TOMMASO CARRAFIELLO
Appendice
I*
RAPPRESENTANZA DEL MARCHESE GALIANI
AL MARCHESE TANUCCI SULLA RELAZIONE
E SU I DISEGNI DEL TEATRO ERCOLANESE[1]
Si compiacque V. E., non men che dal 13
dicembre dello scorso anno, di real nome rimettermi la pianta e profilo del
teatro d’Erculano fatto da D. Carlo Weber, insieme con una di lui relazione,
perché io vedessi, conoscessi e dessi il mio parere. Sono andato fin oggi di
giorno in giorno lusingato, di non dover cotanto differire la esecuzione di un
sì alto, venerato, e lusinghiero comando. Ma come per potere il più
adeguatamente corrispondere, convenivami abboccare a con Carlo Weber e con
altri, per ricevere gli opportuni lumi; così mi credo della tardanza
abbastantemente scusato, dalla morte (salute mille anni all’E. V.) del detto
Weber, non molti giorni dopo del carico addossatomi, dalla infermità degli
altri, e dalla inopportunità del sì fatto negozio, in tempo di gravi e molto
maggiori occupazioni. Alla perdita del Weber si è in qualche modo riparato, con
l’addossare la cura degli scavi al sig. La Vega, giovane di valore che a
quest’ora avrà ben saputo rendersi istrutto del finora oprato, per assicurare
la direzione de’ nuovi scavi che occorrono. Le infermità e le gravi cure mercé
la somma provvidenza della E. V. non fanno più orrore, ond’è che per non più
differire, non taccia almeno di disattento, mi veggo nell’obbligo di far
presente a V. E. Che siccome finora par che nel teatro antico siansi diretti
gli scavi a solo oggetto di rinvenirvi o pitture o scolture, o altro frammento
che meritasse passare nel R. Museo, così per potersi ora comunicare al pubblico
disegni di questo teatro, il più compiti ed esatti che si possa, conviene
ordinare degli scavi espressamente, per iscoprire quelle parti di esso teatro
che necessitano, e per l’esattezza del disegno, e per i lumi, che dalla
intelligenza degli autori, il mondo tutto aspetta da questo teatro, che per
fortunato accidente è, e senza meno deve essere, il più conservato di tutti da
una sì remota antichità. Per la esattezza del disegno della pianta, pare che la
somma diligenza e scrupolosità del Weber non ci lasci cosa a desiderare: ma per
un disegno egualmente esatto della elevazione, sia della parte anteriore della
scena, sia della posteriore del teatro, vi mancano ancora de’lumi, per avere i
quali converrebbe fare più scavi, benché tutti di piccolo momento.
1. Le pilastrate degli archi esteriori
sono tutte ornate di una fascia verticale, che sebbene senza base, possono ciò
non ostante essere pilastri dorici, i quali avranno almeno il capitello e
cornicione, forse con un sopraornato attico. Per assicurarcene conviene uno
scavo, dalla estrema altezza già scoverta del teatro in giù, radendo la stessa
facciata esterna: e questo per quanto porta la larghezza di un arco solo colle
due pilastrate laterali, giacché l’euritmia ci assicura della somiglianza di
tutto il resto dell’edificio. Non mi dispiacerebbe si scegliesse o l’arco di
mezzo, o uno di que’due che danno ingresso alle due scalinate, essendo più in
questi che in altri probabile d’incontrarvi alcuna iscrizione, bassorilievo,
pittura, o altro ornamento.
2. Pianta - essendo vero che il portico
che si costruiva dietro la scena, ed in questo nostro non mancava, servisse per
ricovero de’spettatori in tempo di piogge, convien fare diligenza per assicurarsi,
se mai dal porticato esteriore e circolare del teatro vi fosse, come pare
naturale, un passaggio coperto con qualche apertura nel muro che divide le
arcate dal colonnato.
3. Dalla pianta non si rileva esservi
stati muri, che lateralmente chiudessero e segregassero dal pubblico commercio,
il p[r]oscenio[2] e parascenio addetti
agli attori.
4. Benché per le regole dell’arte
essendoci, già nota l’altezza del teatro, quella della scena deve essere
eguale, ad ogni modo e per maggior sicurezza e per iscoprire molto più se mai
fosse in questa parte coperto il teatro, parmi a proposito che vi abbiano a
fare delle puove.
5. Qualche
altra pruova bisognerebbe fare lungo il muro del proscenio, dalla parte del
colonnato, per iscoprire la giusta altezza delle colonne, e il sopra ornato
delle medesime. Spero che V. E. non reputi impertinente questi miei dubbii, e
che passi immantinente gli ordini opportuni a chi si convenga, per farsi gli
accennati nuovi scavi. In attenzione dunque della reale risoluzione, per quella
parte che si è la M. S. degnata farmici avere, o altra che Le piacesse, mi
riserbo a nuovo ordine adempiere al comando avuto, di vedere e riconoscere,
quando si sarà passato il corrispondente ordine all’ ingegnere La Vega, o a chi
altro convenga, perché co’disegni alla mano si possa sulla sulla faccia del
luogo autenticare la loro esattezza.Finalmente per non più differire la tanto
aspettata pubblicazione di questi disegni, debbo far presente alla V. E., che
quelli dati dal Weber sono di una eccessiva grandezza, sicché primo, non
potrebbonsi tirare con un rame solo, e, le disegni tirati in più rami non
sogliono essere i più esatti: secondo, il disegno così inciso non potrebbe
andare senza molte piegature o ripiegature nello stabilito volume. Assicuro in tanto
V. E., che un teatro disegnato di grandezza capiente nel foglio de’volumi
ercolanesi, è sicuramente di grandezza maggiore de’disegni de’teatri, che si
sono pubblicati fin oggi, e le parti più minute vi pervengono bastantemente
distinte. Tutto ciò dico all’E. V., perché passandolo alla intelligenza della
M. S., si risolva la grandezza del disegno, per quindi il più presto che si
potrà, possansi fare disegni puliti, o da altri o da me stesso, quando piacesse
darmene il carico, intanto che facendosi, se così si risolva, i nuovi scavi, si
possa aggiungere a’ cominciati disegni, quelle nuove parti che si scopriranno.
Ad un Ministro ingombro di alti affari ho scritto troppo a lungo: per maggiore
intelligenza della cosa, avrei anche più a lungo scrivere. Quando però la
brevità mi abbia fatto oscuro, perché non se Le accresca la noia con altra
lettura, che sempre oscura sarà a chi non abbia potuto visitare gli scavi, ad
ogni semplice cenno mi darò l’onore di presentare all’ E. V. un rozzo modello,
che espressamente ha formato di tutto ciò che finora in questo teatro ho
scoperto.
SCAVI RICHIESTI DALLA R.. ACCADEMIA ERCOLANESE
PER LA FORMAZIONE
DELLA PIANTA
La Reale Accademia Ercolanese, ha proposto al Re di farsi alcune
scavazioni, per potersi con più esattezza formar la pianta dell’antico teatro
di Ercolano, e facilitare insieme la veduta, e l’intelligenza del teatro
stesso. E primieramente per far ciò ha creduto opportuno, che si ripulissero
tutte le grotte, le quali furono fatte cavare dal fu D. Carlo Weber, e poi si
riempirono di nuovo, con togliersene tutto il terreno che inutilmente le
occupa, e che impedisce il formare una giusta idea delle parti più importanti
del teatro; e che per lo stesso effetto di riconoscersi il pulpito, e parte
dell’orchestra, si tolga tutto il terreno, che resta avanti alla scena, con
farsi in quel luogo di tratto in tratto de’pilastri, anche per assicurar così
il pappamonte sovrapposto ad un gran vuoto, che ora vi si vede. In secondo
luogo per osservare se vi sieno state mura, che lateralmente chiudessero, e
segregassero dal pubblico commercio il proscenio, e’l prascenio, ha proposto,
oltre al ripulirsi le grotte già in quei siti fatte dal Weber, farsi qualche
altro scavo, che bisognasse. In terzo luogo per scovrire, se le fasce opposte
verticalmente alle pilastrate degli archi esteriori, sien pilastri dorici con
capitelli, cornicione e sopraornato, ha proposto d’incominciarsi unitamente due
scavi, uno nell’arco di mezzo, dove già il Weber aveva fatto eseguire un
taglio; e l’altro nell’arco immediato alla scala grande, che resta verso la
marina, continuandosi il taglio verso la scala, e scovrendosene il pilastro
intermedio col suo sopraornato. In quarto luogo farsi una prova in uno de’muri
laterali alla scena, dove era il passaggio del parascenio al pulpito, per
riconoscere dall’attaccatura della scena con gli alti muri laterali la sua
altezza, e veder ancora, se tal passaggio era arco o porta. Ha proposto in
quinto luogo, che per assicurarsi dell’altezza delle colonne, le quali
formavano il portico dietro la scena, e sono già rovinate, potrebbe farsi
qualche prova sulle mura, su cui posava il coverto del colonnato oltre il teatro,
o che per essere di fabbriche più stabili della scena, han potuto conservarsi
intere; potendosi in tal maniera anche vedere, come terminava il detto portico,
per perfezionare la pianta su detta. E finalmente ha proposto, potersi
impiegare in queste scavazioni quattordici tra uomini e ragazzi, de’più grandi
che restano alla Civita[3];
rimettersi i quattro schiavi , che restano prima in dette scavazioni, come
gente già pratica, e per cui non è necessaria guardia, o agozino; e alla Civita
rimettersi i quindici ragazzi che prima vi erano, poiché in tal maniera si
seguiterebbe lo scavamento del teatro di Pompei, colla speranza di potersi
trovare in buono stato alcuna delle parti che mancano a quel di Ercolano; e si
farebbe nel tempo stesso le prove, e scavazioni suddette.
