et moi, et depuis onze heures du matin jusqu’à minuit, nous avons lu et corrigé avec le plus grand soin. Senonché, anche ammesso che a quella faticaccia i due attendessero dieci o undici ore[10], basta pensare che nell’edizione del 1770 la copia rivista da loro occuperà ben 314 pagine per convincersi che gli emendamenti introdottivi non poterono essere né moltissimi, né, soprattutto, molto estesi, se pure essi non vennero circoscritti esclusivamente al dialogo ottavo. «Vos éditeurs - assicurava ancora la d’Épinay - ne sont pas aussi gauches pour faire des corrections importantes à votre ouvrage. Tout cela se reduit à la valeur d’une correction de fautes d’orthographe …, votre ouvrage est resté dans toute sa pureté. Dunque, oltre la correzione di codesti errori ortografici, i due éditeurs avranno gallicizzato gl’italianismi nei quali incappava spesso il GALIANI e introdotto magari altri piccoli cangiamenti di forma: ma il manoscritto lasciato dall’autore a Parigi restò, nella stampa, sostanzialmente inalterato. Di che s’ha una conferma nell’impressione provata dal GALIANI nel rileggere a Napoli l’opera nell’edizione del 1770. J’y ai trouvé peu de changements, mais ce peu fait un très grand effet. ‘Un rien pare un homme’: j’en remercie les bienfaiteurs. Posto ciò, come spiegare che, di fronte al testo rappresentato dall’edizione Koch, l’edizione del 1770 presenta larghe aggiunte, larghe espunzioni e ogni altra sorta di varianti di pensiero? e che quelle meramente formali son tali e tante che, se si volessero additar tutte, converrebbe forse meglio dare i Dialogues due volte? In un modo solo: supponendo che la copia rivista dal Diderot e dalla d'Épinay e consegnata al tipografò venisse esemplata, se non altro per i primi sette dialoghi, non già sulla redazione o, piuttosto, abbozzo rappresentato dall’edizione Koch, bensì, su una seconda redazione stesa dal GALIANI medesimo, il quale, nell’attendervi, oltre che render la lezione più perfetta dové introdurre nel testo per lo meno la maggior parte delle aggiunte ed espunzioni indicate nell’appendice sesta. Una prova parziale di tutto ciò è fornita proprio dall’appendice sesta. Parziale, perché ripeto, le varianti raccolte in questa sono esclusivamente quelle di pensiero. Ma, perché nessun dubbio sussista al riguardo, ecco, qui appesso, quattro specimina comparativi, esibenti altresì tutte le varianti meramente formali. Tre si riferiscono ad alcuni tra i primi sette dialoghi; uno nell’ottavo. Ciò, perché si scorga quanto in questo la lezione definitiva sia men lontana da quella del primo abbozzo. Donde la possibilità o probabilità che quest’ottavo dialogo non venisse riscritto dall’autore, e che, pertanto, nel ricopiarlo, si tenesse presente per l’appunto l’abbozzo rappresentato dall’edizione Kock.
PRIMO SPECIMEN
(dal primo dialogo)
pag. XIX
SECONDO SPECIMEN
(dal quarto dialogo)
pag. XX
TERZO SPECIMEN
(dal quinto dialogo)
pag. XXII
QUARTO SPECIMEN
(dall’ottavo dialogo)
pag. XXIII
Chiarimenti molto più brevi occorrono intorno alle appendici VII-1X, contenenti documenti editi e inediti relativi a quella che, subito dopo la pubblicazione, fu la fortuna dei Dialogues. Nell’appendice settima sono stati raccolti, e, quando occorresse, postillati, giudizi recati sull’opera dal Voltaire, dai due Necker[11], dal Turgot, da Alessandro Verri, dal Fréron o, più esattamente, nella rivista del Fréron, dall’imperatrice di Russia Caterina II e da qualche altro russo, dal Mercure de France, da due innominati, da quattro spagnuoli più o meno pariginizzati, da un medico italiano e un numismatico francese, dal Diderot, dal Grimm. Nell’ottava, laddove vengono ricordati quasi soltanto di volo gli scritti dei quattro fisiocrati che, con la maggiore virulenza e talora insolenza, scesero in campo contro il GALIANI sono stati raccolti i pochi ragguagli superstiti, editi e inediti, della Bagarre: risposta satirica che il GALIANI stese via via contro uno dei quattro e della quale inviò anche alla d’Épinay le varie puntate del manoscritto, ma che, non pubblicata, come si voleva, per ragioni politiche, finì con l’andar dispersa. Circa la nona appendice, essa esibisce tutt’i documenti relativi alla più risonante tra le non poche polemiche suscitate dai Dialogues, e della quale, appunto perché più risonante, non era possibile sbrigarsi, allo stesso modo delle altre, col semplicemente accennarvi nell’ottava appendice. Mi riferisco alla polemica GALIANI-Morellet. A prescindere dalla tanto verbosa quanto noiosa Réfutation de l’œuvre qui a pour titre «Dialogues sur le commerce des bleds», scritta in fretta e furia dal Morellet nelle prime settimane del 1770, già tutta stampata, e anche a spese dell’autore, nel marzo successivo, ma, per un veto del Terray, non pubblicata prima del 1774, dei documenti relativi a quella logomachia eran, sin qui, più o meno noti una lettera del Diderot al De Sartines e una del GALIANI al Morellet, che dal contesto appare replica ad altra del medesimo Morellet. E proprio codesta lunghissima ed ineditissima lettera morellettiana, serbata tra le carte galianee, costituisce il pezzo forte, come usa dire, della nona appendice. Così fosse venuta fuori anche una precedente lettera del GALIANI al Morellet e della quale questa del Morellet è a sua volta risposta. Senonché Panurge, conforme dai suoi canzonatori parigini era stato soprannominato rabelaisianamente il bilioso abate francese, non volle consentir mai ad alcuno, nonché di prender copie di quell’epistola, soltanto di vederla; e il risultato è stato (o sembra sia stato) ch’essa è andata dispersa. Più volte, poi, il GALIANI manifestò il desiderio che in una seconda edizione dei Dialogues fossero date altresì talune sue lettere al Suard e al Baudouin, nelle quali eran chiariti questo o quel punto dell’opera ch’erano o potevano apparire oscuri. Desiderio sodditisfatto nell’appendice decima, nella quale - premesso un paragrafo relativo al D’Alembert - ho anche aggiunto le o non ancora raccolte o inedite lettere del Suard e del Baudouin, alle quali il GALIANI risponde e che, com’è ovvio, rendono a lor volta molto più chiare codeste risposte stesse. Anzi, poiché il Baudouin è, senza averlo saputo mai, il Président dei Dialogues, e poiché di lui si conosce molto poco, m’è parso bene far seguire a qualche cenno biografico una lettera della d’Épinay che lo dipinge al vivo. Al contrario, ho creduto superfluo consacrare una particohlare appendice all’altro interlocutore dei Dialogues, ossia al marquis de Roquemaure, dal momento che un profilo del Croismare fa parte dei miei Amici e corrispondenti francesi dell'abate GALIANI. Nell’undecima appendice, premessi brani di lettere scambiate tra il GALIANI e il De Sartines[12], ho ripubblicato, sull’edizione della Correspondance galianea curata da Eugenio Asse, un mémoire, che, concernente proprio il commercio dei grani e non senza riferimenti ai Dialogues, il Nostro aveva fatto tenere nel 1770 appunto al De Sartines, non senza inviarne, al tempo stesso, una copia alla d’Épinay: copia, che, trovata tra le carte di lei, fu pubblicata primamente nel 1818. Con ciò, Mi sembra d’aver premesso tutto quanto era da premettere da chi, nel presente volume, non ha voluto essere altro che rieditore dei Dialogues e rieditore e talora primo editore d’un certo numero di documenti utili a mostrar la genesi, la composizione letteraria e l’immediata fortuna di quel libro. Che se poi mi si chiedesse di ergermi quasi a giudice di campo nella violenta offensiva scatenata dal GALIANI contro i fisiocrati, dovrei rispondere che, quanto meno sul piano strettamente economico, proprio non potrei. E non potrei, perché mi manca: un’adeguata preparazione precisamente nelle scienze economiche[13]. Senza dubbio, cosiderando i Dialogues dal diverso punto di vista dell’orientamento generale, potrei ben soggiungere che, quanto a finezza d’ingegno, spirito, arguzia, capacità letteraria e segnatamente polemica, ampiezza e varietà di cultura, senso politico e, consegunza di questo, spregiudicata e realistica visione delle cose umane, ecc. ecc., il GALIANI superava di molti cubiti i suoi avversari. Ma vi sarebbe proprio bisogno d’insistere su cose del genere, le quali, divenute ormai una communis opinio, son ripetute da tutti? Piuttosto mette conto far battere l’accento su una ben diversa osservazione: osservazione che non tutti ripetono, sebbene sin dal 1909 fosse formolata da Benedetto Croce quale conclusione d’un suo rapido e vigoroso profilo del GALIANI, occasionato da un mio lavoro giovanile. «Acutissimo - scriveva il Croce - nello scorgere il debole dell’astrattismo e dell’incipiente giacobinismo, il GALIANI non avvertiva ciò che v’era di serio in quel movimento spirituale; di serio, perfino, nei nuovi idoli della «Natura», della «Libertà», dell’«Umanità». Ond’egli non criticava davvero gli avversari, perché non poteva, con ardita anticipazione mentale, sorpassarli. Coloro che hanno giudicato il GALIANI uomo del secolo decimonono e precursore della ‘«scuola storica» dell’economia e del diritto, si sono lasciati ingannare da somiglianze estrinseche, e hanno confuso il senso politico della scuola del Machiavelli e del Guicciardini col senso storico del romanticismo e dell’idealismo postkantiano. Dov'è mai nel GALIANI l’atteggiamento di reverenza innanzi allo svolgersi della storia, poema di Dio? Dove è, in lui, il concetto della Ragione immanente e della provvidenza? Il GALIANI non oltrepassa il secolo decimottavo[14], anzi forse, in alcuni punti, non lo adegua nemmeno; ma si trova tuttavia, di fronte a esso, come un vecchio il quale, incapace d’intendere le nuove aspirazioni del giovane, ha esperienza e sapienza bastevoli per avvertirne le fanciullagini, sorridere delle illusioni, e prevedere dove quegli andrà a fiaccarsi il collo». Conclusione la cui profonda verità è pienamente confermata da quanto il GALIANI medesimo scriveva alla d’Epinay a proposito dell’abisso intercedente tra sé e il Morellet[15]. «Il veut dire que les républiques doivent avoir la liberté du commerce des grains; que les royaumes (cioè le monarchie assolute di tipo francese) ne peuvent ni ne doivent l’avoir, s’ils ne veulent pas se changer en Républiques;.. Il veut changer la France en républiques; moi, je ne le veux pas ... ». Ossia: lui, GALIANI, intendeva restare abbarbicato all’ormai anacronistico ancien régime: i suoi avversari miravano, invece, a suscitare quel terrcmoto politico, che, non più d’una ventina d’anni dopo, pur tra quei lutti e quelle rovine, che, da buon conservatore, il Nostro voleva evitare, avrebbe fatto crollare, proprio dell’ancien régime, le imputridite fondamenta.
Napoli 30 Settembre
1958 Fausto Nicolini
NECKER
Durante il suo soggiorno parigino Ferdinando GALIANI era stato frequentatore assiduo del salotto della moglie – Susanna Curchod de la Nasse[16]; aveva avuto rapporti di più che cordiale amicizia col marito[17]; e chissà quante volte avrà visto in fasce la loro primogenita, cioè la futura madame de Staël
madame de Stael

o Corinne che si voglia dire[18]. Je n’oublierai jamais -.scriverà da Napoli al marito - de vous avoir vu verser des larmes ce dimanche chez l'ambassadeur de Venise, Morosini, hôtel de Tron, que nous sommes séparés[19]. Et je n’oublierai pas non plus d’avoir été bien tenté de renoncer dans ce moment à ma patrie, à mes emplois, à mes revenus, à tout pour rester vivre avec vous et chez vous. Né, nello scrivere alla moglie, mancò una volta - lui, così poco proclive all’entusiasmo - di dirle: Vous, couple unique, vous n‘avez voulu posséder dans ce monde que la vertu et l’estime. La vertu est en vous: elle vous consentirait à n’aimer que vous-même: mais l'estime est hors de vous, et c’est par la reconnaissance envers ceux qui vous la conservent que vous êtes liés d’amitié avec eux. Je suis donc le plus aimé de vous, puisque.je suis le plus grand de vos admirateurs. Naturale, dunque, che un esemplare dei Dialoghi prendesse la strada di casa Necher. Il marito, pien d’affari sino alla cima dei capelli, se la cavò con poche ma significative parole: Je ne lis presque plus et j’ai dévoré votre livre, parce que tout y est idée nouvelle et que ce gibier est grandement rare.
TURGOT
L’uno e l’altro frequentatori del salotto della signorina de Lespinasse[20], il GALIANI e il Turgot erano stati a Parigi ottimi amici, quali, d’altronde, restarono anche dopo che la pubblicazione dei Dialogues li fece trovare in due campi avversi. Cosa ovvia, del resto, qualora si pensi che, tra i fautori dell’illimitata libertà d’esportazione del grano, il Turgot, per ingegno, candore, buona fede, larghezza di vedule, superava tutti. - Voici un terrible livre. Ceux qui voudront y répondre se casseront le nez et ne seront pas lus. Il aura le sort de l’Esprit des lois: così la d’Épinay, [21]riassumeva due lettere del Turgot, divulgate manoscritte per tutta Parigi. Al che il GALIANI rispondeva[22]: Je suis ravi du jugement de M.Turgot. Mon cœur l'avait presenti. J’avais la plus grande estime de son excellent jugement, et j’aurais toujours parié qu’il aurait goûté les Dialogues Forse sarebbe stato meno ravi, qualora avesse letto le due lettere nella lro interezza. Comunque,la prima che è del 19 gennaio 1770 fu destinata a Morellet.