LAVORI ESEGUITI NEL MAGGIO E
GIUGNO 1765
Essendosi nella parte esterna ricercate le fasce apposte anticamente
alle pilastrate delli archi, ho riconosciuto essere queste divise in due
ordini, benché altro non ne possa dire, per non aver ancora scoperto alcun
capitello. Nel fare questo tentativo, però son venuto in cognizione, che in
mezzo alla sommità dei gradi, dirimpetto alla scena, vi fosse un piccolo
tempio, benché era molto distrutto; ma da qualche avanzo che ne ho trovato può
credersi, essere stato, al pari di tutto il teatro, magnifico. Si son fatte
delle pruove, per riconoscere se esistesse in qualche luogo l’intera altezza
della scena, ma questa l’ho trovata in tutta la sua sommità diroccata, benché
la parte che esiste, è con tutto ciò delle maggiori che si osservi in qualunque
altro antico teatro. Ho però scoperto lateralmente alla stessa scena, che i due
passaggi dalli parasceni al pulpito sono due porte. Essendosi levata buona
porzione del terreno che restava nel vacuo avanti la scena, con avere
appuntellato con travi il pappamonte soprapposto, sino a tanto che per avere
intieramente sbarazzato, fosse in istato di farsi li pilastri: ho scoperto
sotto il tavolato del pulpito esservi varii cunicoli, alcuni proprii a portare
le acque piovane raccolte nell’orchestra, ed altri ad uso forse di muovere
macchine, o formare que’suoni ed altre comparse, che ereano solite farsi dalli
antichi nelle commedie. Nella faccia del pulpito verso l’orchestra, si sono
scoperti quattro risalti di muri, che lasciano quasi su di loro tre nicchie,
delle quali quella che resta nel mezzo, che è ancora nel mezzo del pulpito, è
rettangola, e quelle dei lati sono semicircolari, e restano queste più ornate
di membri di marmo, che la rimanente faccia del pulpito, secondo si può capire
dalli pochi avanzi che sono restati in questo sito, che secondo ho detto è il
mezzo. Pare che il piano superiore restasse più alto che il rimanente del
pulpito, con ascendervisi per un piccolo grado. Così li sopra notati cuniculi,
come questi muri scoperti avanti il pulpito, sono troppo singolari, per non
esistere in altro teatro antico. Questi muri dubito, che forse possano essere i
tribunali, delli quali Vitruvio fa menzione in questi termini: Sunt enim res
quas in pusillo et mago theatro necesse est eadem magnitudine fieri etc.
lib. V, cap. 7.
Anche di questo si parla nell’iscrizione trovata nel teatro di Pompei,
riportata nel rapporto delli 22 agosto 1764, che dice:
III-RVFUS...
... BVNAL-THEA...
COLONIA...
Tribunali non si possono qui intendere per luoghi di amministrare la
giustizia, e specialmente se si confronta il citato passo, con l’altro dello
stesso autore, lib. IV, cap. 7, dove dice: Fiunt autem aedes rotundae e quibus aliae monopterae dicuntur
etc. In un bassorilievo che rapporta il Piranesi fra gli altri antichi
monumenti, nell’opera Della
magnificenza ed architettura de’Romani, si vede un tempio rotondo
monoptero senza cella, con una scala che da l’ascenzo al medesimo, e due muri
che sporgendo fuori dal piedistallo del tempio lo vengono a racchiudere, come
ve n’è un esempio nella tav. XLVIII del tom. I di Ercolano; li quali muri,
secondo le parole di Vitruvio, pare che abbiano da prendersi per li tribunali.
Saprà l’E. V. con l’alta sua intelligenza, illustrare questa parte d’antichità,
come ne ha rischiarate tante altre sino ad ora. Per quello che riguarda la
lunghezza del portico dietro la scena, ho ritrovato non estendersi molto alli
suoi lati, oltre la larghezza dello stesso teatro, e solo resta a vedersi, se
rivoltando questa d’ambe le parti, comunichi con l’altro portico circolare, che
circonda il teatro; e dovrà ancora farsi qualche esame, per riconoscere
l’altezza di questo istesso portico.Tutto questo si è eseguito con 200 ducati.
II
PARERE DEL M.E BERARDO GALIANI
DATO SULLA COPERTURA DEL PALCO DEL TEATRO
OLIMPICO
IN ESECUZIONE DI ORDINI
AVUTINE DAL SIG.
RESIDENTE DI VENEZIA IN NAPOLI[4]¹
[271r] Dalle tre
scritture stampate, che giorni sono per venerato alto comando mi sono state
consegnate[5]
[R: delle quali] una è la descrizione del Teatro Olimpico eretto dal Palladio
in Vicenza fatta con esatta e somma erudizione dal Sig. Conte Giovanni
Montenari, e l’altra è del Sig. Conte Enea Arnaldi, contenente l’idea d’un
Teatro moderno a somiglianza dell’antico, con due discorsi uno sulla copertura
del Teatro in genere, l’altro su quella a farsi nel Teatro Olimpico, [R: di cui
tratta anche] la terza dell’Accademico Sig. Ottone Calderari, [M: rilevasi la
controversia insorta fra que’dotti e insigni Accademici, essere, se] e come
debba coprirsi il pulpito della Scena di detto Teatro Olimpico, [271v] giacché
l’accidente porta, che abbia ora bisogno di rifazione. [M: Per eccesso di
delicatezza si è voluto sentire su tal questione anche il mio debole parere; e
come che ciò a sommo onore mel rechi, non è che no’ senta insieme la pena di
dover scrivere in concorso di talenti di gran lunga superiori]. Avrei [R:
perciò] desiderato che la questione fosse [R: ristretta] solo sul punto di come
si avesse dovuto rifare, lasciata in non cale quella del se vi convenisse,
mentre dalli stessi atti dell’Accademia, da’disegni antichi dello stesso
Teatro, e finalmente in mancanza, da ogni Architetto studioso indagatore del
buon gusto antico, si sarebbe con agevolezza ed onore determinata la
controversia. Ma poiché il sopraffine gusto di que’ Nobili accademici, pare che
ponga in dubbio se quella copertura non [R: che] la presente di tela [R: e
tavole dipinte], ma quella anche di stucco [R: antica], che vi è stata fino a
molti anni sono, fosse stata o no l’idea del Palladio; e passando anche più
oltre si giunge fino in un certo modo a porre in dubbio, se una tale copertura,
quanto fosse stata [272r] l’idea del Palladio, sia o no sul gusto antico;
conviene anche a me entrare in tutti gli [R: eccitati] punti, e perciò dirò
prima quello che sento sulla forma di quelle parti del Teatro antico che sono
al caso; in secondo luogo sulla somiglianza dell’[R: Antico coll’] Olimpico; ed
in terzo finalmente sulla copertura da farsi sul pulpito [M: di questo].
Se avessi avuta la sorte, che la mia traduzione, e fatiche sopra
Vitruvio date già alla luce dal 1758, fossero state [R: sotto gli occhi de’]
Sig.ri Accademici Olimpici, che han pubblicate le loro dotte disertazioni nel
1762, avrei potuto un doppio vantaggio ricavare, il primo di vedermi sopra gli
abbagli forse colà da me presi, illuminato, ed ammaestrato da perspicaci
ingegni; e’l secondo di vedermi ora esente dall’imbarazzo di dovere per [272v]
necessaria sincerità dire cose che non saranno forse del tutto d’accordo col
detto de’ citati valenti uomini. In tanto una volta per sempre mi protesto di
avere tutta la maggiore stima per chiunque, e di non avere altra idea nel
proporre i miei sentimenti, che quella di crivellare al possibile la materia, e
di stimolare talenti ancora più vivi, e più di me perspicaci alla ricerca di
maggiori, e desiderati lumi.
CAPITOLO I - DEL TEATRO ANTICO
Ognuno sa, che i Teatri antichi avevano due parti, l’una per gli
Spettatori, l’altra per gli Attori: quella tutta di fabbrica soda, questa
all’infuori delle mura principali, tutta di legni, e forse di carte, e tele.
Quindi non ha fatto ne fa meraviglia, [273r] se in tanti, e tanti frammenti di
Teatri antichi trovisi intera, o quasi la parte degli Spettatori, e quasi
interamente al contrario rovinata quella de’Rappresentanti: onde è, per
accertarci della esistenza, forma, o sito di alcuna di [R: queste] si fatte
parti, non possiamo ad altro ricorrere, che a que’ pochi scrittori
contemporanei, copia de’quali è riuscito far valicare l’immenso mare di più
secoli, e di barbarie. E nella materia d’Architettura cresce l’angustia, perché
di tanti autori, che già ne scrissero ed in Greco ed in Latino, non si è fino
a’ dì nostri potuto salvare altro, che ‘1 solo Vitruvio, e dio ‘1 volesse, che
almeno questo salvo si fosse in tutto le sue parti. Dissi il solo Vitruvio,
perché di poco o nessun lume ci sono, e ci possono essere que’ passi d’Autori
[273v] sieno Istorici, sieno Filosofi, sien finalmente Poeti; poiché o sono
troppo piccole cose, o non meritano quella [R: tanta] fede che altrimenti loro
si sarebbe prestata, se trattato avessero espressamente di si fatte maniere, o
notizie avessimo d’esserne stati intendenti. E per non divagarmi in questa
prevenzione, già troppo nota, venendo al caso particolare, dirò, che quanto sù
Teatri antichi hanno opinato, e i commentatori di Vitruvio, e i primi lumi
moderni restitutori della buona Architettura, tutto non è cavato altronde, che
dal testo stesso di Vitruvio, il quale per la brevità, ed oscurità
dell’espressione, per la mancanza delle figure, e spesso anche per il difetto
degli Amanuensi, non riesce [R: tuttavia ] in molti luoghi della più facile
intelligenza. [274r] Lungo e superfluo sarebbe ancora il copiare qui quanto ho
io medesimo, rispetto a’ Teatri antichi, detto nel mio commento sopra Vitruvio
nel Lib. V [R: dal] Cap. 3º al 9º. Con facilità può ognuno quivi vedere le
ragioni della nuova interpretazione da me data ad alcuni passi, per la quale
viene in conseguenza a darsi una figura, ed una idea di alcune parti di esso
Teatro, troppo diversa da quella, che si [R: era] avuta [R: per l’innanzi]. Il
mio ardire nello scuotere il peraltro sempre lodevole giogo della sottomissione
agli insegnamenti di accreditati autori, spero non sia preso in mala parte, [R:
anzi] che mi s’imputi piuttosto ad un eccesso di zelo la scoperta della verità.
Per questo principio lasciando [R: ora] il resto, mi avanzai a tradurre lo
stesso Testo, in modo che togliesse la [254v] comune radicata idea, che le
macchine triangolari, onde gli antichi si avvalsero per le mutazioni delle
Scene non fossero già situate dietro le [R: note e costanti] tre porte del
fronte della medesima, ma si bene di fianco, come usiamo [R: noi] oggi, quanto
a dire presso alle strade delle cantonate, che allora dicevansi delle versure.