ALESSANDRO VERRI
Così scriveva al fratello Pietro in una lettera romana del 4 luglio 1770:
Alessandro Verri

Non mi hai parlato di certi Dialoghi sul grano scritti in francese dall’abate GALIANI ... Quest’uomo è uno spirito singolare, un composto di eccellenti bons mots, molta grazia, molto comico, infinito spirito, ma in fondo senza logica. È un ingegno così bizzarro che non saprei definire. Ora egli ha stampato questi Dialoghi, parimente indefinibili, se non forse si dica una cosa eccellente che disse Voltaire, cioè che gli parevano composti da Platone e da Molière insieme. Se li leggerai, troverai che Voltaire dice aureamente al suo solito, perché sono scritti colla maniera di dialogare, amena ed elegante, di Platone e colla buffoneria di un comico. lo non sono persuaso da quello che dice in materia, ma è una lettura che mi diverte per la leggiadria con cui sono scritti, e quello che mi fa maggior piacere è il vedere dipinto al vivo il tuono attuale di Parigi. Il libro ha fatto strepito. Morellet gli scrive contro: anzi vi sono state delle lettere piccanti tra lui e l’autore. Diderot è partitante acerrimo del GALIANI, e stima sommamente il suo libro. I francesi che qui conosco non lo possono soffrire, non tanto, cred’io, per la causa della verità, quanto per il ridicolo che dà al loro tuono, nel quale hanno incredibili pretensioni. Vorrei, se hai tempo, che lo leggessi e me ne dicessi il tuo parere. Non ti aspettare che parli mai della materia che a frizzi. La maggior parte del libro è disgressione: è, insomma, una farsa di un uomo di spirito sull’annona.
L’abate ROUSSEAU
L'abate Rousseau

Il est bien plaisant que de tous ceux qui ont écrit sur votre livre, maître Aliboron, dit Fréron, soit le seul qui a eu le sens commun. Je vous envoie cet article par curiotité, mon cher abbé. Vous verrez que son extrait est bien fait et qu’il a approché plus qu’un autre de ce qu’il fallait dire. Voilà, peut-être,quoi vous humilier; mais, en ma qualité de correspondante, je vous dois la vérité, et il est trop vrai que vous êtes le seul homme de génie dont cet animal ait dit du bien.
CATERINA II DI RUSSIA
Nell'aprile 1770 il Grimm scriveva al GALIANI:
l'imperatrice
Caterinna II di Russia
J’embrasse le charmant abbé, le délicieux abbé, le cruel abbé qui nous a quittés et livrés aux bavards à tête creuse. J’avais envoyé son postume à l’impératrice et j’étais bien sûr qu’il ferait fortune auprès d’elle. Puisqu’il n’y a plus qu’un pas de la France à Pétersbourg, je conseille au cher abbé d’y aller et de nous avertir à temps afin que le philosophe[23] et moi nous y trouvions. Il n’y a qu’un rendez-vous de cette espèce qui puisse calmer mes regrets.
A questo breve biglietto precede un Extrait d’une lettre du général Betzky du 26 mars de Pétersbourg, lettera che quel generale – allora ministro russo delle Belle Arti e che negli anni precedenti era stato a Parigi, ove aveva conosciuto il GALIANI nel salotto della signora Geoffrin – aveva inviata al Grimm:
L’aimable abbé dont vous me rappelex le souvenir et qui est retourné à Naples ne pouvait choisir de meilleurs tuteurs[24] à son posthume. Il a eu le succès que le philosophe et vous en attendiez en ce qu’il a plu infiniment à notre auguste souveraine.
Ed effettivamente i Dialogues piacquero non poco a Caterina, che da allora in poi pose l’abatino napoletano nel novero dei suoi protetti. Si conosceva sinora che nel 1772 gli volle affidato l’incarico dell’iscrizione da apporre alla statua di Pietro il Grande elevata a Pietroburgo;
Statua equestre dell'imperatore di Russia
Pietro il Grande


che nel 1776 acquistò per 5750 livres i libri lasciati da Berardo GALIANI fratello dell'abate; che il 25 novembre 1777, in una lettera al Grimm, scriveva: J’ai lu ces jours passés que l’abbé GALIANI, dans ses Dialogues, a dit que c’est un grand assemblage de nombre de contradictions qui forme les grandes caboches, et j’ai dit: - Cela est vrai, c’est une grande idée, un développement sublime de choses, - et depuis ce temps-là, cet assemblage de contradictions trotte dans ma tête - che il GALIANI e la carta geografica del Regno di Napoli disegnata, sotto la direzione di lui, dal Rizzi-Zannoni furono, nel 1780, tra gli argomenti di talune conversazioni tra Caterina e Giuseppe II; - che il 7 settembre di quell’anno essa scriveva al Grimm: L’abbé Galiani a raison: il faut la paix; il la faut non seulement à M. Necker, mais à tout le monde. Cette guerre est la plus sotte guerre qu’on ait jamais vue. C’est une guerre qui se fait pour des sottises et par des sottises; - che il GALIANI da Napoli concorse in misura notevole al programma dei festeggiamenti celebrati a Pietroburgo nel 1782 nella ricorrenza dell’anniversario dell’avvento di Pietro il Grande al trono; - che perciò l’imperatrice Caterina II gli avrebbe fatto pervenire a Napoli parecchie medaglie di alto valore, più un ritratto dell’imperatrice presumibilmente, conforme usava allora, in smalto e coronato di brillanti; - che nel 1783 egli le inviò in omaggio un esemplare della seconda edizione della moneta[25]. Anzitutto nel 1782 il GALIANi scriveva a Caterina II una lettera, e il 25 mars 1782 da Pétersbourg il GALIANI riceveva una lettera da Jean Albert Euler[26], in cui gli si annunciava che per volontà della Auguste Souveraine il 23 mars egli veniva associato all'Accadémie Imperiale des Sciences. Nel 1785 il GALIANI riceveva dal governo Napoletano l’incarico ufficiale di presentare un Projet d’un traité de commerce et de navigation entre Sa Majesté le Roi des Deux- Siciles et Sa Majesté l’Impératrice de toutes les Russies[27] e di condurre a riguardo discussioni epistolari con Antonino Maresca duca di Serracapriola, ministro plenipotenziario napoletano a Pietroburgo: discussioni in virtù delle quali quel Projet diverrà, nel 1787, l’effettivo Trattato che regolerà i rapporti commerciali tra le due potenze sin quando nel 1798 non sarà sostituito da un vero e proprio trattato di alleanza[28].Ai particolari raccolti in codesto saggio che Ferdinando era in rapporti di amicizia con il duca e che forse non fu estraneo alla nomina dello stesso a ministro a Pietroburgo, nomina che il GALIANI difese contro coloro che la criticavano. Non mancan poi nei carteggi inediti di Ferdinando GALIANI epistole di altre teste coronate, nelle quali si profondono alti elogi ai Dialogues. Per esempio, in una del 20 ottobre 1771 di Carlo Guglielmo, allora principe ereditario e dal 1780 duca di Brunswick-Luneburg[29], dopo aver accennato al Dialogues come all’ouvrage le plus intéressant qui parut jamais sur le commerce des bléds, il Brunswick soggiungeva: C’est à Grimm, au philosophe votre ami (Diderot) et à monsieur Helvétius que je dois l’avantage de vous etre connu, et il me souvient avec un plisir melé de regrets d’un diner que nous fimes ensemble chez monsieur Helvétius dans un temps où la France ne croyait pas encore de perdre si tot en vous son plus génie (je parle d’aprés le philosophe) et l’émule de Pascal.
IL GRUPPO DIPLOMATICO SPAGNOLO
Nel tempo in cui il GALIANI dimorò a Parigi s’era formato colà una sorta di gruppo diplomatico italo-spagnuolo, che usava radunarsi nella sontuosa ed ospitale casa dell’ambasciatore spagnuolo don Girolamo Pignatelli conte di Fuentes: una casa in cui si giocava, e piuttosto forte, al faraone, come testimonia Vittorio Alfieri, che la frequentò in una delle sue dimore parigine e che vi conobbe certamente il GALIANI. Componevano quel gruppo il GALIANI, l’inviato genovese marchese di Sorba, i due figliuoli del Fuentes, cioè il marchese di Mora ed il cavalier Pignatelli, il cavaliere di Malta Magallon, segretario dell’ambasciata spagnuola ed incaricato d’affari, dopo che il Fuentes rientrò a Parigi, infine il duca di Villahermosa, parente dell’ambasciatore napoletano a Pariconte di Cantillana.

IL MINISTRO ACTON

La libertà politica veniva, nel 1782, difesa dall’abate GALIANI coraggiosamente contro il ministro Acton, che non voleva riconoscerla[30].

PRELIMINARI ALL’EPISTOLARIO

Quando, sulla Critica del 1903-1904, Fausto Nicolini diede notizia dell’esistenza, tra i numerosi inediti galianei in suo possesso, di un vasto carteggio, pubblicando lettere di d’Holbach, Diderot, Grimm ed altri noti personaggi del secolo dei lumi, la fama di Ferdinando GALIANI era legata, oltre al Della moneta ed ai Dialogues sur le commerce des bleds, alle lettere indirizzate alla d’Epinay ed agli amici francesi. Soprattutto per tale corrispondenza, il Sainte-Beuve, nelle sue Causeries du Lundi, aveva rivendicato GALIANI alla letteratura francese; ed era stata proprio quella corrispondenza, così vivace, arguta e paradossale, a convalidare l’immagine del petit abbé brioso e moqueur, apprezzato più per lo stile brillante che per la solidità e profondità di pensiero: immagine che, rintracciabile in parte presso contemporanei come Marmontel, Morellet e Diderot[31], si ritroverà esemplarmente schematizzata nelle poche righe che all’abate napoletano dedicava Gustave Lanson nella sua Histoire de la littérature francaise: GALIANI a plus de fond et une forme plus¨“réveillante” [rispetto al principe di Ligne, di cui il Lanson aveva precedentemente parlato]. Il est érudit, liseur, penseur, paradoxal avec délices, prophète tour lucide et saugrenu: esprit fin, plaisant, bouffon, ayant gardé dans son style un peu de cet accent napolitain, de cette gesticulation affrénée, qui rendaient sa conversation si amusante. Una caratterizzazione, questa, che il Lanson faceva avendo presente proprio la Correspondance di GALIANI, espressamente citata in nota insieme con i Dialogues. Per molto tempo non furono conosciute di GALIANI che le lettere scambiate con la d’Épinay ed i corrispondenti francesi, lettere pubblicate in due approssimative edizione nel 1818 e, successivamente nel 1881, in altre edizioni assai rigorose: una a cura di Eugène Asse, l’altra a cura di Lucien Perey[32] e di Gastone Maugras, quest’ultima arricchita di numerose lettere e tutt’ora da considerarsi come la migliore edizione del carteggio francese di GALIANI. Tra il 1869 ed il 1880 Augusto Bazzoni pubblicò sull’Archivio storico italiano una scelta della corrispondenza diplomatica tra GALIANI e Tanucci degli anni 1759-69, mettendo così a disposizione degli studiosi nuovi preziosi materiali riguardanti non soltanto GALIANI, ma la Francia ed il Regno di Napoli della seconda metà del settecento. Si tratta, purtroppo, di un’edizione assai difettosa, senza note e con numerosi errori di trascrizione. Fu solo con i citati articoli del Nicolini che agli studiosi vennero segnalate lettere copiose e di grande importanza, tali da gettare nuova luce sull’attività e personalità di GALIANI. Per tutta la vita il Nicolini, infaticabile editore di inediti galianei, vagheggiò il progetto di una grandiosa edizione di tutta la corrispondenza dell’abate, chiudendo la sua operosa vita di ricercatore proprio mentre stava lavorando ad una nuova edizione della corrispondenza francese di GALIANI. C’è veramente da rammaricarsi che il Nicolini non sia mai riuscito a concretare il suo progetto, e che la morte abbia interrotto un lavoro che, sebbene non prevedesse la pubblicazione di tutte le lettere di ed a GALIANI, avrebbe messo a disposizione fonti di notevole interesse. Certo, riunendo i molti saggi in cui il Nicolini è venuto pubblicando, nell’arco di più di un cinquantennio, il carteggio galianeo in suo possesso, si otterrebbe una parte non trascurabile del carteggio medesimo: tuttavia, dalle edizioni nicoliniane sono rimaste escluse lettere meritevoli della massima attenzione[33], si che sarebbe opportuno procedere ad un’edizione integrale della corrispondenza di GALIANI, utilizzando sia le carte della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria[34] sia le carte di altri archivi e biblioteche. Il fondo più cospicuo di lettere scritte da GALIANI o a lui dirette è alla Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria. Pur così vasto, il carteggio costituisce certamente soltanto una parte della corrispondenza che GALIANI intratteneva con i personaggi più diversi. Perché il nostro abate, senza dubbio poco perseverante nelle sue fatiche letterarie[35], fu un instancabile scrittore di lettere. Il GALIANI, che dopo l’exploit giovanile Della moneta non diede più opere di vasto respiro[36], per le quali gli mancavano la costanza dell’applicazione e dalle quali era distratto da un’inquieta curiosità, che lo induceva a saggiare il terreno in varie direzioni, sembra eccellere proprio in quei componimenti che richiedono ed impongono una trattazione stringata, da concludersi nell’ambito di poche pagine: le lettere e le consulte. Non a caso alcune delle cose migliori di GALIANI vanno ricercate proprio nei pareri scritti come consigliere e segretario del Supremo Magistrato del Commercio, dove l’impegno a concentrarsi su un problema preciso e circoscritto escludeva programmaticamente lo sforzo di una meditazione prolungata ed articolata; e, ex contrario, non a caso egli troncherà bruscamente il Trattato sui doveri de’Principi neutrali del 1782, l’unica opera di una certa ampiezza che scriverà dopo il ritorno a Napoli e alla quale,significativamente, confesserà di essersi accinto di malavoglia e solo a causa di un irresistibile comando in alto loco. Come il talento e l’inteligenza di GALIANI hanno modo di manifestarsi delle lucidissime consulte, così essi sembrano sollecitati dal genere stesso della lettera: il componimento breve veniva evidentemente incontro al temperamento dell’abate, facendo scattare la sua disposizione alla battuta arguta, all’ammiccamento ironico, alla notazione penetrante lasciata all’elaborazione del lettore. Assai indicativo è anche il fatto che talvolta avviene una sorta di simbiosi tra lettera e consulta: talune lettere a Tanucci[37] assumono l’aspetto di veri e propri trattati, dove il GALIANI inquadra felicemente il problema, analizzando poi, con minuziosa precisione, nei suoi elementi caratterizzanti. Anche prescindendo dalle lettere alla d’Épinay, che GALIANI, destinandole, tra il serio ed il faceto, alla pubblicazione, curò con particolare attenzione[38], va notato che molte delle lettere scritte senza la preoccupazione di avere altri lettori che non fossero i singoli destinatari sono spesso costruite con una finezza per mezzo della quale il complimento diventa l’occasione per una gustosa divagazione, e la notizia si alleggerisce in una considerazione talvolta sorridente, talvolta ironica, talvolta amara delle proprie ed altrui vicende: si veda ad esempio la lettera all’arcivescovo di Palermo Francesco Sanseverino del 12 aprile 1777, con quella prima parte giocata sul dialogo tra il cuore, il ventricolo e la bocca a proposito dei dolci siciliani, o la lettera del 12 luglio 1774 a Lorenzo Mehus su Troiano Odazi, che ci dà un undimenticabile ritratto psicologico del bizzarro allievo di Genovesi, o, ancora, la lettera del 28 aprile 1772, dove la risposta al Menafoglio, che chiede al GALIANI quali cariche egli abbia, appare risolta sui toni ironici, ed intrisa di una segreta, sofferta stanchezza. La stragrande maggioranza delle lettere conservate tra le carte GALIANI della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria non sono dell’abate, ma dei suoi corrispondenti, si che, a volerci servire di tali lettere, si potrebbe arrivare alla delineazione soltanto indiretta dell’immagine dello stesso GALIANI. Quasi sempre, purtroppo, manca proprio la voce di quest’ultimo in carteggi che, se fosse possibile ricostruire nella loro articolazione dialogica, sarebbero anche più interessanti di quanto siano così come ora li abbiamo. Pensiamo a quali preziose notizie potremmo avere sui dubbi, gli interrogativi, i problemi che accompagnarono la nascita del Della moneta , ed in genere sui progetti e gli interessi del GALIANI giovane, se potessimo disporre delle lettere al conte di Punghino, quel degnissimo, e virtuosissimo cavaliere, che fu paggio del nostro Re, ed ora da molti anni si trova casato in Messina, per il quale GALIANI chiedeva a Bottari, il 20 gennaio 1759 la dispensa necessaria per poter leggere i libri all’Indice. Con il Punghino l’abate intrecciò, tra il 1748 ed il 1753, una fitta discussione sull’amore naturale e l’amore soprannaturale, sull’Anticristo e sull’amore platonico, su questioni metafisiche centrate sull’affermazione di GALIANI - riferita dal suo interlocutore - che la nature est uniforme. Su tale affermazione il Punghino, il 13 ottobre 1748, chiedeva spiegazioni, così come sui due princìpi della solidité e dell’ attraction sottolineati da GALIANI: princìpi che, secondo il Punghino, difficilmente potevano valere per les etres supérieurs, les esprits purs, les Anges, Dieu, et tout enfin ce qui est au dessus de la nature humaine. Il 25 novembre dello stesso anno il Punghino riprendeva questi argomenti, alludendo a significative osservazioni che GALIANI aveva fatte nella lettera del 31 ottobre: Pource qui regarde Dieu et les Anges, scriveva il corrispondente messinese laissons, j’y consens, cette matière à la souveraineté de la théologie. Un frammento di dissertazione di GALIANI sull’Anticristo - in copia di mano del Punghino - è rimasto tra le lettere di questi. È una dissertazione in cui, tra osservazioni erudite ed apparenti dichiarazioni devote, si fa strada una critica mordace ed irriverente; come quando, discorrendo degli Errori commessi sull’opinione del Messia, si afferma che se Gesù Nazzareno non fu né conquistatore né un re, come si aspettavano gli Ebrei, pure le conquiste ci furono, un regno ci fu: Questo regno io lo definisco l’imperio delle idee; battuta da cui GALIANI prende le mosse per una dura polemica contro la Chiesa. La tesi è ardita, che l’imperio delle idee, che ha portato con sé la violenza e l’ignoranza, viene presentato non come un tralignamento dell’autentico spirito della predicazione di Cristo, ma addirittura come il compiersi delle profezie bibliche. I temi discussi con il Punghino[39] non rimangono dunque confinati nell’ambito di una dotta ed un po’oziosa disputa teologica e morale, ma si colorano di vivaci tratti illuministici, con un gusto tutto galianeo per la battuta maliziosa e per il ragionamento ingegnoso condotto sul filo del paradosso. Anche di altri personaggi si è costretti ad ascoltare un monologo, sebbene nelle loro lettere si possono cogliere accenni a idee e posizioni dell’abate. Tali lettere - ed è questo un altro motivo dell’interesse che presentano i documenti della B.S.N.S.P. - costituiscono fonti di primaria importanza per la migliore conoscenza di figure di primo piano della cultura e della politica italiana del settecento. Una di tali figure è certamente quella di Gaspare Cerati, il dotto provveditore dell'università di Pisa, che GALIANI conobbe a Napoli nell’aprile del 1749 e con il quale mantenne per anni una corrispondenza di eccezionale interesse giuntaci purtroppo soltanto parzialmente. Il Cerati, amico e corrispondente di Celestino GALIANI, discute con il giovane Ferdinando di problemi economici, delle opere del Genovesi e di Intieri, del Della moneta; parla con ammirazione di Montesquieu, suo incomparalile amico; accenna ad un’opera De re tributaria che GALIANI  aveva progettato di scrivere; dà notizia di libri di Uztàriz, Ulloa, Forbonnais. Temi siffatti rendono tanto più incresciosa l’assenza degli interventi galianei. Di tale assenza ci si rammarica anche nel leggere le numerose lettere di Pietro Paolo Celesia, il diplomatico genovese del cui carteggio con GALIANI è stato recentemente pubblicato il primo volume. Mancano pure le lettere di GALIANI a Filippo Argelati, l’erudito editore milanese del De monetis Italiae, che l’11 luglio 1753 invitava GALIANI ad inviargli il materiale da inserire nel quinto tomo della sua raccolta, così come mancano quelle ad Antonio Menafoglio, l’inquieto patrizio lombardo che fu membro dell’Accademia dei Pugni. Sono lettere, queste che sono state citate, che oltre ad essere di per se notevoli rivelan, o talvolta tratti del carattere di GALIANI, gettano luce sui suoi interessi, ci informano dei suoi progetti non realizzati. Già si è accennato a quel De re tributaria che rimase tra le tante velleità dell’abate; ed ecco in una lettera di Celesia - già segnalata dal Fausto Nicolini e dal Rotta - aprirsi uno spiraglio su una valutazione non benevola di GALIANI nei confronti del Beccaria[40] testimonianza[41] di un involuzione conservatrice del GALIANI post reditum[42]. Nella lettera del 20 settembre 1754 lo stesso Celesia accusa il GALIANI di irresolutezza criminosa; il libraio ed editore romano Niccolò Pagliarini ed il dotto etruscologo Anton Francesco Gori sollecitano invano scritti di GALIANI, rispettivamente per il Giornale de’letterati e per la Colombaria, mentre la fastidiosa insistenza con cui GALIANI richiede benefici presso la curia romana è documentata dalle lettere del cardinale Silvio Valenti-Gonzaga e da quelle di Antonio Niccolini. Di grande dovevano essere le lettere di GALIANI al vecchio Intieri. Nelle lettere intieriane si discute del palorcio, una macchina inventata dall'Intieri, si accenna a temi come quello dell’annona di Napoli[43], che GALIANI riprenderà anni dopo, si menzionano libri sulle monete, tra cui un «noioso librettucciaccio intitolato Delle monete in senso pratico e morale, ragionamento[44] diviso in sette capitoli», aspramente criticato[45]. Le lettere, importanti anche per le vicende esterne della pubblicazione del Della moneta, esprimono più volte l’entusiasmo, tipicamente intieriano, per progressi, che fanno sperare in ulteriori passi in avanti, dei tempi in cui si vive, e traboccano di lodi sperticate a GALIANI, il quale dovette alla fine stancarsi di tanti elogi e farlo capire ad Intieri, se questi, nella già citata lettera del 4 marzo 1752, scriveva: Sento rimproverarmi da voi come noiosamente unisono, ma io disprezzo simili rimproveri, e bado con attenzione al bene vostro, e della vostra Patria e della Cristianità. Non è possibile qui indicare tutti i corrispondenti di Ferdinando GALIANI: oltre ai già menzionati, basti ricordare, tra gli italiani, Appiano Buonafede, Giuseppe Simonio Assemani, Andrea Memmo, Iacopo Facciolati, Pompeo Neri, Celestino Orlandi; tra gli stranieri - oltre a quelli più famosi, come il Diderot, il Grimm, il d’Holbach, il Suard, - Ernesto Luigi ed Augusto di Sassonia-Ghota, il marchese di Mora, il Bourlet de Vauxcelles, il Pellerin, il Sartine.