E se allora che io pubblicai le sopraddette mie fatiche, con non piccolo mio
timore, avanzai questa mia nuova scoperta, coll’ andar del tempo, e colla più
matura riflessione non solo non [R: ho] trovato motivo di rivederne, ma anzi
piuttosto di confirmarmici. Per non ripetere quanto quivi ho detto, brevemente
dirò che né Vitruvio, [R: né altri] disse [R: mai] che le mutazioni di Scene si
mettessero dietro le tre porte, né la ragione non prevaricata permette che
quivi sieno. [275r] Non lo disse Vitruvio, poiché egli altro non scrisse, se
non che «media[6]
valvae ornatus habeant aulae regiae: dextra ac sinistra hospitalia: secundum
[7]
secundum antem ea spatia ad ornatus comparata ... e dopo aver descritto
le tre mutazioni di Scene Tragica, Comica, e Satirica, conchiude: sucundum
ea loca versurae sunt procurrentes quae effíciunt una a foro, altera a peregre
aditus in Scenam». Se non m’inganno [R: dunque] non hanno veduto chiaro quelli,
che hanno interpretato il primo Secundum, per dietro, ed hanno con ciò
voluto situare le macchine versatili dietro cotali porte, quando non altro
dovevano per dietro interpretare l’altro Secundum, ed in conseguenza
situare anche dietro le porte gli [275v] angoli, e le strade delle versure,
locché per altro non è né caduto, ne potuto cadere in mente ad alcuno. Non per
ragione, mentre a ben riflettere la Scena, o per dir meglio, la fronte della
Scena Greca non fu altro, che una immagine delle case loro, nelle quali si
vedea la porta grande di mezzo per l’appartamento principale, e le due laterali
per le foresterie, [ R: come da Vitruvio lib. VI. Cap. 10]. Ed i Romani
formando il loro Teatro, per quanto portavano i loro costumi simili a quello
de’ Greci, anche perché per lo più rappresentavano fatti Greci, fecero
anch’essi [R: nella scena] le tre porte; quella di mezzo con ornamenti di Aula
Regia, e le due Laterali per le foresterie, o sia le porte di mezzo per lo
principale Attore, e le laterali per li secondi . [276r]Fattasi una idea chiara
di tutto ciò non [R: mi pare che possa ] venire in testa ad alcuno, che il
pulpito, su cui uscivano gli Attori a Recitare, potesse rappresentare una
Stanza, una Sala, mentre è troppo chiaro che non poteva [R: figurare] altro che
una strada o piazza, sulla quale corrispondevano, e le tre porte della Casa
principale , e le due strade delle versure, [R: o sia delle cantonate], una per
[M: chi fingea] venire dalla Città , l’altra per [R: chi] da fuori [M: di essa.
Una piccola riflessione su ciò che dicono sul Pulpito gli Attori delle Commedie
di Terenzio, e di Plauto basta per abbattere ogni argomento contrario]. Da
dietro le tre divisate porte dunque è molto chiaro [ R: ancora], che non
poteano stare le mutazioni di Scene, mentre dietro quelle porte non vi si può
figurar altro, che Cavedj, Atrj, e peristilj, che sono gl’interiori delle Case.
E queste porte sono quelle [R: stesse], che secondo gli accidenti delle Scene
[M: si ricava dalle Commedie antiche, che] dovevano ora chiudersi, ora aprirsi,
ma in ogni caso sempre prestare il transito libero a que’ personaggi, che si
fingevano quivi abitare, o per [276v] altro accidente entrarvi; ond’è, che le
mutazioni di Scene dovettero per tutti i principj essere situate solamente presso
le versure, sieno esse state duttili, come pretende il Grammatico Servio, sieno
versatili. Parmi ora [R: facile] il decidere, se avesse potuto per principio di
proprietà rimanere coperto il pulpito. Il pulpito era una piazza, [R: o
strada], non una sala; e come piazza non dovea, ne poteva rimanere
effettivamente coperta. Sul pulpito uscivano gli Attori gente com’è noto, se
non infame, almeno molto meno rispettabile de’ Senatori, Cavalieri, ed altri
Spettatori; e se questi stavano benissimo allo scoperto, non fia meraviglia che
vi stessero gli Attori. Posso [R: solo] indurmi a credere, che allora si
coprisse [R: temporaneamente] con tende il pulpito, quando con tende si volea
coprire tutto il Teatro. [277r] [M: E sebbene della] copertura del pulpito della
scena, ho sempre nutrito qualche sospetto, che vi fosse stata, forte ostacolo
[R: sempre] incontrato per due riflessioni [M: oltre alle sopradette ragioni:]
La prima il non trovarne ne punto ne poco fatta menzione [M: non che da altri,
ma] da Vitruvio, ove par troppo naturale che ne avesse dovuto discorrere, o
almeno accennarne qualche parola. [282r] [8]Mentre
siccome, perché è naturale, che i tempj sieno coperti, perciò Vitruvio
espressamente notò l’Ipetro dover essere scoperto; così viceversa, com’è
naturale, che le piazze sieno scoperte, così volendo mai Vitruvio che la Scena,
o il Pulpito, che rappresenta una piazza fosse coperta, lo dovea dire
espressamente. Perché [277r] [M: al cap. 7 de lib. V] dice [M: tectum
porticus quod futurum est in summa gradazione, cum Scenae altitudine, e non
dice, cum Scenae tecti altitudine libratum perficiatur], e la seconda si è
che ne’ Teatri grandi, quale fu quello di Marcello in Roma, ed altri, il fronte
solo della Scena è lungo sopra [R: piedi] 200, ed io non ho veduto, come
avrebbe potuto con facilità reggere un Architrave di si fatta lunghezza, [M:
giacché è noto, che non vi era arco. I travi liminari degli Atrii, o sieno
Cavedj, erano si di cento piedi, ma ne’ Cavedj Corintii, onde erano ben retti
da spesse colonne. I passi di Plinio non sono chiari a favore della copertura
del Pulpito, il più che può ricavarsene si è, che si coprissero alle volte i
Teatri, ma debba intendersi con le tele, non con copertura perenne]. [227v]
Pare ad alcuno, che [R: dicendo] Vitruvio, che i portici eretti dietro al
Teatro, dovessero servire per ricovero degli Spettatori, [M: Vitruvio veramente
disse qua se recipiat populus] venga implicitamente a far vedere che non fosse
per gli rappresentanti, e che perciò questi stessero già al coperto. Quando si
voglia veramente credere, che Vitruvio maliziosamente non avesse quivi nominati
gli Attori, ne voluto comprendere il [R: troppo] piccolo loro numero, sotto il
[R: grande e] sensibile degli Spettatori [M: o sia, ch’è meglio detto, sotto la
voce di Populus] [R: nell’idea che] avessero quelli altra copertura; [M:
oltre all’essere per le ragioni da altri rilevato chiaro, che tal copertura non
potea produrre il desiderato effettoj non [R: veggo] necessario, [R: il]
crederla sul Proscenio, ma si bene sul Parascenio, luogo di facile portata per
gli Attori, luogo del tutto separato, ed espressamente riservato per l’uso de’
medesimi, luogo finalmente ove tenevansi [M: al dir di Polluce] tutte le
Macchine, che dovean servire per gli [278r] accidenti della Rappresentazione,
la [M: necessaria] conservazione delle quali [M: non farà porre in dubbio] che
avesse il Parascenio una perenne copertura. Egli è vero che gli antichi usavano
delle Macchine, per mezzo delle quali si facevano dall’alto comparire in Scena le
Deità Celesti e maggiori; [R: ma] da ciò si vuole inferire, che dovesse
rimanere coperto il palco, per dar agio di tenere ascose le macchine, e di
quindi comodamente calarle. Non istenterei a fermarmi in questa opinione,
qualora però, [M: oltra le già addotte ragioni in contrario,] non trovassi
altro modo da far agire si fatte macchine. Chi ci assicura, che gli nuvoli, e
gli Dei calavano giù a dritta per una corda? Chi vieta il credere che stando
piuttosto essi attaccati alla punta d’un trave tenuto dritto al lato del fronte
della Scena, non si facessero di sopra si, ma lateralmente calar giù [278v]
abbassando la punta di [R: esso] trave poggiato nel mezzo ad uso di bilancia,
di ponte levatoio, o di antenna su di un fermo sostegno? a Dall’avere la Scena
avuta la sua prima origine da’ tabernacoli, Tende, o Padiglioni, si vuole
indurre la conseguenza che anche ne’ Teatri di pietra debba la Scena, ossia il
di lei pulpito rimanere coperto. Se così fosse veramente il fronte della scena
non dovrebbe avere né tante colonne, né tante porte, non potendo essere
immagini di cose vedute nè Tabernacoli, e nelle tende. I Tabernacoli furono già
la Scena delle prime commedie, o per meglio dire Satire [R: e canzoni]; ma
quando gli Autori presa l’idea dalle Satire [R: canzoni] passarono a comporre
le commedie e le tragedie [M: videro bene, che] non conveniva più per si fatte
rappresentazioni il tabernacolo, ma vi [R: volea, come poi feceroj una Scena
che [9]
[280r] rappresentasse un’abitazione conveniente a’ nuovi Attori. [279v] Si cita
il passo di Cassiodoro tratto dal Commento di Filandro sopra il Cap. 6 lib. V
di Vitruvio; Est autem scena frons Theatri, id est ea Theatri pars, quae ab
uno ejus cornu ad alterum cum copertura durebatur[10].
Leggendosi con maggiore attenzione il Commento si troverà, che queste sono
parole del Filandro non del Cassiodoro, le parole di cui lo stesso Filandro le
cita poco dopo, e sono: Frons autem Theatri scena dicitur ab umbra loci
densissima, ubi a pastoribus incohante verso [?] diversis sonis carmina cantabantur.