Gli amici francesi dell'abate Galiani

Sono personaggi con cui l’abate si intrattiene delle questioni più diverse, dalle erudite alle letterarie ed alle economiche, sotto lo stimolo di una mobile ed inquieta curiosità. Passando ora ad esaminare le lettere scritte da GALIANI di cui siamo a conoscenza, si desidera sottolineare la precisa volontà di individuare un filone unitario: quello degli interessi economici e politici dell’abate. Non che,come appare anche dai brevi cenni fin qui fatti, manchino lettere non riconducibili a tale filone, che anzi non poche sono quelle dedicate alla carta geografica del Regno di Napoli cui GALIANI lavorò a lungo a Parigi[46], a discussioni erudite, ad informazioni sulla propria attività o sulla propria vita, ovvero quelle intessute di estrose divagazioni, che ripropongono il GALIANI motteggiatore, o magari sogghignante, di tanti stereotipi ritratti. Tuttavia, anche se si tiene conto che gli interessi di GALIANI non si esauriscono in quelli economici e politici, e che pertanto la sua personalità va lumeggiata, pur con episodiche aperture, nelle sue molteplici dimensioni, si crede opportuno concentrare l’attenzione sulle lettere che direttamente si connettono, per i temi ed i problemi trattati, alle più fruttuose riflessioni di GALIANI: quelle riflessioni che hanno assicurato al nostro autore un posto non trascurabile non solo e non tanto nella storia del pensiero economico, ma anche e soprattutto, nel dibattito del tempo suo intorno alle monete, al commercio, alle riforme. E poiché il GALIANI dei bons mots e degli apologhi è fin troppo conosciuto, si è pensato fosse lecito e doveroso insistere particolarmente sul GALIANI serio, sul GALIANI che, sia pure rapsodicamente e talora in modo più brillante che persuasivo, continua per tutta la vita la meditazione iniziata precocemente con la traduzione del 1744 delle Somme considerations of the Consequences of the Lowering of Interest and Raising the Value of Money di Locke e con le dissertazioni giovanili. In questa prospettiva si giustificano i semplici accenni alle lettere di pura divagazione scritte alla d’Épinay, che pure costituiscono una parte rilevante dell’epistolario francese, e la cui esistenza non va dimenticata per avere un’immagine convenientemente articolata del GALIANI post reditum, con la sua amarezza e le sue fissazioni, con la sua misantropia ed il suo sempre più accentuato scetticismo. Le lettere a Sgueglia, che rappresentano il primo consistente nucleo di lettere che ci sia rimasto, non sono tra le più interessanti di GALIANI: esse contengono in prevalenza notizie aridamente cronacristiche sul viaggio in Italia del 1751-2 e spesso trattano di questioni private di personaggi minori legati a GALIANI. Ma qualcosa che ferma la nostra attenzione c’è. C’è per esempio, la reiterata raccomandazione al factotum Sgueglia di esigere con sollecitudine i canoni d’affitto dei benefici, raccomandazione che, considerata contestualmente alle continue richieste di denaro che GALIANI rivolge allo stesso Sgueglia, alla ostinazione con cui egli brigò per ottenere benefici, alla costante preoccupazione di evitare le spese di corrispondenza, ci mostra un GALIANI se non avido ed avaro, certo assai attaccato al denaro. Ci sono poi le impressioni di viaggio, condensate talvolta in poche battute: Roma è un infame paese ed è impossibile aver termini bastanti a descriverne la bruttezza[47]; per Venezia, l’ottima definizione è quella di Boccaccio, Città d’ogni bruttura raccoglitrice. Quo cuncta undique turpia confluunt, celebranturque[48]. Soprattutto c’è in queste lettere la trepidazione con cui il giovane Ferdinando verifica l’ampiezza e la consistenza della fama procuratagli dal Della moneta. Egli si informa ansiosamente della diffusione del Della moneta, scrive a Sgueglia di inviargli copie del libro affinché possa distribuiele, scruta in quali ambienti ed in quali città il libro stesso potrebbe essere accolto favorevolmente. Le lettere a Sgueglia sono un eloquente documento della comprensibile ambizione del giovane scrittore, del suo desiderio di essere conosciuto e stimato per il libro che all’Intieri era parso un prodigio e che Fragianni aveva mostrato di apprezzare. Non ci si deve meravigliare pertanto, di vedere GALIANI esprimere il suo disappunto perché il fratello Berardo non gli ha affatto parlato del Della moneta[49] e perché Benedetto XIV lo ha lodato non tanto per la sua opera importante, ma per gli scherzosi e leggeri componimenti per il boia Iannaccone[50]. E se GALIANI sottolinea con grande compiacimento i piccoli concilii monetari tenuti a Milano con Neri e con Carli[51], è con una punta di amarezza che egli scrive da Pisa il 27 marzo 1752: Finora bisogna che vi confessi, che ho più obbligo della stima che ho alla Raccolta[52], che al libro[53]: e tutti i miei studi m’hanno servito meno che per il saper sonare il cimbalo; quasi che fin dalla giovinezza le stesse doti di vivacità, di arguzia, di comunicativa, che lo facevano ricercare quale impareggiabile conversatore, lo condannassero, lusingato sì, ma anche insoddisfatto, a vivere, per così dire tutto proiettato all’esterno, per non deludere chi si aspettava dal piccolo abatuccio con dei gesticoli napoletani curiosi ed il muso buffone, come si esprime Alessandro Verri, che lo vide e lo frequentò a Roma nel 1769[54], le facezie e gli aneddoti raccontati con grazia scintillante. Negli anni che vanno dalla pubblicazione del Della moneta alla partenza per la Francia[55] GALIANI ha tra i suoi interlocutori personaggi illustri, che egli eredita dallo zio Celestino. Amici di quest’ultimo ed amici tra loro erano infatti il già menzionato Gaspare Cerati, Antonio Cocchi, Antonio Niccolini, Giovanni Bottari. Sono nomi tra i più rappresentativi di quella generazione di uomini di cultura aperti agli influssi innovatori, ma non certamente definibili illuministi, la cui riflessione si esercitò sulla storia ecclesiastica, sulle questioni teologiche, sui problemi morali, sulla riforma della Chiesa[56]; uomini accomunati da un preciso atteggiamento antigesuitico e da una ferma polemica contro il temporalismo pontificio, che in Bottari Niccolini e Cerati fanno tutt’uno, pur nella varietà delle sfumature, con un assiduo travaglio intorno alla problematica del giansenismo. Il Bottari fu, insieme con il Foggini, l’animatore del circolo giansenistico romano dell’Archetto, con il quale fu in contatto Cerati e che era frequentato da uomini come il già citato Niccolini, il Leprotti, Filippo Martini. Lo stesso Bottari era anche in contatto col marchese ministro Bernardo Tanucci, impegnato con alterna fortuna nella battaglia anticurialistica; e proprio a Napoli, tra il 1758 ed il ’60, fu preparata - auspice Tanucci e con l’ausilio di Bottari - una traduzione in cinque tometti del catechismo di Mésenguy, uno dei testi fondamentali del giansenismo settecentesco: traduzione che incorrerà nei fulmini pontifici, dando luogo ad un’aspra contesa tra Napoli e Roma, con echi non trascurabili in Spagna. Si tratta di una generazione che aveva raggiunto la maturità nella prima metà del secolo e che si apprestava a lasciare il posto ad un’altra che, svincolatasi dai temi teologici, rotto il quadro del dibattito giurisdizionalistico, lasciatasi alle spalle la ricerca erudita, andava orientandosi verso i problemi economici, verso concreti tentativi di riforma, verso la cultura delle lumières. Che cosa aveva da dire GALIANI, che con il Della moneta era parso propendere decisamente per i problemi dei tempi nuovi, ad un uomo come Bottari, le cui inquietudini erano tutte interne ad interessi ecclesiastici, teologici ed eruditi?[57]. Con Bottari il giovane Ferdinando non discuteva certo di monete e di commercio, né a lui lo accomunava un atteggiamento giansenistico o filogiansenistico, che è difficile immaginarsi lo scanzonato e scettico abate interrogarsi tormentosamente, come facevano il suo corrispondente ed i personaggi che intorno a lui gravitavano. Primo fra tutti il Foggini, sulla grazia e sul peccato, sul rigorismo e sul probabilismo. Non v’era i GALIANI, né vi sarà mai, un consapevole atteggiamento filogiansenistico che implicasse la meditazione e la presa di posizione riguardo a problemi dottrinali. Al contrario, sono costantemente rintracciabili in lui insofferenza ed irrisione per le dispute teologiche, e avversione per il fanatismo dei giansenisti: a tacere dei giudizi sarcastici o violentemente polemici pronunciati in anni e circostanze diverse sui convulsionari di Saint-Médard - giudizi che sembrerebbero colpire gli aspetti più chiassosi e discutibili del giansenismo -, si ha il biasimo aperto espresso nella lettera del 5 ottobre 1767 al cardinale Domenico Orsini, dove si accenna ai fanatici giansenisti[58]; nella lettera, già ricordata, all’arcivescovo di Palermo Francesco Sanseverino, del 12 aprile 1777, si legge: I Giansenisti sono cattivi come tutti i fanatici, e fanatico è sempre chiunque fa dogma di agir per impulso, o questo lo chiami grazia efficace, o lo chiami cacodemone, o lo chiami ispirazione, o lo chiami destino. I vari nomi fanno i Giansenisti, i Galli di Cibele, i Quacqueri, i Maomettani, e Maratti. Sono nomi. Ma il rinunziare alla propria ragione calcolatrice del sì e del no è sempre la definizione del fanatismo. Certamente mio zio non fu giansenista; aveva troppo Newton in corpo. Erano pertanto l’anticurialismo e l’antigesuitismo ad avvicinare GALIANI ai Bottari ed ai Niccolini: un atteggiamento riconducibile ad una dimensione politica in cui venivano significativamente tradotte la tensione morale, la visione di una Chiesa purificata, l’ansia di rinnovamento religioso proprie dei corrispondenti romani del giovane Ferdinando. C’era tuttavia anche dell’altro: in primo luogo il gusto dell’erudizione, che ispirò a Ferdinando GALIANI alcune non spregevoli scritture e che s’incontrava con un preciso filone di interessi del Bottari[59]. Le lettere di GALIANI al dotto prelato fiorentino, trattavano prevalentemente di antiquaria; sono lettere a carattere informativo e cronachistico, che destano l’attenzione non tanto quando contengono notizie - generalmente sommarie - su libri e questioni d’erudizione, ma, piuttosto, quando contengono spunti riguardanti la Perfetta conservazione del grano o la ristampa delle opere di Sant’Agostino, ovvero quando parlano di Intieri, delle sue manie e delle suevolubilità di vegliardo, facendo emergere una figura colorita con grande vivacità ed affettuosa simpatia. Con Antonio Cocchi, il gran medico beneventano toscano, cultore di studi classici, fine letterato, corrispondente del Voltaire, il GALIANI mette a frutto le sue conoscenze di scienziato dilettante parlando della sua raccolta di pietre vesuviane[60], e s’intrattiene di vari argomenti in lettere in cui la reverenza per l’illustre personaggio non soffoca la vena estrosa e la gaiezza estroversa del giovane autore del Della Moneta. Di questi anni sono anche alcune lettere a Lorenzo Mehus, l’erudito toscano che GALIANI conobbe durante il suo viaggio in Italia e del quale ha tracciato un bel profilo Mario Rosa. Se il Rosa ha messo giustamente in luce come il Mehus sia rimasto per tutta la vita nell’hortus conclusus della filologia e dell’antiquaria, con interventi rarissimi e tardi su temi direttamente connessi alle riforme leopoldine e alla vita politica in genere, non troviamo nelle lettere a lui dirette da GALIANI, come forse ci si aspetterebbe, soltanto notizie erudite. Queste non mancano, ma sono accompagnate da altre notizie ed osservazioni: la proibizione ed il bruciamento della Perfetta repubblica di Paolo Mattia Doria[61], l’imminente pubblicazione dell’opera dell’Origlia sull’Università di Napoli[62], i lavori relativi al libro galianeo-intieriano sulla conservazione del grano[63], la fondazione da parte di Bartolomeo Intieri della cattedra di economia politica[64]. Dal carrteggio sembra trasparire che l’austero ed umbratile Mehus sia stato indotto dalla spiccata personalità dell’abate napoletano ad abbandonare la ben delimitata ed un po’ angusta prospettiva dei suoi studi per trattare di argomenti che testimoniano di interessi più vasti. Si vede infatti parlare, nella lettera del 4 giugno 1754, di due operette di Voltaire. Una è ristampa, e contiene il Secolo di Luigi XIV accresciuto e corretto. L’altra di due tometti in 8° è un Essai di storia da Carlo Magno a Carlo V. In ambedue riconoscono Voltaire, cioèuna gran legiadria di stile, e gran falsità di fattura[65]. Pertanto, se nelle lettere del Mehus degli anni 1753-54 ci mostrano un GALIANI curioso ed interessato a ciò che di notevole accade in Napoli dal punto di vista della vita pubblica e degli studi - un GALIANI ben diverso dal misantropo di anni successivi, che non perderà occasione di sottolineare, proprio in altre lettere al Mehus, il suo isolamento e la sua avversione per una città giudicata barbara - , le lettere al Mehus rivelano tratti interessanti ed insoliti di quest’ultimo personaggio[66]. Un posto a sé dev’essere attribuito, nella corrispondenza di GALIANI, alle lettere diplomatiche scritte al Tanucci durante il soggiorno francese del 1759-69. Il carattere ufficiale di tali lettere non è ovviamente senza influenza sul contenuto e sul tono delle lettere stesse. Anche se con il Tanucci, che a GALIANI si era interessato fin dal 1749, in occasione dei componimenti per il boia Iannaccone, andarono stabilendosi rapporti che, oltrepassando il burocratico legame da superiore ad inferiore, si configurarono come rapporti di amicizia e di sincera collaborazione, non si può pretendere di trovare, nel carteggio con il potente e tanto più anziano ministro, quell’abbandono e quella libertà di giudiziuo che costituiscono invece i tratti essenziali della corrispondenza privata. Queste lettere sono tuttavia preziosissime, anche considerando che, purtroppo, non si hanno altre lettere di GALIANI del periodo parigino. Per essere più precisi, si possiedono numerose lettere al fratello Berardo[67], ma esse rigurdano quasi esclusivamente le ricerche ed i lavori relativi alla carta geografica del Regno di Napoli, e perciò nulla ci dicono circa le idee politiche ed economiche di GALIANI. Si ha poi una lettera a Natale Maria Cimaglia dei primi del 1767 ed una lettera a Celesia, senza indicazione dell’anno, ma molto probabilmente del 1768. Eppure GALIANI ebbe certamente, in questo periodo, corrispondenti ben più numerosi. Lo testimonia, tra l’altro, una lettera di Nicola Fraggianni del 20 ottobre del 1761 nella quale il noto magistrato giurisdizionalista diceva di aver ricevuto i due fulminanti arresti contro la compagnia de’Neri[68] e dava notizie intorno alla propria attività antigesuitica a Napoli, preoccupandosi di farla conoscere all’estero; lo testimoniano anche alcune lettere del 1759-60 del presidente ed avvocato fiscale della Camera della Sommaria Carlo Mauri, il quale non si limitava a parlare con l’abate del ritorno a Napoli che quest’ultimo, nei primi mesi del soggiorno parigino, aveva progettato di effettuare, ma chiedeva che gli fosse spedito il De l’esprit di Helvétius[69], diceva che avrebbe ricevuto con piacere il Candide di Voltaire[70], accennava a libri sui Gesuiti e sul Portogallo inviatigli da GALIANI[71]. Il che prova l’attiva opera di informazione e mediazione politico- culturale svolta da GALIANI in una precisa direzione. Chi volesse cogliere il pensiero dell’abate GALIANI al di fuori dell’ufficialità cui lo costringe la figura di un interlocutore così autorevole come il Tanucci dispone dunque di elementi molto scarsi. Un atteggiamento cauto, una costante attenzione a non urtare l’irrascibile ministro, un dire e non dire sono facilmente rintracciabili nelle lettere di cui ci occupa. É possibile, per esempio, che GALIANI, scrittore di cose economiche e assai incline al moralismo, condividesse l’opinione tanucciana che tutto mercante è malandrino[72]?. Eppure, proprio tale convinzione si trova affermata più volte, con un’esplicita dichiarazione di consenso alla posizione di Tanucci, notoriamente avverso ai mercanti. Parimenti, non sembra si possa prescindere dalla personalità dell’autorevole interlocutore per intendere e valutare il posto quasi trascurabile che hanno nel carteggio le notizie sui philosophes e sull’ Encyclopédie. É certamente vero che GALIANI difettò di quella tensione morale e di quello slancio entusiasito per le profonde trasformazioni che caratterizzarono i philosophes si che probabilmente egli non colse il senso di molte loro battaglie. Ciò tuttavia non basta a spiegare il silenzio pressocché totale su uomini con cui egli fu in assiduo contatto, che divennero suoi amici, e che, sia pur sporadicamente, intrattennero con lui rapporti epistolari dopo il ritorno a Napoli; uomini inoltre, che egli teneva in altissima considerazione, non foss’altro che per l’altezza del loro ingegno: questo almeno dicono le poche lettere che rimangono dirette a Diderot, a d’Alembert, a Grimm, a d’Holbach, ed i numerosi spunti delle lettere alla d’Épinay in cui si parla dei philosophes. Anche di Voltaire, sul quale il giudizio di GALIANI fu pieno di riserve, egli aveva un’opinione ben diversa da quella del ministro Tanucci, chiuso nel suo atteggiamento misogallico e nella sua ostilità agli enciclopedisti[73]. Come dimenticare, infine, che proprio a Diderot [74] GALIANI lasciò il manoscritto dei Dialogues sur le commerce des bleds perché fosse rivisto ed approvato per la stampa? Per spiegare il riserbo di GALIANI occorre dunque tener presente proprio l’accennato atteggiamento di Tanucci, uomo di un’altra generazione e di diversa formazione, infastidito ed irritato di fronte alla violenza dissacratrice dell’antitradizionalismo dei philosophes, tenacemente attaccato ad una visione conservatrice del primato italiano in campo culturale. Con Bernardo Tanucci il GALIANI discuteva dei rapporti non sempre facili tra la Francia e Napoli, e di circostanziati problemi economici e politici relativi ai due regni; erano argomenti che non solo riguardavano direttamente sia la carica di GALIANI sia quella di Tanucci, ma erano anche congeniali all’empirismo tanucciano. Il periodo parigino fu per l’abate GALIANI un periodo di intensa attività e di fervida partecipazione agli avvenimenti francesi ed a quelli napoletani, questi ultimi seguiti a distanza, ma con grande attenzione e lucidità; e se gli interventi galianei non sono sostenuti da quell’ampiezza di prospettive rinnovatrici che è uno dei trattati essenziali dell’illuminismo, non si può negare che essi si organizzino intorno ad un preciso nucleo di interessi e rappresentino il limite più avanzato dell’impegno riformatore di un uomo che non aveva né la tempra né l’audacia di chi è proteso a fondare una nuova città terrena. La volontà di cambiare, di cambiare molto, in fretta e bene, Galiani non la ritroverà più. Tornato a Napoli, scriverà consulte ricche di intelligenza sui problemi del Regno, ma si tratterà di scritti di chi, in fondo, si adatta al vecchio edificio, ed adesso vuole apportare soltanto migliorie parziali, puntellandolo e rafforzandolo per non farlo scricchiolare troppo. Al centro delle preoccupazioni del GALIANI parigino sembra stia il problema della prosperità del Regno di Napoli e dei mezzi più idonei a promuoverla. Dopo i primi mesi, durante i quali l’abate, assai deluso da Parigi, chiese insistentemente di essere richiamato, tanto che il ritorno pareva ormai deciso, GALIANI, superato felicemente il disagiio dell’ambientamento, si concentrò sulle questioni inerenti alla sua carica, cominciando ad inviare a Tanucci osservazioni, proposte e suggerimenti che, movendo da un attento esame della situazione francese, avevano di mira i problemi economici e politici del Regno di Napoli. GALIANI non si limita, come pure avrebbe potuto fare, ad un semplice lavoro di routine, consistente nel fornire notizie sulla politica interna ed estera della Francia; al contrario, le agitate vicende di quegli anni ed i provvedimenti adottati dal governo francese diventano per lui offetto di costante confronto con ciò che si fa e si potrebbe fare a Napoli. Così egli in una lettera del 3 novembre 1760 loda la somma semplicità di quel teorema aureo che V E [Tanucci] mi scrive, cioè che i generi propri debbano aver materia e forma dentro il loro stesso paese, e che dee farsi commercio delle materie formate, non delle informe. (Parole divine per cui benedico mille volte Iddio, che finalmente questa massima pigli per opera di V.E. radice nel nostro governo…); più avanti, nella stessa lettera, si legge: noi non possiamo far meglio e più terribil guerra agli Inglesi, che non vestirci delle nostre lane. Questa è la guerra difensiva. L’offensiva potressimo anche farla con mandar stoffe e galloni (che noi lavoriamo al pari di Francia) a Cadice o a Lisbona, per di là mandare all’America. Questi commerci con Spagnuoli e Portoghesi desidero che siano a cuore alla Reggenza, quanto è giusto che siano in odio co’ Francesi e Inglesi. Ho inteso da un portoghese che è qui, che qualche stoffa nostra era capitata a Lisbona, ed eravi piaciuta. – Spalanchi questa porta V.E. con levar i dazi a quelle manifatture di seta e d’oro nostro che vanno in Spagna ed in Portogallo. Il Re non perde niente, perché niente finora ci è andato, ma il Regno acquisterà milionim e noi avremo conquistate le Americhe, e levati venti vascelli da guerra agli Inglesi Sono affermazioni di schietto sapore neomercantilista, dettate dalla constatazione di quella arretratezza manifatturiera del Regno di Napoli che GALIANI ebbe sempre presente e che tanto preoccupava Antonio Genovesi. L’8 marzo 1762 GALIANI s’intrattiene su un argomento che più volte fermerà la sua attenzione in anni successivi[75]: noi piloti non ne possiamo avere perché non abbiamo scuole di nautica. Io direi che i frati, e principalmente i Gesuiti, dovrebbero obbligarsi ad avere scuole di geometria, e de’principii d’astronomia e nautica in tutti i luoghi marittimi del Regno; continuava citando in proposito l’esempio della Francia, dove i Gesuiti sono maestri della nautica, e osservava che intanto per ora bisogna servirsi di piloti stranieri. C’è la richiesta, dunque, che siano le navi napoletane a trasportare le merci napoletane, per impedire che esca denaro dal Regno. Il 7 novembre 1768, mandando a Tanucci una umile rappresentanza… sulla necessità di aumentare la navigazione ed il commercio de’Napoletani, con dare ai medesimi la privativa del trasporto di qualche loro merce, GALIANI torna ad analizzare il problema della marineria, ripreso più diffusamente nella lettera del 19 dicembre 1768. Un’altra volta è la possibilità di piazzare vivi ed altre merci napoletane sul mercato francese a suggerirgli interessanti riflessioni: Come infinito viene di Spagna, così tutto quello dei Regni delle Due sicilie che qui verrà sarà il ben venuto. Se non viene peccato è nostro e non natural cosa. N’è causa la nostra pigrizia e principalmente il non saperlo noi acconciare in bottiglie e ben turarlo sicché si conservi. Quei nostri impagliati ridicoli in sottilissimo vetro che non reggonsi in piedi, quell’olio, quel turaccio che non si può      sono colpa che tutto si guasta, o si corrompe per via. Quanto alle stoffe veggo grandissimi velluti e damaschi italiani venir qui a vendersi; come vengono di Genova potrebbero venir di Napoli se noi sapessimo fabbricarle e se non si fosse quella assurdità tra noi d’un grosso dazio sull’uscita delle nostre manifatture[76]. Le lettere, poi, nelle quali l’abate GALIANI discorre a lungo delle tariffe doganali e dei dazi interni francesi testimoniano ulteriormente del suo interesse per i vari aspetti del commercio napoletano. L’entità di tale commercio va conosciuta il più esattamente possibile, come GALIANI sottolinea nella lettera a Tanucci del 22 agosto 1763: ho sempre creduto che il nostro ministro si facesse mandar lista del numero, carico di vascelli, importazione, esportazione e di tutto quello infine che giova a saper lo stato del nostro commercio nei paesi esteri, e che i consoli fossero incaricati di mandar tutte quelle notizie. Altro mezzo non conosco per avvedersi della prosperità d’un Regno, e perciò ho creduto che questa principal parte dell’amministrazione non fosse trascurata. Molte note - su di esse hanno richiamato l’attenzione il Nicolini ed il Venturi - sono le lettere del 1764 relative alla carestia che il quell’anno  colpì il Regno di Napoli. In esse GALIANI biasima aspramente il sistema annonario di Napoli, contrapponendogli il sistema francese, fondato sulla libertà di circolazione e di esportazione[77], suggerisce l’introduzione della patata per evitare i rischi connessi ad un eventuale cattiva raccolta di grano[78], incoraggia Tanucci nelle riforme che la stessa tragica situazione del Regno sembra rendere indilazionabili, ma che trovano ostacoli e resistenze nei membri conservatori del Consiglio di Reggenza[79]. I provvedimenti liberistici adottati in Francia circa il commercio dei grani non sono certamente i soli che GALIANI vorrebbe vedere applicati alla sua patria. Il 28 dicembre 1767 egli, dopo aver scritto che Tanucci ha messo il dito giusto sulla piaga quando ha sottolineato la brevità degli affitti e la crudeltà di S. Liguoro e delli Vergini a sempre accrescergli, afferma che In Francia sono lunghi gli affitti. Almeno di nove, o dodici anni, ed i risultati sono soddisfacenti. Sarebbe quindi opportuno fare a Napoli un dispaccetto che tenesse presente l’esempio francese. Nella lettera del 31 ottobre 1768 egli cita il memorabile editto dei monaci emanato in Francia[80]. Invitando il ministro Tanucci a fare qualcosa di simile. Le aspre contese tra parlamentio e Gesuiti, poi, offrono a GALIANI l’occasione per invocare una decisa azione antigesuitica anche a Napoli. L’atteggiamento fieramente antigesuitico è in GALIANI una costante: rintracciabile nella lettera al cardinale Orsini del 5 ottobre 1767, esso è altresì presente in numerosissime lettere a Tanucci: Né debbono essere considerate come sintomo di resipiscenza le parole serene ed equanimi pronunciate dopo la soppressione della Compagnia nel 1773[81]: esse vanno piuttosto interpretate nel senso di un cavalleresco riconoscimento ad un avversario ormai sconfitto. Nella discussione GALIANI-Tanucci  a proposito dei Gesuiti, è il primo a sostenere le posizioni più radicali, insistendo sulla necessità di far pressioni su Roma per ottenere l’abolizione della Compagnia, mentre è il secondo a mostrarsi scettico circa una simile eventualità. Quando poi i Gesuiti saranno espulsi dal Regno di Napoli[82], GALIANI manderà a Tanucci un suo piano per una vasta riforma dell’ insegnamento[83], bell’esempio di impegno innovatore che trova conferma in altre lettere del ’68. Si è accennato al fatto che più volte GALIANi indica come esmplare la legislazione francese sui grani, sì che il 21 settembre 1767 egli scrive al ministro Tanucci  che il regolamento di Francia è l’ottimo, come il nostro è il pessimo. Il confronto tra Napoli e la Francia[84] torna in una lettera del 2 novembre 1767; del 1765 è la Storia dell’avvenuto sugli editti del libero commercio de’grani in Francia promulgati nel 1763- 1764, nella quale GALIANI illustra ampiamente i benefici effetti degli editti liberistici francesi del 1763-’64, non mancando di sottolineare i guasti prodotti dal regime vincolistico napoletano. Non c’è dubbio, quindi, che l’abate GALIANI si sia mostrato per molto tempo favorevole alla libertà del commercio dei grani, accostandosi in tal modo alle posizioni dei fisiocrati, i cui esordi e la cui affermazione come scuola coincidono proprio con il soggiorno parigino dell’autore dei Dialogues. V’è da dire, tuttavia, che se GALIANI condivise il giudizio positivo degli économistes sui già citati editti, non si può certo parlare di adesione al corpus dottrinale ed al programma politico che gli stessi économistes venivano esponendo con dogmatica intransigenza. Difficilmente si potrebbe immaginare un GALIANI - che si conosce portato piuttosto all’esame del caso singolo e all’empiria riformatrice - neofita entusiasta di una setta[85] che pretendeva di formulare principi universalmente validi[86] e di dettare programmi economici e politici che prescindevano da ogni considerazione della peculiarità dei singoli paesi[87]. Benché non sia legittimo attribuire al GALIANI ante-Dialogues quello scetticismo e quella consapevolezza - usata in direzione conservatrice - della varietà delle situazioni che l’opera sul commercio dei grani ampiamente testimonia[88], nessun documento autorizza a considerare GALIANI guadagnato all’inflessibilità quasi fanatica con cui i fisiocrati sostenevano le loro idee: le lettere del periodo parigino, semmai, indicano coerentemente un GALIANI alieno dalle grandi speranze e dai grandi progetti, pur se non privo, come si è visto, di un non trascurabile impegno riformatore. Nessuna lettera offre appigli per affermare che, anche solo per un momento, GALIANI si sia lasciato attrarre dalla pesante attrezzatura teorica dei fisiocrati. L’abate si mantiene saldamente ancorato alla realtà e ciò, lungi dall’essere un elemento che da vigore al suo pensiero, si risolve spesso in angustia di prospettiva, in una casistica frantumata che preannunzia lo chevalier Zanobi. Egli ha ben presente, come si è visto, l’arretratezza manifatturiera del Regno di Napoli, arretratezza tanto più vistosa se paragonata con lo sviluppo della Francia. Proprio all’acuta percezione di tale problema va collegata la contrapposizione, che si trova nei Dialogues, tra paesi manufatturieri, floridi e popolati, e paesi agricoli, miseri e semideserti. Si è anche visto che GALIANI sottolinea con forza la necessità di proteggere e di incoraggiare con opportune misure[89] l’industria nazionale: sono spunti che situano GALIANI al di fuori del pensiero fisiocratico, cui sono essenziali da una parte la sottolineatura della terra come unica fonte di ricchezza ed il privileggiamento assoluto dell’attività agricola, con conseguente minor attenzione per l’attività manifatturiera; dall’altra il postulato della completa libertà d’importazione e di esportazione, nella visione di una solidarietà sovrannazionale che supera gli egoistici interessi dei vari paesi. GALIANI, invece, si richiama agli interessi del Regno di Napoli, con un ripiegamento sulla realtà e le esigenze dei singoli stati che, già presente nel Della moneta, tende ad accentuarsi nelle lettere, sino a costituire uno dei punti chiave dei Dialogues. L’abate GALIANI, pertanto, è senza dubbio più incline ad un realismo senza voli che agli arditi progetti dei philosophes e degli économistes; agisce in lui quell’atteggiamento da Machiavellino che in seguito egli stesso rivendicherà talvolta con compiacenza e che gli avversari gli rimprovereranno: sì che il giudizio positivo sugli editti del 1763-64 si configura come un’occasionale convergenza con i fisiocrati su provvedimenti particolari, e non è in alcun modo interpretabile come il segno di una più impegnativa adesione alla dottrina dei seguaci di Quesnay. Se ci si pone da siffatta angolatura, risulterà meno clamorosa ed imprevista la conversiuone economica di GALIANI , che, com’è noto, nei Dialogues prese aperta posizione contro la libertà di esportazione dei grani e contro i fisiocrati. Restano certamente da individuare con chiarezza le esperienze e le valutazioni che orientarono GALIANI verso una così dura polemica antiliberistica[90], ma il problems del passaggioda un atteggiamento all’altro non è problema di mutamento radicale di convinzioni filosofiche e morali, oltre che economiche e politiche; non di revisione delle proprie convinzioni fondamentali si tratta, ma di semplice adozione di una diversa soluzione a problemi pratici e circoscritti che si erano già posti precedentemente. Dopo il forzato ritorno a Napoli nel 1769, con cui amaramente si chiudeva il periodo più fervido e ricco della sua vita, GALIANI mantenne un fitto carteggio con la d’Épinay, il cui salotto, centro di raccolta dei philosophes, egli aveva assiduamente frequentato, e nelle cui mani aveva lasciato, perché lo rivedesse e lo pubblicasse, il manoscritto dei Dialogues sur le commerce des bleds. Proprio alle vicende della revisione e della stampa dei Dialogues, vicende che GALIANI seguì con grande trepidazione, sono dedicate le lettere fino ai primi mesi del 1770; poi, pubblicata l’opera e scatenatisi gli attacchi degli économistes, GALIANI s’impegnerà a ribattere non soltanto nelle lettere alla d’Épinay, ma anche in quelle ad altri amici francesi, come Boudouin e il Suard, le obbiezioni dei suoi critici, precisando, integrando, ampliando. E se egli non scrisse mai quel nono dialogo che avrebbe potuto spiegare compiutamente ciò che, per ragioni obiettive[91], era rimasto implicito o soltanto accennato, i numerosi interventi sul problema dei grani nelle lettere post reditum potrebbero fornire i materiali sufficienti per la ricostruzione ideale di tale dialogo. È vero che, dal punto di vista della discussione economica, GALIANI non reca sostanziali modifiche al quadro da lui delineato nei Dialogues[92], ma un elemento emerge con una chiarezza ed un’evidenza che tali non erano nei Dialogues: si tratta della preoccupazione, più volte ribadita, che l’applicazione delle teorie fisiocratiche conduca al disordine ed al passaggio violento dalla monarchia alla repubblica, sconvolgendo quell’assetto politico sociale cui GALIANI si sente attaccato: Tout pays qui établira et soutiendra la liberté indéfinie des blés scrive alla d’Épinay il 22 gennaio 1774 riproponendo sinteticamente opinioni espresse a più riprese sera bouleversé. Sa forme deviendra entièrement républicaine, démocratique, et la classe des paysans deviendra la première et la plus puissante. Nous qui ne bechons pas la terre, nous serions donc bien fous de la laisser établir pour devenir les derniers; il 2 gennaio 1773, dopo aver osservato che il paisan riche…amène…la forme républicaine, et enfin l’egalité des conditions, qui nous a couté six mille ans à détruire, GALIANI aveva scritto: J’aime la monarchie, parce que je me sens bien plus proche du gouvernement que de la charrue. J’ai quinze mille livres de revenu que je perdrais en enrichissant des paysans. Egli indica negli économistes dei perturbatori della pubblica quiete, rivelando un astio ed una chiusura conservatrice che sono a loro volta i sintomi di un atteggiamento di fondo da un sempre più accentuato scetticismo, dalla diffidenza e dalla irrisione per chi non lascia che il mondo vada come va.