È nella lettera a Simmaco, che trovasi nel lib. 4: variarum[11],
[R: non già nel 3º]. Giacché nel lib. 3 affatto non v’è tal passo, ne menzione
di Teatri. Il Filandro fu senza dubbio dotto uomo, ma con gli altri non capì
bene il teatro Antico. Cassiodoro benché non Architetto non disse essere la
Scena coperta, ma che ne’ Teatri nobili ritenne il Nome di Scena derivativo
dall’ombra, quella parte, che trae origine dall’ombroso bosco, ove nacquero le
prime rappresentazioni. [280r] Benché per riscuotere la dovuta ammirazione la
Scena del Teatro Olimpico, bastasse il dire d’averla così architettata un
Andrea Palladio, pare perché si vuole vera immagine dell’antica, si è preteso,
che tutte le Scene antiche fossero immagini di un Atrio Reale, portando a questo
senso le parole di Vitruvio «mediae valvae ornatus habeant Aulae Regiae»,
e spiegando Aula col Pitisco per Atrio, o cortile. Siasi però l’aula una casa,
o una sala, [M: permettamisi di far riflettere che] Vitruvio non disse già, che
tutta la Scena fosse ornata a modo di aula Regia, ma solo [R: che] la porta di
mezzo, e ciò e per ornamento della medesima Scena, e per essere quella la porta
della Casa del Soggetto principale, [M: o quella porta che introduceva all’Aula
Regia, la quale perciò si deve figurare dietro tal porta, non avanti]. Quando
si volesse che tutta la Scena figuri un Cortile Regio, bisognerebbe spiegare,
come in [280v] questo Cortile si trovano anche le porte laterali, le quali
Vitruvio dice essere delle foresterie, e Polluce, che la sinistra rappresenti
[R: nella Commedia] un Tempio diruto, o un luogo eremo, e nella Tragedia
finanche un Carcere. Un altro argomento per la necessità del tetto ne’ Teatri
antichi si trae dal bisogno di raccogliere, e di restringere la voce, come
quella che, spandisi, dal centro di una sfera alla circonferenza. Ella è vera
la massima generale, ma [R: vi è ancora da] riflettere che essendo il suono una
percussione d’aria, questa [R: principalmente] si comunica direttamente per
quella [R: linea (Sostituisce: «direzione»)], che le imprime il primo motore;
il consenso, ed il contatto la fa comunicare proporzionalmente all’aria vicina.
Una cannonata diversamente è intesa dalla parte ov’è diretto il colpo, che
dalla parte [281r] opposta. [R: Ben piccola parte [R: dunque] della voce potea
ritenersi col tetto del pulpito, quando per altre ragioni ve lo avessero gli
antichi fatto. Si vuole [R: inoltre] ricavare da ciò che ne dice Vitruvio, che
nel piccolo Teatro de’ Tralli il pulpito fosse coperto da Apaturio Alabandeo,
ove dice praetera supra eam (Scenam) nihilominus Episcenium, in quo tholi
[R: pronas semifastigia], omnioque tecti varius picturis fuerat ornatus.
Qui anche mi convien pregare di riflettere che Vitruvio in tutto il libro VII
nel cui Capitolo 5, sono le citate parole, non parla [M: di fabbriche, ma] di
colori, e di pitture, ed inveendo contro la cattiva usanza delle mal ideate
pitture di prospettive, riferisce la critica, che n’ebbe per [M: queste]
Apaturio Alabandeo, [M: di cui non dice, che costruisce, ma che fínxisset
Scenam eleganti manu], sicché naturalmente quivi parlasi delle Scene
pittate, e per conseguenza delle [281v] versatili: e qualora si voglia
intendere, che avesse [R: Apaturio] dipinto il fronte della Scena, non si può
all’autorità di Vitruvio ricavare altro [R: se non] che fosse stata mal
dipinta, fingendo cupole, frontispizj], e tetti in un luogo improprio, dopo
aver dipinti altri tetti e cose simili sopra il primo ordine d’Architettura.
Leon Battista Alberti fu certo dotto uomo e perito nell’Architettura, si
moderna, che antica, e lo fece conoscere nel suo aureo trattato di
Architettura, che scrisse però in Latino. Il traduttore Cosimo Bartoli nel
Capitolo 7 lib. VIII disse che la Scena de’Teatri antichi si adornava con due
Colonnati, e due impalcature. Da questo si è voluto [R: finalmente] dedurre,
che non vi essendo chi meglio dell’Alberti [R: fosse ripieno dello spirito di
Vitruvio] debbasi stare al detto dell’Alberti; e più che quivi [R: egli] per le
[282bis/r] due impalcature intenda il tavolato sotto i piedi degli Attori, o
sia il palco, e ‘1 Tavolato sulla testa, o sia il tetto, nuovo argomento per
dimostrare che i Teatri antichi avessero il tetto sul pulpito. Non so se senza
pregiudicare all’Alberti sia necessario accordare, che egli meglio che altri
avesse capito Vitruvio, quando non potette giovargli qualche tradizione, e
dall’altro canto essendo stato de’ primi non potette avere il vantaggio di
profittare di tante fatiche, che altri ha fatte [R: dopo di Lui] sopra lo
stesso Autore, [R: il quale] resta ciò non ostante in molti luoghi oscuro. Ma
come fidarsi su d’una traduzione per tirare una così importante conseguenza?
Per diligenze che io mi abbia fatte, non ho potute mai aver sotto l’occhio
l’originale [282bis/v] latino, ma senza taccia di superbia mi avanzo a
sostenere, che la voce latina tradotta per impalcatura, sia trabeatio: e questa
benché non usata da Vitruvio leggesi frequentemente usata da Filandro [M: nella
digressione al Cap. 2 lib. 3 di Vitruvio], per significare il Cornicione, che i
Francesi con una voce pressocché simile dicono entablement; sicché mi si
permetta di conchiudere, che lo Alberti volle quivi dire, che la Scena antica
aveva co’ due colonnati, due rispettivi cornicioni, e non già il tetto. Da
tutto ciò [M: se non altro] parmi chiaramente vedere, che o la scena degli
antichi non fu coperta, o che non è facilmente determinabile la quistione se lo
fosse o no.
[283r] CAPITOLO II - DEL TEATRO
OLIMPICO
Comunque stasi la cosa egli è certo che Palladio nel disegnare, ed
ergere il Teatro Olimpico, ebbe in mente d’imitare al possibile un Teatro
antico: che, neppure a’ tempi suoi ebbe la sorte di vederne avanzi sensibili in
quella parte che riguarda la Scena, per ricavarne gli opportuni lumi; quindi fu
forzato ricorrere all’unico asilo, ch’era ed è il testo di Vitruvio, e questo,
[R: come si è dettoj alquanto scorretto, e quel che è più senza affatto quelle
figure, che per la facile intelligenza vi aveva [M: l’autore] apposte. Come
pensasse Palladio intorno a’ Teatri antichi, se non si rileva dalle opere sue,
si rileva benissimo dalla traduzione, e commento che di Vitruvio fece Daniele
Barbaro, il quale [283v] espressamente scrisse d’essersi su di ciò con esso
Palladio consigliato. Se poi il Palladio, il Barbaro, e gli alti interpreti di
Vitruvio prima di me abbiano colto al segno, e se la opinione mia in molte cose
diversa da tutti gli altri sia più o meno probabile, non dico già certa, non
tocca a me il giudicarne, può facilmente ogni intendente farne il confronto,
l’esame. Nelle scritture rimessemi, e specialmente nella descrizione del Teatro
fatta dal Sig, Conte Montenari, [M: e nel discorso del Sig. Calderari], non
solo non trovo esaminato, e ricercato il modo che tenne il Palladio nella
distribuzione della pianta, ma anzi espressamente contentandosi di accennare
che fosse stata sul gusto antico, dicono non saperne il modo. La curiosità mi
ha mosso a ricercarlo per sempre più far risaltare il merito, e la esattezza
d’un tanto Architetto, ed alla prima ho ritrovato non essere stato altro, che
quello ricavato da Vitruvio, secondo la [284r] interpretazione del Barbaro,
quanto a dire sua medesima. A sola differenza, che ove gli antichi avendo
spazio bastante fecero le gradazioni circolari, egli con ingegnoso, ed
ammirabile ritrovato le ha fatte elittiche: come tutto si può chiaramente
vedere nell’annessa figura, ove le linee punteggiate mostrano la regola tenuta
per trovare li punti principali, ed ove si vede, come i quattro triangoli
equilateri segnano il fronte della Scena, e le tre porte della medesima, ed
avrebbero segnato ancora le direzioni delle Scalinate, qualora Palladio ve lo
avesse voluto introdurre. [M: Non sarebbe punto difetto da imputarsi al
Palladio, se veramente la base del primo triangolo equilatero cadesse, come si
vede nel mio disegno dietro non avanti il fronte della Scena: e se le due porte
laterali non vengano egualmente divise da’ lati de’ due altri triangoli: ma
dubito] [F: forte, che il disegno dato dal Montenari non sia esattissimo: Non
ne ho veduti neppur altri eccetto quello pubblicato da Giorgio Fossati, e veggo
bene che fra loro non somigliano. Degna cura sarebbe d’una si cospicua
Accademia darne un disegno ed esatto, e ragionato.] Delle bizzarrie, e
particolarità veggonsene praticate anche dagli antichi, e [R: rispetto a’
Teatri] ne abbiamo un esempio in quello della Villa Adriana presso Tivoli, ove
[R: solo] scorgesi un Tempietto nel mezzo della gradazione, ed altri simili:
onde non solo non è da riprendersi il Palladio, [M: ma da lodarsi], se nel Teatro
[284v] sono Olimpico non avesse con scrupolosa esattezza eseguito quanto ci
lasciò prescritto, ma per regole generali, Vitruvio, il quale per altro lasciò
[R: anche] bastante libertà a’ vivi talenti degli Artefici per variare dalle
medesime quello, in che si opponessero le circostanze de’ luoghi, o de’ tempi.
In due parti solo trovo non eseguita la mente degli antichi, e non credo già
per bizzarria, o nobile capriccio, [M: o strettezza di sito]; ma perché
credette forse che così gli antichi praticato avessero. Una si è nella
situazione delle scene variabili, l’altra nella copertura del pulpito, la quale
è quella che ha data occasione alle pendenti gare letterarie. Dirò qualche cosa
prima delle Scene variabili, per quindi senza ulteriormente divagarmi, venire
al punto della quistione che preme. Per somma venerazione che io mi abbia al
Palladio non ho [285r] finora, ne pure nelle recenti scritture rimessemi
trovato ragioni per rimovermi dal già adottato sentimento circa il sito delle
Scene, che pubblicai, e nella traduzione, e nelle note del Cap. 7 del lib. V di
Vitruvio. [M: Credette cogli altri sicuramente Palladio, che le Scene mutabili
andassero dietro le Porte, avendo però presente il destino del Teatro Olimpico,
ve lo fece, come si veggono, stabili e Tragiche.] Ma non perché le Scene si
fatte dal Palladio [ R: sono dissimili a mio credere] alle antiche, non è [M:
ch’io pretendo che non abbiano] il loro gran merito, e per la nobile novità, e
per le belle forme, e per la giusta prospettiva [M: Ma anzi sicuro che] saranno
sempre [R: più] venerate, perché originali, e [R: belli] originali d’un troppo
grande uomo.