Le lettere agli amici francesi che vanno dal ritorno a Napoli alla morte ci mostrano un GALIANI sempre più misantropo, sempre più disincantato, sempre più sordo alle istanze di profonda trasformazione. Lontano da Parigi, l’abate sembra aver perso quel tanto di tensione spirituale che l’ambiente dei philosophique di quegli anni memorabili[93]  aveva contribuito ad infondergli. Egli non ha perso la verve ed il gusto della battuta spiritosa; anzi, questi tratti si accentuano al punto che essi, in non poche lettere, si accampano in primo piano, senza essere più sorretti da un nucleo di validi interessi. Si veda la lettera del 30 maggio 1772 alla viscontessa di Belsunce, figlia della d’Épinay, nella quale l’abate s’intrattiene sulla Hisoire des chats, a laquelle à présent; si vedano le lettere in cui egli, ostentando la sua bizzarria, parla dei suoi gatti e delle osservazioni che va compiendo su di essi[94]. Sembra quasi che GALIANI senza l’obbligo di rimanere all’altezza della fama di causeur acquistata a Parigi, senza che si possano escludere la volontà e la vanità di superare contantemente la d’Épinay in arguzia, brio, ingegnosità paradossale. Non si sottrae all’impressione che, partendo da una condizione reale[95], GALIANI si sia egli stesso costruito un personaggio con cui giocare, ai confini tra realtà e finzione: il personaggio di chi dalla vita ha tratto una sconsolante lezione, del giudice smagato di cose e di uomini, dell’eterno enfant terrible che non rinuncia a dire amare verità sotto lo scintillio del paradosso; ed è con una punta di compiacenza, così almeno pare, che GALIANI si presenta come il machiavellino assertore di una morale che è agli antipodi di quella dei philosophes. Si veda come risponde alla d’Épinay, che aveva lodato [96] l’Histoire philosophique  et politique des Européens dans les deux Indes del Raynal: c’est le livre d’un homme de bien, très instruit, très vertueux, mais ce n’est pas mpn libre. En politique je n’admets que le machiavélisme pur, sans mélange, cru, vert, dans toute sa force, dans toute son apreté. Il gusto di stupire per mezzo della genialità della trovata è rintracciabile più volte: valga come esempio la lettera del 25 maggio 1771, in cui GALIANI illustra spiritosamente les principes fondamentaux de la liberté. Un’altra volta, informato dell’ancienne amitié tra l’attore Carlino[97] e Clemente XIV, progetta di scrivere un romanzo epistolare costituito dall’immaginaria corrispondenza tra i due personaggi[98]. Sparsi in tutte le lettere, poi, sono le sentenze, gli aforismi, le osservazioni moraleggianti[99], pronunciate col tono di chi ha intensamente vissuto e molto imparato: Vous attribuez la perte de la gaieté  à la corruption des moeurs; j’aimerais mieux l’attribuer à l’augmentation prodigieuse de nos connaissances; à force de nous éclairer, nous avons trouvé plus de vide que de plein, et au fond, nous savons qu’une infinité de choses, regardées comme vraies par nos pères, sont fausses, et nous en savons très peu de vraies qu’ils ignorassent. Ce vide, resté dans notre ame et dans notre imagination, est, à mon avis, la véritable cause de notre tristesse: Le raisonneur tristement s’accrédite: ah! Croyez-moi, l’erreur à sons mérite. Ce sont les plusbeaux vers et la pensèe la plus sublime enfantés par l’immortel Voltaire[100]. Ed è sempre il richiamo, implicito od esplicito, ad un’esperienza accumulata negli anni che offre all’abate la giustificazione del suo atteggiarsi a profeta o, quanto meno, ad interprete del presente alla luce degli sviluppi futuri. Le riflessioni sul vide dans notre ame et dans notre imagination riportate sopra ci riconducono al senso di una vita opprimente, trascinata nella stanchezza e nell’isolamento, chiusa in un’amarezza che si eleva talvolta ad una sconsolata visione dell’umana vicenda: On a beau faire le reveche contre notre destinée et la loi commune des etres scrive alla d’Épinay il 19 giugno 1773, prendendo spunto dal ritratto del marchese di Croismere, morto qualche mese prima. Nous mourons, nous et nos phisionomies, et nos saillies, et nos portraits, et notre souvenir, et tout doit s’en aller. Quel délire que celui des Romains et des Grecs, que de faire tout pour l’immortalité n’est qu’un terrain disputé à l’oubli, mais bien faiblement disputé. GALIANI dice di voler mettere da parte questa reverie sombre et désespérante, ma un sottofondo di tristezza, di rimpianto per anni irrimediabilmente trascorsi, si manifesta spesso. C’è anche qui la volontà di tener fede all’immagine del GALIANI esiliato a Napoli, la volontà di sdoppiarsi maliziosamente in un alter Ego non del tutto rispondente al GALIANI di quel periopdo? Certamente, c’è anche questo; ma la tetraggine scontrosa e la sensazione di sentirsi uno straniero in patria sono una realtà che non si può ignorare[101]. Esse tornano con insistenza nelle lettere a Lorenzo Mehus, un personaggio nei confronti del quale GALIANI non si sentiva certo impegnato a far uso di filtri letterari. Il 7 dicembre 1773 scrive: In verità, la società di Cannibali, di Antropofagi, di Ciclopi, che mi circonda, mi svoglia affatto dalle lettere. La denuncia dell’atmosfera stagnante della capitale torna nella lettera del 6 dicembre 1774: Per ora ogni letteratura in Napoli resta schiacciata sotto il peso dell’artefatto ozio, e d’un forzato letargo; il 28 novembre 1775 insiste: è immensa la distanza che è tra me e il grosso de’miei concittadini … goderò del loro inefficace odio, che pago con altrettanto disprezzo tranquillissimo. Una stanchezza al limite della disperazione affiora nella lettera del 14 luglio 1778: Io tiro innanzi una noiosa, ed infruttifera vegetazione. Ogni giorno più concerto le mie idee al fisico della vita animale, et cupio dissolvi. Gli anni napoletani non furono soltanto spesi nel vagheggiamento del soggiorno parigino, come talvolta le lettere della d’Épinay potrebbero far pensare, ma furono anche densi di un’attività svolta con scrupolo ed intelligenza. Sono di questi anni le consulte su vari problemi del Regno, scritture tra le più belle di GALIANI, anche se l’orizzonte politico appare piuttosto angusto ed egli si limita a suggerire rimedi parziali; nel 1782 esce il già ricordato De doveri de’Principi neutrali, mentre le lettere di Celesia aprono spiragli sui persistenti interessi politici ed economici dell’abate. Inltre le lettere a Mehus ci mostrano un GALIANI attento a vari problemi, primo fra tutti quello della bonifica della maremma toscana, ed il carteggio con la d’Épinay e gli altri francesi provano come l’abate GALIANI si tenesse costantemente informato dell’opera di Turgot e di Necker. Occorrerà dunque non insistere troppo nell’accentuare unilateralmente un aspetto della personalità di GALIANI, ma, piuttosto, aver cura di cogliere tale personalità nelle sue sfaccettature e sfumature. Pertanto, sarà da tener presente il complesso intrecciarsi di interessi significativi e di senso di vuoto e di noia, di attività e di inerzia, di vaniloquio e di meticoloso lavoro intorno a problemi concreti. Non par dubbio, tuttavia, che effettivamente l’abate GALIANI sia rimasto come sequestrato dal ribollire di propositi riformatori e di generose speranze della nuova generazione di illuministi. L’addormentato paese di cui si lagna in una lettera al Mehus del 26 febbraio 1771 era il paese dei Longano, dei Filangieri, dei Galanti, dei Pagano, che proprio in quegli anni si affacciavano sulla scena della vita politica e culturale. GALIANI non sembra nemmeno accorgersi di questi giovani d’eccezione. Soltanto in una lettera al Mehus del 25 giugno 1782 si trova un accenno a Filangeri ed a Galanti: La libertà è qui generale. Naturalmente porta seco frutti buoni, e cattivi; ma la raccolta de’buoni supera quella de’cattivi; e in tutto noi dobbiamo benedire il governo dello stato di libertà che godiamo, poco gustato altrove. Sicuramente quella stessa impunità che fa vomitar libelli ad un Sarcone, incoraggisce un Filangeri, un avvocato Galanti a produrre buoni libri. Il suo isolamentoè reale, anche se non mancano i contatti con il Wilczeck, con gli ambasciatori francesi[102], con gli amici di passaggio[103]; freddi, invece, erano i rapporti con il Tanucci dopo il richiamo del 1769. Chiuso in un mondo tutto suo di ricordi, di interessi, di simpatie ed antipatie, egli non è certo uomo capace di comprendere i fermenti e le aspirazioni che si manifestano intorno a lui, di stabilire rapporti con i giovani che si vanno mettendo in luce, di spronarli e di incoraggiarli. Né i giovani lo cercano: egli, l’illustre autore del Della moneta e dei Dialogues, non costituisce né una guida né un punto di riferimento. Anzi, quando Giuseppe Maria Galanti ne fa menzione, è per sottolineare la gretta aciditò di censore. Il GALIANI che invecchia non potrebbe essere più diverso da un Bartolomeo Intieri, imparegiabile stimolatore di ingegni e di energie intellettuali fresche, pronto ad entusiasmarsi, a più di  settant’anni, per il Della moneta ed il suo autore, inesausto vagheggiatore - e preparatore, per quanto gli fu possibile - di un mondo trasformato dal progresso dei lumi. Morta la d’Épinay nel 1783, venne meno a GALIANI la corrispondenza abituale, che rappresentava per lui il concreto legame con la Francia. Già negli ultimi anni di vita della d’Épinay il carteggio si era molto diradato, a causa soprattutto delle cattive condizioni di salute della signora. Di coloro che, senza poter essere definiti corrispondenti fissi di GALIANI, avevano scambiato con lui delle lettere, il d’Alembert morì nel 1783, il Diderot nel 1784; l’abate rimase in contatto con il Grimm, che sopravvisse fino al 1807[104]. I legami con la Francia andavano attenuandosi. Date anche le scarse lettere degli ultimi anni, si potrebbe pensare ad una chiusura ancora maggiore, ad una solitaria e sconsolata attesa della morte; ma a metterci in guardia sino alla fine da ogni schematismo e da ogni caratterizzazione rigida ed univoca sta il viaggio a Venezia intrapreso pochi mesi prima di morire, viaggio durante il quale rivide vecchi amici come Andrea Memmo, di cui fu ospite, e fece nuove conoscenze, come Tiraboschi. L’ultima lettera di GALIANI è una dignitosa risposta inviata dal letto di morte alla regina Maria Carolina, che lo invitava, con tono di bigotta devozione, a pentirsi dei suoi peccati. Ferdinando GALIANI fu sepolto nella chiesa dell’Ascensione a Chiaia piazza dell’Ascenzione sez. Chiaia (Napoli) come riporta il Diodati.