Or il Palladio nel Teatro Olimpico, certo si è che dipartì anche dalla
idea del Teatro antico in quanto al figurare una Sala nel pulpito, sia ciò
perché così credesse che avessero fatto gli antichi, sia perché, e con
tropp’onesta licenza, prevedesse dovere in tale forma essere di maggiore uso
per le opere che si meditavano [285v] di rappresentarvici. Quando non altro
mostra ad evidenza, che sala abbia esso inteso di fare, il vedere la Scena
tutta chiusa d’un Recinto seguito di mura, senza altra apertura che di piccole
porte. Quando gli antichi oltra le tre porte del Palazzo di fronte, vi ebbero
due [M: aperture, che non erano porte, ma] strade a cantoni, itinera
versurarum, disse Vitruvio, non valvas. Il vedere le statue sul secondo
ordine [R: della Scena] non far figura d’acroterj, come la fanno quelle sulla
balaustra della gradazione, ma essere spalleggiate da un terzo ordine Attico,
[M: la quale terminando tutta orizontalmente mostra a sufficienza di voler
essere un appoggio d’una copertura.] E benché potrebbe d’improprietà tacciarsi,
il vedere che in questa Sala [R: per] le cinque porte mettano capo, non
altrimenti che in una piazza, cinque strade; pure in considerando che questa
sala possa essere una basilica, un portico, un ridotto, si troverà essere di
poco momento la licenza, che l’Architetto [286r] in ciò fare, [M: dispartendosi
dall’antico,] si avesse presa. Come sala, o come basilica vi vuole senza dubbio
il tetto. E benché non sono debboli i raziocinj dei Conte Calderari per
dimostrare, che la copertura che si vede, e si è veduta sul pulpito del Teatro
Olimpico, non sia già stata idea del Palladio, pure voglio più volentieri
abbracciare la opinione comune, che la sua, o che la sarebbe effettivamente
stata, [M: se la morte non lo avesse immaturamente rapito]. Per difendere la
nuova per altro nobile pensata del Palladio in situare dietro le porte le
Scene, è paruto ad alcuno cadere in accioncio le parole di Polluce lib. IV Cap.
13, come se significassero, che la porta di mezzo sia o una Reggia, o una
Spelonca, o una Casa Gloriosa, interpretando, che ciò significhi, che nella
porta di mezzo vi erano tutte le scene, la tragica nella Reggia, la Satirica
nella Spelonca [285v] e la Comica nella Casa gloriosa, così leggesi in Polluce
secondo l’interpretazione del Gualtieri Trium vero circa scenam januarum,
media quidem aut Regia, (aut) Caverna aut domus inclita, vel primum actum
absolvens dicitur etc. L’interpretazione sarebbe bella quando fossimo
sicuri d’aver così veramente scritto Polluce, ma mi si permetta di avanzare,
senza taccia di ardito la proposizione, che la voce Greca Spelonca[12],
che vuol dire Caverna, o sia Spelonca, sia per colpa di Amanuensi o corrotta, o
trasportatavi altronde, ed in conseguenza che la Reggia, e la Casa gloriosa
sieno due sinonimi per significare d’accordo il carattere magnifico che deve
avere la porta di mezzo [M: non le varie Scene, che vi si vorrebbero adattare].
Infatti a ben riflettere se nella porta di mezzo [R: avesse voluto] Polluce
situare tutte le tre Scene Tragica, Comica e Satirica, [287r] converrebbe
pensare lo stesso anche delle due porte laterali, quando che lo stesso Polluce
immediatamente dopo dice espressamente, che la porta sinistra ha un aspetto
ignobile o figura un Tempio desolato, o un lungo deserto. Questo sia detto
specialmente per evacuare quella autorità che vuol ricavarsi da questo passo di
Polluce, per sostenere una idea che per altro non accorda punto, né con la vera
forma della Scena antica, ne col detto, non che di Vitruvio, ma di Polluce
medesimo. Per[13]
amore della verità, non che voglia riprendere l’idea avuta dal Palladio di far
terminare la gradazione come un poggiuolo alto ben piedi... dall’Orchestra,
voglio metter [287v] sotto la considerazione, che se bene questo poggiuolo
fosse necessario nell’Anfiteatri, ne’ quali si facevano fino degli steccati di
pali, tutto per impedirsi che le fiere ch’erano sull’arena non saltassero ad
offendere gli Spettatori, pure non lo veggiamo praticato ne’ Teatri, perché non
v’era questo pericolo, e quivi il poggiuolo, seppur tale voglia chiamarsi, non
era che un grado [R: o sedile] simile ed uguale agli altri tutti del recinto,
ciò anche per fare, che le piccole scalinate fra i cunei potessero stendersi
fino all’Orchestra, e così dare agli Spettatori il comodo di uscire dal Teatro,
non solo per gli vomitorj superiori, ma anche per quelli, che erano al piano
della Orchestra. Ed un poggiuolo anche così piccolo era sufficiente per dare
agli Spettatori libera la veduta della scena, o del pulpito per sopra le teste
de’ [288r] Senatori, ed altri che sedevano nella Orchestra. Il Palladio in un
Teatro piccolo ebbe bisogno d’ingrandire l’Orchestra, e perciò saviamente recise
i primi gradi con quell’alto poggiuolo, dando peraltro bastante sfogo
all’ingresso, ed uscita degli Spettatori per sopra il Porticato Superiore.
Non bisogna confondere il Podium della Orchestra, col Podium della
Scena. Questo da quanto ho detto nelle mie note al Cap. 7 del lib. V di
Vitruvio, parmi che chiaramente conoscasi non essere altro che ‘1 piedistallo
del primo ordine di essa Scena, e credasi pure un equivoco del Montenari il
prendere il Podium di cui parla Vitruvio per quell’ordine Attico che il
Palladio volle mettere sopra i due ordini della Scena. Questo attico
corrisponde benissimo al terzo ordine, che alle volte costumavasi, e Vitruvio
lo chiama tertia episcenos.
[288v] CAPITOLO III - DELLA COPERTURA DEL PULPITO
E COME QUESTA ABBIA AD
ESSERE
Eccomi ora alla questione, cioè, se dovendosi rifare il presente
coperto del pulpito, s’abbia da prender norma dall’antico, o dall’idea avuta
dal Palladio. Su di che permettamisi di ricordare, che per l’anzidetto, nel
dubbio se il pulpito antico fosse coperto o no, ha, a mio credere, molto
maggior partito il no: e nel dubbio se il Palladio avesse voluto coprirlo o no,
ha il maggior partito il si. Ma intanto non v’è dubbio, che il pulpito del
Teatro Olimpico rappresenta una Sala, e che siccome negli altri Teatri le
abitazioni coperte si figurano dietro la Scena, in questo è chiaro, che dietro
la [289r] Scena sono le strade pubbliche scoperte. Or se il regolatore si è di
vedere le Sale, e le basiliche coperte, voglio sperare, che in questo stato di
cose, non possa più dubitarsi, se sul pulpito del Teatro Olimpico, s’abbia a
fare un tetto, non che effettivo, ma anche apparente. Le idee, e le invenzioni
del Palladio, fatte sicuramente con regola dell’Arte, se non con quelle poche
dateci da Vitruvio più per esempio che per limitazioni, non meritano minore
stima delle più belle cose della Remota Antichità. Gl’intendenti, ed applicati
all’Architettura studiano oggi sulle fabriche del Palladio, quanto sul Panteon,
e sull’Anfiteatro Flavio, siccome gl’intendenti di scultura studiano egualmente
sulle Statue Greche e Romane antiche, che sulle belle di Michelangelo, [289c]
di Giambologna, ed altri, quantunque di maniere diverse: così nell’Architettura
vuolsi studiare le belle, e diverse maniere de’ Palladj, degli Scamozzi, e
de’Barocci. Ma in queste ricerche brama ognuno ed è di dovere accertarlo, di
essere le opere, sulle quali applica le sue riflessioni veramente di quei
tempi, e di quelli autori, de’quali portano il nome. In questa idea, la quale
spero, che non mi si contrasterà, mi avanzo a supplicare i degnissimi Sig.ri
Accademici a trasandare la ricerca del come avessero fatto gli antichi in
simili casi, ed accertarsi soltanto del come avrebbe fatto il Palladio, se
avesse sopravissuto fino a vedere coperta questa bella opera, o sia, ch’è lo
stesso, come lasciò egli ordinato, e disegnato, che si facesse: e fare
puntualmente eseguire [290r] la qualunque idea, che si accerteranno essere
stata quella del Palladio. Lo insieme, o la composizione di un pezzo
d’Architettura, vale quanto un insieme, ossia una composizione di pittura; e
siccome quando manca fosse una pittura, darà sempre all’occhio, e si conoscerà
come una dissonanza il qualunque supplemento fatto di aliena mano, e di diversa
maniera, così nell’Architettura non potrà non fare dissonanza il supplemento,
che non sia secondo la vera mente del principale autore dell’opera. Per quanto
scorgesi dalle pubblicate scritture, non pare ancor chiaro, quale sia stata la
vera mente del Palladio circa il controvertito tetto, o sia copertura. Egli
morì il 1580; nel 1585 vi si rappresentò l’Edipo, ed intanto il Marzari
scrivendo nel 1591 parla di questa copertura, [290v] come d’una cosa ancora non
eseguita. Ad ogni modo il tenersi all’ antico disegno [R: pubblicato dal
Revesi] nel 1620, non sarà che una cosa la più sicura: questo disegno
corrisponde alla descrizione fattane dal Marzari. Questi parlando d’un teatro
disegnato dal Palladio, non fa menzione in occasione della copertura di disegno
[R: per essa fatto da] altri, e nessuno allora si lamentò, che non vi fosse
eseguita la mente del Palladio, non potendosi contrastare, che fu quel soffitto
eseguito pochi anni dopo la di lui morte, non si negherà neppure, che fosse
stato fatto da di lui figlio eletto direttore dell’incominciata opera, o da
altro scolare, che ne avea già presa la maniera, e potea meglio che altri
approssimarsi almeno al [291r] gusto del suo immortale maestro. E finalmente
quando tutto manchi, sempre converrebbe rifare, se non di fragile stucco,
almeno di duro legno quella tal copertura, che si ha memoria di esservi stata
posta in que’ tempi, perché avrà sempre un’idea d’antico, di venerando, [R: di
concorde,] e di coevo alla fabbrica di si fatto Teatro. Questo è quanto, come
prevenni, ho potuto debolmente pensare privo di sufficienti lumi, lontano
dall’oggetto quistionato, e distratto da altre obbligate occupazioni. In altre
fatiche, che ho per le mani, spero con più chiarezza, distinzione, e precisione
far meglio acquistare sempre più chiara idea del Teatro antico[14].
E cercando scusa di qualche trascorsa oscurità, o troppo premura nel sostenere
le proposizioni avanzate: attendo colla maggiore, e dovuta [291v] rassegnazione
superiori lumi; sicuro che questo mio discorso non possa, e non debba rimuovere
gli animi degli illuminati Sig.ri Accademici da quella determinazione, che dopo
un si ricercato esame, mossi da più convincenti ragioni saranno per prendere,
non istimando in ogni caso, piccola la mia gloria [R: per la] qualunque parte
avuta di concorrere, benché non abbia l’onore di essere Accademico, al buon
effetto di un opera degna della cura di una si nobile Accademia[15]
PARERE DEL MARCHESE
GALIANI SUI DANNI
DELLA TRINITÀ MAGGIORE E SU I RIPARI E RIFAZIONI[16]
[96r] - PARERE²[17]
Fin da principio che osservai la
fabbrica e le lesioni della Chiesa della Trinità Maggiore cominciai ad entrare
nel dubbio di quelle basi sulle quali s’era fondata tutta l’idea di tante
riparazioni e fondato il pubblico timore di non lontano pericolo. Ma come io
nella destinata giunta non avea maggiore parte di quella che n’avea ciascun
altro, vidi bene, che dovea come seguì, prevalere il numero. Ciò mi ridusse ad
abbracciare il prudente partito d’uniformarmi al maggior numero. Questo partito
però ha avuto luogo solo ove s’è proposto o interino riparo, o cautela
maggiore. Nelle puntellature; ed io l’ho lasciate aver luogo fino a che m’è
paruto che si tendeva alla miglior conservazione [96v] dell’edificio. Ma
quando nell’ultima sessione intesi la scandalosa risoluzione di gettare a terra
la cupola, e radere poi anche da terra la Chiesa, m’è paruto aggravar troppo la
mia coscienza se anche in questo irreparabile passo mi fossi ciecamente
uniformato a tale vergognoso sentimento. Quindi ho fatto risuscitare una scrittura
da me stesa fin da principio, e per politica tenuta gran tempo sepolta; v’ho
aggiunto quello che v’era di nuovo, ed è quella che ho l’amor di presentare a
V.S. Ill.ma. Per la savia risoluzione presasi di pubblicare per le stampe
quanto si è detto o fatto in questa pendenza: ho trovato bene esporre
brevemente lo stato dell’Edificio, e i progettati e tentati ripari prima
d’esporre il mio sentimento [M: mi mancano molte notizie perché fosse stata
esatta e compita la storia]. lo non ho tanta superbia per lusingarmi di
vederlo approvato ed eseguito, ma son sicuro, che pubblicandosi questo [97r] si
vedranno non più con autorità dettati ma con sode ragioni sostenuti i diversi
sentimenti e progetti altrui. Mi sono ingegnato ad essere al possibile chiaro: ma
pel corto mio talento l’ho trovato non che difficile, ma impossibile senza le
opportune figure. Io scrivendo ho avuto presenti i disegni che ho, ma non gli
può avere chi legge, senza che si diano anche questi per le stampe. Bramo
intanto o che sia applaudito questo mio parere, o che ne sorga altro più
semplice non per altro che per due motivi. Il primo che non si faceria tanto
strazio d’un nobilissimo tempio: il secondo che non si getta [R: inutilmente]
tanto denaro già dalla Sovrana Pietà destinato all’educazione e sollievo de’
poveri vassalli[18]. La
prego intanto a dare una benigna e seria occhiata a questa mia scrittura, e
quando non la trovi affatto indegna di comparire al pubblico, le dia pure il
corso che conviene: ch’io sempre più grato mi professerò
dell’Ill.mo a 2 Sett 1773
[97v è bianca]
[123r] I
- STORIA DEL TEMPIO DEL GESÙ NUOVO
OGGI TRINITÀ
MAGGIORE
Le notizie che si sono oggi potute avere quanto alla storia sia della
fondazione, sia degli accidenti susseguiti sono queste.Il Prè Provedo[19]
ideò la pianta, nel suolo ch’era del Palazzo o Castello de’Sanseverini, e ne
gettarono le prime fondamenta nel 1584, e fu terminata la chiesa nel 1600. Il
disegno fu d’un uomo, che se non era della Professione, bisogna che
n’intendesse le teorie forse meglio d’alcun altro. L’antico palazzo
de’Sanseverini, le cui mura esteriori anche oggigiorno veggonsi e dal fronte e
da’lati della chiesa, ne circoscrisse il perimetro. Industriosamente si vede
formata la pianta a Croce Greca, con ottime proporzioni; la Croce sola senza li
sfondati delle Cappelle è di pal[20].
L’altezza fino alla palla della Cupola pal. 250 incirca.
La cupola era doppia.
[99v] Il memorando
terremoto de’ 5 Giugno 1688 scosse tanto questa chiesa, che fece ruinare la
Cupola sul lato sinistro, onde ne cadde e la sottoposta volta sul Cappellone di
S. Ignazio, e la vicina cupoletta avanti la cappella della visitazione[21]
[R: e ne patì per consenso tutta la chiesa]. È mirabile, come non cadesse tutto
il tamburo. Lo fan chiaro alcune poche pitture in esso rimase dal Lanfranco,
che aveva dipinta tutta la Cupola. Fu [R: bensì] tutto rifatto fra sei mesi e
diciotto giorni[22],
sebene la Cupola semplice non più doppia, ed è fama che avesse avuto le mani il
celebre prè Pozzi[23],
che allora fioriva. [100r] Bisogna che il Pilone a sinistra sopra cui cadde la
cuppola, giacché ruinò e la volta, e le cupolette adiacenti, avesse
particolarmente potuto anch’esso: ma sia che allora non ne avessero fatto caso:
sia che la premura di riaprire il concorso nella Chiesa, avesse prevaluto ad
ogni altra considerazione, [M: sia finalmente che allora no era sensibile
troppo la lesione si] vede chiaro, che riedificarono il tamburo sul modello
della piccola porzione rimasta[24].
[M: Non saprei giudicare, se fu allora, o dopo, che si pensò solo a]
rammarginare con calce e mattoni la lesione fatta [R: patente] sulla linea del
pilone.
Nel Febbraio del 1767 si sa che gli Espulsi cominciarono a far caso di
tale lesione, e i savj periti chiamativi non esitarono a consultare un pronto
riparo: [M: e intanto vi conficcarono due codi di rondini di Marmo, per farsi
certi di altri nuovi movimenti]. Ma come cominciarono subito ad essere [R: i
R.R. Padri] occupati di più gravi pensieri[25],
non posero mano ad alcuna riparazione. [123v] I nuovi abitatori del convento[26]
videro anch’essi con timore la lesione, e implorarono opportuno riparo. La
sovrana provvidenza non ricusò di darlo, e non contenta d’averna addossato il
principalo carico al troppo noto Architetto Cav.er Fuga, volle che fosse
assistito da una Giunta d’Architetti e Periti. Or per intendere ciò che si dice
o si scrive intorno alle riparazioni conviene restar inteso della forma, parti
e strutture di questo Tempio.
[120v] II -
PROPORZIONI DELLA CHIESA
Non senza ragione dal pubblico si ammira questo Tempio, come uno de’più
belli, sebbene non si sappiano le ragioni: come non laserà di piacere una
musica, sebene se n’ignori l’artificio. [M: Esso è però stato Architettato con
somma intelligenza delle belle proporzioni: infatti la pianta in grosso presa è
un quadrato, o vogliam dire a Croce Greca.] Li pilastri sono senza gli aggetti
P. 15¾, le navate piccole il doppio 31½, le navate grandi il dop. 63. L’altezza
della volta era nel disegno il doppio 126, ma nell’esecuzione si fece di p.
113. La cuppola col tamburo 126. Queste sono le principali proporzioni quando
non si voglia aver conto di quel poco che non si trova con esattezza sia per
difetto de’Maestri, si per malizia e finezza dell’Architettura: sia finalmente
perché i disegni da me presi non siano esattissimi. [103r] 1. Non potrà
negarsi, che l’Architetto, non so per quale ragione non mostrò eguale talento
nel volere colla fabbrica nuova servire all’antica del palazzo de’Sanseverini.
il muro della facciata non è proprio per chiesa, se lo era per un palazzo di
que’tempi. Non è neppure d’una larghezza sufficiente: Ma con prudenza
Architettonica negli ultimi archi [M: e restrinse a ovata le prime cupole delle
navate piccole, per far più grossi in quelle parti il muro della Facciata, e]
nobilmente ideò certi sottarchi, per rendere più valida la resistenza di queste
ultime forze d’urto, che potessero mai fare gli archi interiori. Non vi sarà
chi vedendo la pianta e intendendo un tantino l’Architettura, non vegga essere
questi sottarchi [M: e queste grossezze di muri] ideate nella prima pianta[27]
[103v] La prima idea per l’altezza fu senza dubbio di far la navata il doppio
della larghezza: lo mostrano chiaro quattro arconi di mattoni, sui quali
immediatamente posa la cupola [M: i quali sono alti dal pavimento p. 126 il
doppio de’ p. 63, quanta è la corda dell’arco della volta, e questi arconi ora
fanno parte delle mura del basamento del tamburo.] Ma poi con pentimento si
fece 14 palmi più bassa la volta, e per conseguenza più bassi gli altri arconi
patenti, sebene questi di tufo[28].