CITAZIONI RIGUARDANTI L’ABATE GALIANI TRATTE DA PIU’ FONTI

Nella pubblicazione Della moneta e scritti inediti dell’abate Ferdinando GALIANI edizione dell’11 febbraio 1963, Giacomo Feltrinelli Editore, con introduzione di Alberto Caracciolo ed a cura di Alberto Merola, nell’introduzione a pag. XV si legge: …tanto è risultato moderno e privo di oscurità il vocabolario di GALIANI in confronto a quello di altri autori. Già Ugo Foscolo aveva aditato i pregi dell’elegante trattato, e Alessandro Manzoni si era esercitato con ammirazione a chiosare quelle pagine, alcune delle quali oggi trovano posto a buon titolo in antologie della letteratura italiana….
A pag. XVII: «… A ragione osserva il Presidente della Repubblica Italiana[105], il cui saggio resta la migliore guida allo studio del pensiero economico galianeo, che …se il GALIANI metodologo è sorprendente, non lo è meno il GALIANI teorico puro (pag. 282).…
A pag. XXIII: «…Graziani per esempio ascrive a merito di GALIANI ed a sua originalità rispetto a Locke ed a Cantillon proprio il fatto di aver dato nella sua costruzione poco posto al lavoro, che sarebbe considerato solo come uno fra i vari elementi che tutti si rifanno al concetto di utilità largamente inteso (pag.105)… . Maggiore interesse mostreranno invece gli economisti marxiani e ricardiani, a cominciare da Marx stesso; il quale anche nel Capitale (vol. 1, 11, P.10), oltre che nella Theorien uber den Mehewert (vol. 3, p. 289), fa alcuni riferimenti a GALIANI, e non esita a servirsi di un esempio tratto dal Della moneta per sostenere la sua teoria del plusvalore relativo. …».
A pag. XXV: …Sostiene Einaudi che spetti anzi allo scrittore napoletano (Ferdinando GALIANI) il merito di aver anticipato le teorie della scuola austriaca, che considerando l’interesse come uno strumento atto ad eguagliare beni presenti e beni futuri (pag. 289).
A pag.XXVII: «…la moneta di conto ritorna ad essere oggetto di analisi economica[106]. Secondo Einaudi (pp. 247-48), su questo terreno Ferdinando GALIANI riesce a vedere sostanzialmente chiaro: egli avverte cioè che si tratta di un rapporto fra tre variabili, l’unità monetaria immaginaria, l’unità monetaria corrente e l’unità del bene economico. Ciò facendo, procede nello stesso modo in cui l’economista d’oggi si orienta nella relazione fra due sole unità di misura quali il dollaro ed il quintale di grano od anche, fra queste due unità ed un’altra che è l’oro…».

In ossevazioni sulla scienza ed i suoi limiti, così si esprimeva l’abate GALIANI nel 1778: «  grazie al nostro illuminismo abbiamo trovato più vuoto che pienezza, e in sostanza sappiamo che è falso un numero infinito di cose che i nostri padri ritenevano per vere, mentre ne conosciamo poche di vere che erano loro ignote».

LUIGI VANVITELLI

In Le lettere di Luigi Vanvitelli della biblioteca Palatina di Caserta[107] nella lettera n°611 datata Caserta 10 febbraio 1759 si legge: «   le bolle dell’abate GALIANI io stesso gli le mandai con biglietto a casa sua…», ed ancora nella stessa lettera: «   le carte del Cappellano Maggiore[108], ancora sono in casa, perché niuno è venuto a prenderle…».
Nella lettera 1249 vol.III Caserta 30 aprile 1766: «   ho trattato qua in casa mia, per due giorni l’abbate D. Ferdinando GALIANI, segretario regio del ministro ambasciatore del Re di Napoli in Parigi, il quale è amico molto di Tanucci, e ritornerà quanto prima in Francia.


GIACOMO CASANOVA

MEMORIE
Capitolo  III:
A tavola feci conoscenza dell’abate GALIANI, segretario d’ambasciata a Napoli fratello del marchese GALIANI[109] di cui parlerò a suo tempo. L’abate GALIANI era un uomo di molto spirito: aveva un talento superiore per dare a tutto ciò che si spacciava per più serio, una tinta comica; e parlando bene e sempre senza ridere, dando al suo accento francese l’invincibile accento napoletano era festeggiato a tutte le adunanze di cui voleva essere ammesso, formandone la letizia. L’abate De la Ville gli disse che Voltaire si lagnava che fosse stata tradotta in versi napoletani la sua Herriade, rendendola ridicola. Voltaire a torto - rispose GALIANI - perché è tale l’indole del dialetto napoletano, che è impossibile volgerlo in versi senza che il risultato non ne sia comico. D’altra parte, perché prendersela se fs ridere? Il riso non è già sinonimo di derisione; e poi colui che fa ridere con questo è sempre sicuro di essere amato. Immaginatevi la grazia singolare del dialetto napoletano: abbiamo una traduzione della Bibbia, ed un’altra dell’Iliade e tutte e due fanno ridere! Lasciamo andare la Bibbia …, ma l’Iliade! Mi sorprende. Eppure è così.

Dal giornale "Il MATTINO ILLUSTRATO" inserto del "MATTINO" di Napoli: LA MOSTRA DEL '700 A NAPOLI, omaggio dell'Azienda Soggiorno, cura e Turismo di Napoli; anno 4° n° 14 del 05 aprile 1980;
a pag. 40 si legge:
……il solo pittore che riesca a trasferire sulla tela il tono di sottile ironia, la satira senza acredine e l'appasionata esigenza di «Verità» di certi illuministi meridionali sul tipo di Ferdinando Galiani, sono derivati dal fatto che i dipinti maggiori consentirono al Longhi di recuperare e ricostruire questa superba figura di «naturalista» formato di sensibilità settecentesca….

Dal giornale “IL TEMPO” di sabato 12 gennaio 1980 pag.3 anno XXXVII n° 11

…..ed a Vico[110], mettono capo, scolari diretti ed indiretti, Gaetano Filangeri, Ferdinando GALIANI, Francesco Maria Pagano… . Del GALIANI che svolse a Napoli ed a Parigi un’attività fruttuosa di scrittore e diplomatico, ricorderemo, col lodatissimo Della moneta e con gli otto Dialogues sur le commerce des Bleds, rispettivamente nel 1751 e 1755, il saggio De doveri dei principi guerreggianti e di questi verso i neutrali (1787) dove si legge che il diritto del più forte è un’espressione impropria, potendo essere una risoluzione imposta dalla Sopravvivenza non però mai un diritto: ..La forza non è un diritto, non ne dà non ne aumenta. Il diritto viene dalla necessità dell’adempimento de’doveri verso se stesso o verso gli altri uomini, e non mai da diversa fonte; ne, perché uno abbia minore forza ha men diritto.
Dal giornale “IL CORRIERE DELLA SERA” di martedì 2 giugno 1981 pag.5 si legge a firma di Ernesto Zerenghi:
Riguardo all’inflazione monetaria, come si fa a spiegare a certa gente che i prezzi risultano dal perfetto equilibrio tra i mezzi monetari presenti sul mercato e le merci disponibili?  Questa è una legge matematica che nessun governante è riuscito o riuscirà mai a modificare. Faremo allora come l’abate GALIANi…. . Egli paragonava il mercato ad una bilancia da speziale in perfetto equilibrio: da una parte tutti i mezzi monetari disponibili, sull’altro piatto tutte le merci. Era sufficiente perciò soltanto soffiare su di un piatto della bilancia perché l’altro andasse in alto. Quindi bastava un pur minimo aumento della moneta in circolazione perché ineluttabilmente i prezzi salissero. Il riequilibrio della bilancia avveniva solo mettendo altra merce nell’altro piatto della bilancia[111].
Dal giornale “IL CORRIERE DELLA SERA” dell’8 agosto 1993 a pag 13 si legge:
…la relazione tra quantità di moneta e prezzi dei beni riceve una sistemazione teorica definitiva per quanto riguarda la moneta, specie nel trattato di Ferdinando GALIANI . La teoria viene estesa, all’inizio di questo secolo (1900), in una formulazione tutt’ora ritenuta un riferimento essenziale, da Irving Fisher, alla moneta intesa in senso più ampio, come comprendente cioè le emissioni degli istituti all’uopo deputati (Fisher pubblica la sua opera a Yale nel 1911, la creazione della Riserva Federale è del 1913).
A questo punto riprendo la
GENEALOGIA
de NATALE SIFOLA GALIANI
Gli stemmi dei SIFOLA e dei GALIANI incorporati in quello dei de NATALE sono armi di sostituzione in quanto dette armi sono assunte per l'estinzione delle famiglie delle quali si è preso pure il cognome.
Al marchese don dott. Marcello Maria de NATALE SIFOLA che sposò la m.sa donna Anna Maria GALIANI[112] succedettero:

il m.se dott. Bernardo Maria, Francesco, Elpidio, Salvatore, de NATALE SIFOLA GALIANI[113] nacque in Casapulla il 6 agosto 1775[114] e fu battezzato nella parrocchia di Sant’Elpidio[115]. Passò a miglior vita, l’11 novembre 1827[116]




Altri figli del marchese Marcello Maria de NATALE SIFOLA ed Anna Maria GALIANI 
furono:
Ferdinando nato il 27 luglio 1777 in Casapulla.

don Celestino Maria, nato il 26 gennaio 1778 e deceduto il 11 settembre 1783[119].

don Benedetto nacque l’10 dicembre 1780[120] in Casapulla, sposò in prime nozze il 22 dicembre 1829[121] donna Emanuela[122] Amato-Giaquinto di Giuseppe, ed in seconde nozze Luisa Petitti dei baroni di Verrazzano[123]. Benedetto morì in Casapulla il 2 marzo 1851[124]*senza figli.

don Michele Maria Ferdinando nato il 9 dicembre 1782 e deceduto il 7 ottobre 1783.

Il marchese dott. Bernardo Maria NATALI SIFOLA GALIANI[125] di don Marcello Maria[126] e della marchesa Anna Maria GALIANI, fu Cavaliere di Divozione del Sacro Militare Ordine Gerosolimitano. Si trasferì a Napoli nel 1785 dove sposò[127] il 25 marzo 1797 in San Marco di Palazzo (Napoli) donna Maria Candida COLONNA-ROMANO[128], figlia di don Giuseppe, marchese di Altavilla,[129]  e di Marianna GAGLIANO[130].