Che sia nato così: eccone le ragioni: La bella proporzione del doppio in tutto
il resto conservata, dovea trovarsi nella parte più visibile che è la navata
grande. L’essere gli arconi, ora ascosi, di matoni, e [R: al contrario] i
patenti di tufo, mostra essere quelli non questi destinati pel sostegno della
cupola. Né possono quelli considerarsi come [R: sopr]archi di rinforzo, perché
avrebbero dovuto essere concentrici [M: e l’uno, per così dire, accavallati
l’un sopra l’altro]. Finalmente si vede, che la porzione Lunare, ch’è fra i due
arconi è di fabbrica non [R: arcuata] circolare [M: com’è parsa ad alcuni],
essa orizzontale e di cattiva qualità, che mostra non [R: aver servito, né]
dover servire ad altro [104r] che a semplicemente otturare que’vuoti, ed è un
inganno d’alcuno [M: e sarebbe stranezza in Architettura il credere gli arconi
inferiori essere fatti di pal 5 da piedi, e di 13 alla cima. Son di 5 anche
alla cima, gli otto palmi sono di fabbrica intermedia fra i due arconi.] [M: 2.
Pretendono alcuni notare per difetto la picciolezza de’ piloni di pal. 15½ in
quadro[29]
sotto un’altezza di p. 250[30].
Se questi vedessero ed esaminassero le fabbriche Gotiche, le troverebbero
sanissime con gambe e sostegni in proporzione assai sottili. Ma credono forse
questi che la cupola non ha altra base, che i quattro piloni? Non veggono che
tutta la chiesa fa uno zoccolo per la cupola? E qui questo zoccolo non è meno
di p. 200; p. 250[31]?]
[99r] È poi la chiesa circondata da fabbriche da tre lati, mentre il convento
la circonda, a formare due braccia sulla piazza, uno a destra, l’altro a
sinistra: la fabbrica maggiore per altro è alla destra, la minore a sinistra.
[M: i nomi delle Cappelle.] [98v] [3.?] Per le pruove fatte da tutta la giunta
sono sode le fondamenta, perché trovate sane e posate sul monte. La Fabbrica
[R: inferiore] è della pietra ordinaria del paese, che dicesi tufo, ma della
buona qualità: Ma resta in buona parte ricoperta da Marmi di sensibile
grossezza, fino al collarino de’capitelli. Gli aggetti superiori sono di
Piperno. [99r] La facciata è tutta di Piperni a punta di diamante, e mostra
tuttavia le strutture dell’antico Palazzo, e per non dir Castello de’
Sanseverini. [M: Ha la cupola o sia il Tamburo 16 contrafforti: di men che
mediocre fabbrica di Tufò: Gli angoli di matone i zoccoli di piperno piuttosto
dolce.] [104r] [4.?] Altro difetto fu di lasciare la cupola per troppo alto
tratto senza una base più spaziosa, dal battuto delle navate piccole fino al
fianco ove posano i contrafforti non v’ha meno di p. 65. Il muro delle navate
grandi resta dallo stesso battuto alto p. 40. 5. Quello che non può perdonarsi
all’Architetto, quando così fosse stato il suo disegno, e non fosse derivata o
da fretta, o da mancanza di denari, è la struttura del tetto [R: sulle navate
grandi]. Questo come si è notato non è formato che da due puntoni [R: che
urtano sui muri laterali, e solo] son sostenuti da pilastrini posati sui terzi
delle volte. Questo si fatto tetto co’travi [R: cavalli] urta i muri laterali,
co’ pilastrini schiania (vale a dire: «spiana, riduce la curvatura») la volta
circolare, la quale così tendendo a divenire Ellittica, urta anch’essa i muri
laterali.
[104v] III – LESIONI
[M: Le lesioni
osservate e riscontrate dalla Giunta sono le seguenti.]
1 . Le gravissime son quelle del pilone di S.Luca: donde comincino non
si vede, perché si è temuto di togliere l’incrostatura di marmi, su della quale
ora punta tutto il Castello di legni preparato per impedire ulteriori danni, e
per ergere gl’ideati sottarchi: ma può fondatamente giudicarsi che comincino da
sopra le imposte degli archi piccioli [M: una verso la navata dritta, una verso
la laterale]. Essa è nel mezzo del pilone, fra i due contropilastri sorge,
fende il Cornicione sempre a piombo: di là circolarmente va a terminare al
principio dell’angolo di S.Luca, ove si uniscono, e la massima larghezza è onc.
3 [M: la lunghezza di circa p. 18 e laterali a questa ven’ha delle altre
piccole.]
2 . Corrispondenti a
queste sono le lesioni de’piccoli archi adjacenti. Quivi se ne veggono e
trasversali che fendono la [105r] chiave degli archi, e dritti che fendono gli
archi a linea delle lesioni che si veggono ne’piloni.
3 Nelle finestre
laterali al Pilone si vedono altre lesioni: quelle della navata grande sono inclinate
verso il pilone: quelle del Cappellone di S.Ignazio mostrano il muro crepato.
4.Questo anche
strapiomba all’infuori [M: da onc. 4 inc. nell’altezza di pal. 40J
5.La cupola adjacente
avanti la cappella della visitazione mostra lesioni verticali nell’angolo e
nella finestra che sono prossimi al pilone patito: e la simili nell’angolo.
6.Quella porzione del
pilone che trovasi isolato da sopra il battuto della navata piccola per pal 65
[?] d’altezza e, di larghezza pal.8.
Resto de’ pal 15 che
sta incassato fra le mura della Chiesa si vede con lesione staccata da’ muri e
con sensibili lesioni al piede poco sopra il battuto: questo [M: ha fatto
opinare ad alcuni che questo quarto del pilone sia una giunta posteriore alla
fabbrica generale. Se così fosse, avrebbe gravemente peccato l’Architettura del
disegno].
7 Le altre simili
porzioni de’ tre altri piloni non sono immuni da lesioni.
[105v]
8. Ne mezzi de’ quattro arconi si veggono de’ peli, che si veggono in tutte la
chiese.
9.Gli arconi ascosi di
mattoni sono sanissimi, sebene in quello che è verso la porta grande vi sia
qualche piccolo distaccamento.
10.La fabbrica
intermedia lunare fra i due arconi uno di tufo l’altro di Matoni generalmente
si vede abbassata e distaccata da quello di matoni.
11.Nel Tamburo la
lesione sensibile al di dentro è quella sul mezzo dell’arcone verso la porta:
tale lesione fende a piombo la gran finestra, e’l finestrino, e giunge fino
alla volta. Dirimpetto si travedono delle piccole simili lesioni.
12 Al di fuori oltre
le corrispondenti alle descritte si veggono i contrafforti patiti non nel masso
interiore, ma ne’ piedi [106r] e specialmente quelli, che sono i più vicini al
pilone patito.
13.Per la chiesa tutta
si vedevano[32] de’ peli, de’quali
non si sarebbe fatto caso, se gli animi non fossero accesi dalla sparsa fama,
d’essere in pericolo la cupola.
14.Deve finalmente
riflettersi, che dopo posta mano alla puntellatura sono scoppiate molte altre
lesioni nuove, e sono si ingrandite [R: alcune][33] vecchie. Il rumore
cresciuto d’imminenti pericoli è per essere scoppiate lesioni nuove, non per
essersi fermate o rammarginate le vecchie. [segue mezza pagina bianca, ndt].
[123v] IV - SENTIMENTI E PROGETTI PER LA
RIPARAZIONE
Il primo ad essere consultato fu per ogni dovere il Cav.e Fuga. Questi
credette di vedere tutta la chiesa cadente pel grave peso della Cuppola non più
posata in equilibrio, onde fu di sentimento [122r][34][prima
parola illegibile, ndt] attorno a tutti i pilastri, delle giunte o sien
contropilastri, e girarvi sopra gli archi. Vaga voce sparsa d’esser questa
troppo ingente spesa, e troppo sproporzionato il riparo a una lesione d’un solo
cantone del pilastro, che potea solo ristorarsi[35],
indusse il Sovrano a formare una Giunta per meglio esaminare la faccenda.
Questa giunta esaminate minutamente le sopranotate lesioni e veduto che le code
di rondine di marmo postevi nel 1767 già erano slocate, e crepate, giudicò
capriccioso e inconsistente le opinioni d’alcuni di non essere che solite
crepature d’intonaco: e facendo il dovuto caso alle lesioni venne ad
uniformarsi al progetto del Fuga de’contropilastri e sottarchi ove per
necessità, ove per cautela ed ove per Euritmia. [101r] Mentre si lavorava per
la puntellatura comparvero nuove e sensibili lesioni. il muro fra il pilone
patito e la finestra sulla navata laterale [R: di S.Ignazio] s’infranse in
modo, che dava gran timore d’imminente irreparabile ruina, e come si credette
dipendere tutto dallo strapiombo della Cupola su quel lato: si propose dalla
Giunta [M: coll’intervento straordinario di L.Vanvitelli] darvisi pronto
riparo, [M: qualunque ne fosse la cagione], intanto che si sarebbe poi
esaminata, se dovesse o nò [101v] smantellarsi la Cupola. Il riparo si è
umanamente dato. Ora dunque resta da risolvere se dovesse o nò smantellarsi.
Nell’ultimo congresso tenuto per questo punto [M: il di 5 Mag 1773] si volle
ostinatamente creder la Cuppola cadente: onde dalla maggiore parte si conchiuse
doversi [M: questa] smantellare. Rimaneva dunque a vedersi come si dovesse
ristorare la Chiesa. Le circostanze erano cambiate dal primo stato, [M:
giacché] il grande peso della Cupola si andava a togliere, e pure si volle
ostinatamente sostenere il primo progetto de’soprapilastri, e sottarchi, e per
sostenerlo si pretese, che tutta la Chiesa fosse fracida: In questa
supposizione non vi volle molto per cadere nella finale determinazione di
smantellare piuttosto anche tutta la Chiesa: [M: Questo scandaloso sentimento
siccome ha dato ad ognuno lo stimolo di meglio ruminare sul tavolino, essendo]
[102r] [M: e per appuntam.to e per coscienza libero di dire il suo sentimento.
Così io pure per mio discarico, ardisco proporre ciò ch’io ne penso: niente
ostinato nella mia opinione, anzitutto pronto a sottomettermi non già a voci
vaghe e generali, ma a ragioni particolari, che mi persuadano il contrario.]
[l06v] [36]Non
può da chicchessia dubitarsi, che una Chiesa già fondata colle belle
soprannotate e con altre proporzioni, non perda di venustà, quando vi si faccia
cosa che sensibilmente la alteri. Tutto il mondo deplora la Giunta fatta dal
Maderni al superbo disegno dato dal divino Buonarroti per la Basilica di S.