Stemma
 GAGLIANO







[1] Sebbene intelligentemente e nobilmente avvocatesco.
[2] Il Grimm, in quel momento, era in giro per l’Europa.
[3] Delle quali è peccato siano andate disperse quelle del gennaio-febbraio 1770.
[4] Che della parte avuta da lui nella revisione dei Dialogues discorse altresì un paio di volte nelle lettere alla sua Sophie Volland.
[5] Celata sotto lo pseudonimo di Lucien Perey.
[6] 1694-1772.
[7] 1737-1817.
[8] Allusivo, come quelli di Painmollet e Painbis, alla materia trattata nei Dialogues.
[9] Quello stesso che il Nostro, nelle sue lettere, chiamerà burlescamente l’abbé Jésus-Christ.
[10] Giacché doveron pure interromperla, se non altro per far colazione e pranzare.
[11] Marito e moglie.
[12] Delle quali quelle del secondo inedite.
[13] Io, Ferdinando de NATALE SIFOLA GALIANI, a pagina 144 di «Vecchie e nuove teorie cconomiche» di Gustavo del Vecchio seconda edizione anno 1956 collezione sociologi ed economisti, leggo: «Quanto al sottile ingegno del GALIANI, ci sembra specialmente degna di nota l’anticipazione non della scienza, ma di quella scienza economica, che è la scuola storica dell’economia politica, contenuta nel Dialogo sui grani. In ogni caso meriterebbe il nostro esame se fossimo a trattare le ragioni nostre di priorità non in confronto degli inglesi ma dei tedeschi, nel campo dei nostri studi. Perché l’opera sulla Moneta, con tutti i suoi pregi grandissimi, non ci sembra tale da poter essere condiderata più che un presentimento di quello che sarà la scienza dello Smith, del Ricardo e del Jevons»
[14] Col quale ha in comune lo spirito irreligioso, il materialismo e l’edonismo.
[15] E, col Morellet, i fisiocrati.
[16] 1739-1794.
[17] 1732-1804.
[18] 1766-1817.
[19] Quando, nel 1769, richiamato a Napoli, il GALIANI lasciò per sempre Parigi.
[20] (1732-1776)
[21] (13 marzo 1770)
[22] (7 aprile 1770)
[23] Il Diderot, che effettivamente nel 1773 si risolse a raggiungere il Grimm a Pietroburgo, non senza incitare il GALIANI a fare il medesimo.
[24] Il Diderot e la signora d’Épinay.
[25] Per tutto ciò vedere le eccelenti note di Eugène Asse alla Correspondance del GALIANI indice dei nomi, sub «Catherine II»
[26] Secrétaire des Conférence de l’Accadémie Impériale des Sciences.
[27] Projet che si serba ancora inedito tra le sue carte e che per molto tempo è rimasto ignorato
[28] Cfr., Benedetto Croce, Il duca di Serracapriola e giuseppe de Maistre, in Uomini e cose della vecchia Italia (Bari, 1927, II, 192-195.
[29] E nel 1792 comamdante in capo delle milizie alleate contro la Francia.
[30] Cfr. al riguardo Fausto Nicolini, L’ABATE GALIANI ED IL MINISTRO ACTON (Napoli, Ricciardi, 1931).
[31] Ma lo stesso GALIANI, da parte sua, non sarà alieno dal contribuire a fissarne i tratti.
[32] Pseudonimo di Luce Herpin.
[33] Quelle di Gaspare Cerati, ad esempio, o quelle di Pietro Paolo Celesta.
[34] Sulle quali ha lavorato il Nicolini.
[35] Ma esagerato definirlo pigerrimo, come fa il Nicolini.
[36] Ove si eccettuino i Dialogues sur le commerce des bleds, scritti però in circostanze particolari ed opera di battaglia politica più che di riposata meditazione.
[37] Si vedano, ad esempio, quella sulla caisse d’escompte del 2 marzo 1767 sul commercio, quelle del 22 giugno e del 3 agosto 1767 sulla controversia con il principe di Monaco, quelle, più note, del 1764, relative alla carestia del Regno di Napoli, quelle del 21 settembre e del 2 novembre 1767 sul commercio dei grani e la legislazione granaria in Francia e nel Regno di Napoli.
[38] Non senza una compiacenza da letterato sulla quale si ritornerà.
[39] E di tali temi è traccia in altri scritti galianei di quegli anni.
[40] Il passo riguardante Beccaria si legge nell’edizione Nicolini dei Dialogues, pag. 425; cfr. anche S. Rotta, Documenti per la storia dell’illuminismo ecc., in miscellanea di storia ligure, 1, Università di Genova, Ist.di storia medievale e moderna, 1958, pp.278-9.
[41] La lettera è del 7 luglio 1770.
[42] Si ricordi che egli aveva lodato il libro di Beccaria ed il gruppo dei philosophes milanesi nella lettera a Tanucci del 25 ottobre 1766.
[43] 11 gennaio del 1752.
[44] Di: Girolamo Costantini.
[45] Lettera del 4 marzo 1752.
[46] B.S.N.S.P., XXI, B, 17.
[47] Lettera a Sgueglia del 10 dicembre 1751.
[48] Lettera del 19 luglio 1752.
[49] Lettera a Squeglia del 3 dicembre 1751.
[50] Lettera del 17 dicembre 1751.
[51] Lettera del 12 agosto 1752.
[52] I versi per Iannaccone.
[53] Il Della moneta
[54] Carteggio di Pietro ed Alessandro Verri, lettera del 29 agosto 1769.
[55] 1751-59.
[56] Il discorso non vale, o non vale solo parzialmente, per Antonio Cocchi, che coltivò soprattutto l’erudizione e la filologia classica – a voler tacere, naturalmente, della sua attività principale, quella di medico e di scienziato.
[57] Diverso era l’atteggiamento di Cerati.
[58] La più disprezzata razza di pazzi che io abbia mai conosciuta».
[59] Il quale fu uno dei più eruditi del suo tempo.
[60] Lettera del 15 aprile 1755.
[61] 13 marzo 1753.
[62] 10 aprile 1753.
[63] 7 maggio 1753.
[64] 28 maggio 1754.
[65] B.S.N.S.P., XXXI, C.9, f. 310v.
[66] B.S.N.S.P., XXXI, C.9, f.298v.
[67] B.S.N.S.P., XXI, B. 17.
[68] Cioè i gesuiti.
[69] 4 agosto 1759.
[70] 29 settembre e 27 ottobre 1759.
[71] 26 gennaio 1760.
[72] Lettera di GALIANI a Tanucci del 14 settembre 1767.
[73] E' noto che Tanucci vietò a Napoli tutte le opere di Voltaire.
[74] Ed alla d’Épinay.
[75] Cfr. ad esempio la consulta sulla marineria, degli anni dell’abate.
[76] lettera al primo ministro Tanucci del 14 novembre 1763.
[77] 25 giugno 1764.
[78] lettere del 19 marzo e del 30 aprile 1764.
[79] 7 maggio, 24 settembre, 8 e 22 ottobre, 5 novembre 1764, ecc.
[80] Si tratta dell’editto, che sottoponeva i regolari a pesanti restrizioni
[81] Lettera a d’Alembert del 24 settembre 1773.
[82] Novembre 1767.
[83] 4 gennaio 1768.
[84] Ed è, s’intende, tutto negativo per Napoli.
[85] Come la chiamavano gli avversari.
[86] La terra come unica fonte di ricchezza, la proprietà privata come diritto di natura, il dispotismo legale, ecc.
[87] La totale libertà d’importazione e d’esportazione va applicata sempre e dovunque, gli ostacoli che si oppongono a tale libertà ed al pieno esercizio del diritto di proprietà vanno abbattuti, ecc.
[88] Si tratterebbe di un’operazione tendente a proiettare indebitamente sul prima l’ombra del poi.
[89] Sgravi daziari per i manufatti che vengono esportati, divieto di esportare generi che non abbiano materia e «forma» nel paese d’origine, incremento degli scambi commerciali, miglioramento nella confezione dei prodotti)
[90] Incise , comunque, la carestia francese del '68.
[91] Il richiamo da Parigi ed il ritorno in patria.
[92] Si tratta soprattutto di approfondimenti tecnici che costituiscono un notevole documento dell’interesse che l’abate continuò ad avere per le questioni granarie.
[93] Gli anni dell’Enciclopédie.
[94] 21 marzo 1772, 29 luglio 1775, 11 maggio e 12 ottobre 1776.
[95] Dolore per aver lasciato Parigi, isolamento a Napoli.
[96] Lettera del 26 luglio 1772.
[97] Il famoso arlecchino Carlo Antonio Bertinazzi.
[98] Lettera del 15 febbraio 1774; risposta della d’Épinay del 27 febbraio 1774.
[99] Se ne trova un’ampia scelta Il pensiero dell’abate GALIANI.
[100] Lettera del 7 novembre 1778.
[101] Lettera del 5 settembre 1772 a Diderot e lettera del 21 settembre 1776 alla d’Épinay.
[102] Prima il Breteuil, poi il Clermont d’Amboise.
[103] Gleichen, Grimm, Pignatelli ed altri.
[104] Grimm, che finì per diventare agente e factotum dell’imperatrice di Russia, costituì per GALIANI anche il tramite per il quale l’abate entrò in contatto con l’imperatrice Caterina II.
[105] Luigi Einaudi, Presidente della Repubblica Italiana.
[106] Dopo molti secoli.
[107] Vol.II di Franco Strazzullo Editore Congedo (Lecce) 1976.
[108] Celestino GALIANI.
[109] Berardo.
[110] Giovan Battista.
[111] Aumento della produzione.
[112] Ad essa pervenne il titolo di marchese  che ereditò per diritto siculo in feudalibus dal padre Berardo. Titolo che trasmise al figlio Bernardo. La marchesa deceduta in Casapulla il 17 Dicembre 1783 fu sepolta nella chiesa della Santissima Concezione di Nostra Donna di proprietà della famiglia de NATALE SIFOLA e de NATALE discendenti di Marco Aurelio, La m.sa Anna Maria, Camilla, Donata, Lelia nacque a Sessa Aurunca il 26 ottobre 1751, registrata nel libro dei battesimi al foglio 62 a 8 della chiesa di Santa Maria a Castellone. Aveva una sorella nata a Napoli il 18 novembre 1753, battezzata in Sant'Anna di Palazzo. Andò in sposa in prime nozze al Marchese Andrea di Sarno il 177? deceduto il 4 ottobre 1785 ed in seconde nozze a Giulio Venuti, il 5 giugno 1788. MARIA Gaetana morì jl 24 gennaio 1804

[113] Presso il Grande Archivio di Stato di Napoli nel fondo Regia Camera Sommaria-Cedolari vol. II fol. 482r, stesso fondo, refute dei Regi Quinternioni Vol.234 pag 194-196v-197v il cognome de NATALE SIFOLA cambia in NATALI SIFOLA con Marcello Maria, con Bernardo cambia in NATALI SIFOLA GALIANI ed ancora in NATALI GALIANI e successivamente in NATALE GALIANI nella vita quotidiana; poi di nuovo in NATALE. Giovanni(19/3/1910) per decreto del Ministro di Grazia e Giustizia del 5 giugno 1997, ed il figlio Ferdinando(9/3/1940) per decreto del Presidente della Repubblica Italiana del 2 giugno 1987, riprendono il cognome de NATALE SIFOLA GALIANI.
[114] 1775 Libro 7° dei battezzati p.264 a tergo.
[115] E' registrato nel libro dei battesimi al n° 2444 bis.
[116] Il marchese don Bernardo a Napoli apparteneva alla parrocchia di Santa Maria di tutti i Santi.
[117] Regia Camera della Sommaria Refute dei Regi Quinternioni vol.234 pag. 194, 196v e 197v: vol. II pag.482.
[118] Ossia: de NATALE SIFOLA GALIANI.
[119] Secondo don Felice Provvisto il 5 settembre 1783.
[120] Libro 7° dei battezzati p.313 a tergo.
[121] Forse in Caserta.
[122] Nata nel 1789 e deceduta il 4 novembre 1828 Secondo don Felice Provvisto nacque nel 1798.
[123] Deceduta il 14 gennaio 1880.
[124] Libro 9° dei defunti della parrocchia di Sant'Elpidio pag. 242.
[125] Titolo riconosciutogli il 17 ottobre 1783 come registrato nei regi cedolari a pag. 196 del 28 gennaio 1785 e 10 aprile 1785. Egli insieme al padre Marcello viene riconosciuto nel Real Palazzo e nelle Reali funzioni da don Giuseppe Grimaldi maestro di cerimonie per Sua Maestà.
[126] NATALI SIFOLA, ossia de NATALE SIFOLA.
[127] Bernardo all'epoca abitava nel distretto di San Tommaso a Capuana dove furono fatte le pubblicazioni, quelle della moglie furono fatte in San Marco di Palazzo nel  cui distretto abitava.
[128] Battezzata in San Marco di Palazzo, libro XVII fol. 87 il 30 luglio 1769 con i nomi: Maria Candida, Marta, Raimonda, Vincenza, Pascala; Archivio storico diocesano di Napoli; Curia Arcivescovile di Napoli sez. 1797 lettera B Bernardo de NATALE SIFOLA GALIANI e Maria Candida COLONNA-ROMANO. Morì il 4 luglio 1837 in Casapulla e sepolta nella chiesa dei de NATALE SIFOLA GALIANI, la Santissima Concezione di Nostra Donna.
[129] Oggi Altavilla Silentina (Salerno).
[130] Il fratello di Maria Candida, Luigi fu cavaliere costantiniano di giustizia. Candida Maria COLONNA-ROMANO fu sepolta nella chiesa della Santissima Concezione di Nostra Donna in Casapulla; chiesa che era di proprietà della famiglia de NATALE SIFOLA GALIANI e che veniva utilizzata quale luogo di sepoltura.

Nessun commento:

Posta un commento