Pietro: e pure è rimasta intatta la parte disegnata dal Buonarroti. Che si deve
dire, quando con de’sottarchi si alterano le proporzioni de’vani, e si occupa
quelle parti, che quando no’altro siano avvezzi a vederle nell’entrar nella
Chiesa? I soprapilastri non possono impedire la vista de’laterali dall’altar
Maggiore: ma questo pure si condoni. Tutti trovano in questa [107r] chiesa il
deplorabile difetto d’essere sensibilmente oscura: e pure oggi gli archi grandi
sono larghi p. 62, i piccoli 31, e allora sarebbero quelli 50, questi 25, vale
a dire mancherebbe non meno d’un quinto il poco lume che ora vi è. Questo
inconveniente dunque allora solo si potrebbe sopportare, quando per tutto il
resto si facesse guadagno. Veniamo all’esame. Per ergere questi soprapilastri
conviene cavarne le fondamenta; queste non sono meno profonde di pal. 80 inc.
a. Ecco il pilone, ecco [M: gli altri] pilastri isolati per 80 palmi di più: e
se si teme de’piloni troppo piccoli per reggere un altezza di 300 pal. Fuori
terra: che si penserà, quando l’altezza diventa di 380 e quasi 400? Una trave
grossa, si piega, quando sia lunga 40 palmi [R: man no’] si piegerà più se
[l07v] [M: si tronchi] a p. 30. Ma questi piloni restano tutti puntellati? Si,
ma non so se i puntelli equivalgono alla forza del terren battuto che attacca e
ferma ogni menoma parte. Sia senza [R: questo] timore l’operazione sarebbe
imprudenza il fare l’aggiunta della nuova fabbrica senza ben collegarla colla
vecchia. Questa giunta collegata non può farsi senza intaccare frequentemente
la vecchia, e farsi delle prese: Queste prese non si cavano con prese, ma a forti
colpi di sciamarri. Chi [R: non vede] che questa operazione non solo
ingrandisce le già fatte lesioni, ma anzi ne facerà delle nuove? 3º Tutto
questo si fa [M: e per infasciare o piloni e,] per fare i sottarchi, i quali
incasserebbero sotto gli archi patenti delle [108r]. Ma non si è veduto (parlo
degli arconi) che questi non sono quelli che reggono la Cupola, [R: lo sono] si
bene quelli di Mattoni. Da questi sono distaccati già gli apparenti. Dunque
potrebbero benissimo cedere, far cadere la Cuppola, e resterebbero belli e sani
i nuovi sottarchi. [M: Se poi i sottarchi non si fanno per venustà, o sia per
dir meglio per termini e puntelli de’contropilastri che si vogliono fare per
ingrandire i pilastri e rattenere quell’uso ch’è schiantato, bisognosi riflettere
che con] queste nuove giunte di fabbrica non si toglie il già lesionato, il
fracido, il minacciante: sicché resterebbe [R: sempre] l’occulto nemico colla
già conceputa forza a minare internamente contra l’esterior riparo, che si è
fatto nimico niente più potrà nuocere, [M: chi sel credej ne goda. Se poi
finalmente si vuole [M: nell’atto di crescere i nuovi soprapilastri,] togliere
il già lesionato, staccato e cadente: domando come si può fare senza imminente
[108v] pericolo. Se mi si risponde, che non vi è paura, quando si trova tutto
il pilone già rinforzato nella parte sottoposta dalla già aggiunta nuova
fabbrica, io rispondo perché [R: dunque] non rifare solo il Lesionato,
equivalendo alla forza della nuova fabbrica la ben congegnate sovrabbondanti
puntellature di Legnami, e potendosi anche ove occorra farvi maggiori cautele.
Il Cav. Fuga, nel progetto dato al Sovrano, prudentemente non si estese a
dettagli, come quello che avendo col suo savio e onesto procedere accreditata
la sua perizia e condotta, meritatamente attendea, che si fosse come seguì,
dato a Lui libero il modo d’eseguirlo: ma oggi che i nuovi accidenti han
portata [109r] la cosa a doversi sottoporre al giudizio non che di sette altri
periti, ma del mondo tutto, conviene estendere il progetto con tutte quelle
circostanze che possono variare i pregiudìzi. Un pilone parve bisognoso di
pronto e serio riparo. La Giunta di contropilastri non può farsi a questo solo
senza offendere tutte le regole dell’Euritmia. Questo porta di fare lo stesso
a’ 3 altri piloni, ed ecco quadrupla per questo capo la spesa. La stessa
Euritmia porta, che si facciano le giunte e i sottarchi a tutti gli altri archi
piccoli [R: adjacenti], che sono nientemeno che 8[37]
e volendo uguagliare la spesa d’uno de’sottarchi grandi a 4 de’piccoli: ecco la
spesa ascesa [109v] sestupla[38]
di quello che il preciso bisogno par che richieggia, e non si farebbe, che per
la sola Euritmia. Mi si può dire, che no’ è tutta Euritmia quella che fa dare
così ingente spesa: ma il bisogno che ha tutta la chiesa di rinforzo: Per non
inoltrarmi più nella critica de li proggettati sottarchi, e per meglio
spiegarmi passo a riflettere sulle cagioni delle lesioni.
[110r] V -
RIFLESSIONI SULLE CAGIONI DELLE LESIONI
Si resti alla prima fermo in ciò che costantemente si è osservato
d’essersi trovato sodo [R: e inconcusso] in questa fabbrica, [M: o Lesionato.][39][M:
La parte più difficile dell’arte medica è senza dubbio la diagnostica, o sia la
conoscenza de’luoghi affetti, e delle vere cause mandanti. Io quanto posso
m’ingegno di cercare le vere cagioni de’patimenti di questa chiesa e per fare
ciò esaminerò tutto il corpo. Tutti i mali in tutti i corpi dirò così sono o
accidentali, o sostanziali; o pure dirò estrinseci o intrinseci. Nelle
fabbriche li accidentali sono i terremoti, le saette, etc., o bombe, cannonate
etc. Le Naturali [R: sostanziali][40]sono
le fondamenta non sode, la qualità cattiva della fabbrica: l’Architettura mai
intesa etc.]. [122v] Dagli effetti si può una cagione distinguere dall’altra: 1.
perché le accidentali come transitorie non portano continuaz.e o’l fatto
sussecutivo, come lo portano le sostanziali[41]:
2. perché quelle non sogliono aver quelle corrispondenze, che hanno le
naturali: [M: Nelle accidentali la diagnostica è facile]. Di questa chiesa non
può dirsi che manchino le fondamenta, non che la fabbrica sia di cattiva
qualità. Dunque [R: si restringono ad essere] per cause accidentali, o per mal
intesa Architettura: o per tutte due. Distinguiamo. La grande lesione del
pilone di S.Luca e le corrispondenti adjacenti sono [R: parola illegibile, ndt]
da causa accidentale, quale fu il terremoto del 1688. [R: Ma penso che] lo
slargamento, la separazione del quarto del pilone esteriore, lo sfacelo del
muro adjacente sono da causa [R: sostanziale] tuttavia permanente e operativa:
e che sia così. [110v] La cuppola caduta siccome ne portò giù e la volta di
S.Ignazio, e’1 cupolino della visitazione, così dovette far crepare il Pilone
di S.Luca, che sensibilmente si vede diviso in quattro [R: per lo mezzo da] due
linee [M: incrociate] parallele alle due facce: e può mettersi a conto [R: che
dovette dare] una generale [M: scossa, e] patimento per tutta la chiesa, che a
forza del concatenamento degli archi e delle volte deve[42]
considerarsi come un corpo solo. [R: Ma gli] Espulsi ha sempre avuta fama di
troppo prudenti ed attenti nè loro affari, [R: onde] non è da credersi, che le
lesioni del pilone fossero allora state sensibili non avrebbero allora, che non
vi era la Cupola, ristorato l’angolo [R: interiore del medesimo] rimaso
schiantato, e rinforzato [R: l’altro angolo ancora al di fuori prima di riegere
[R: e la Cupola, e’l] Cupolino [111r] anche caduto: La spesa allora era poca, e
facile l’operazione: dunque bisogna che fu creduta di poco momento la lesione,
o di nessuna ulterior conseguenza, come fu effetto d’una causa accidentale[43]
straordinaria e transitoria, non già intrinseca e permanente. Oggi queste
lesioni sono cresciute, e sono comparse delle nuove senza sensibile altra causa
esteriore, dunque la causa di queste deve essere [R: tutt’altra, cioè
sostanzialej intrinseca e permanente. Questa è quella che si deve [R: con buona
diagnostica] rinvenirsi per poter dare saggio ed opportuno riparo [M: allo
stato presente e al futuro.] Questa se non mi inganno, è la mal ideata
struttura delle navate grandi dal coperto delle piccole in su. Ecco perché
m’induco a [R: così] credere. [111v][44]Suppongasi
un muro abcd il quale pianti in terra in cd ed abbia da un lato un muro, una
forza puntante fe. Suppongasi questo muro spaccato da h in g. Suppongasi per
terzo una forza x che urta alla cima da x verso b. Veggiamone gli effetti. La
forza x non può smuovere tutto il muro da b in d, perché gli resiste al
contrario la forza maggiore fe. Dunque smuoverà solo la porzione ae: smovendo,
che mutazione farà il muro? Eccola. La porzione hbgm sarà più resistente,
perché tiene alle spalle la porzione eahg. Questa cederà e passerà al sito
e123. Ma l’altra si smoverà con direzione opposta per [112r] la spinta che li
darà [M: o leva che farà] nello smoversi la già notata prima porzione. Passo ad
un altro teorema; o lemma che voglia dirsi. Suppongasi ora un muro quadrato
abcd quadripartito dalle lesioni ef, gh. Suppongasi che due forze lo spingono
verso la cima colle direzioni xx zz. Del resto suppongasi il muro nelle stesse
posizioni dell’anteced. e ben piantato in terra, e puntellato da’due lati v ed
s verso la metà dell’altezza, eccone gli effetti. La forza x smuoverà la
porzione del muro p, e questa la porzione n: nel tempo stesso che la forza zz
spingendo la porzione m forzerà anch’essa la n: queste varie direzioni faranno
muovere la porzione n diagonalmente passandola [112v] in 2356[45].
Ciò premesso [R: mi si] accorderà, senza entrare in lunghe dimostraz.ni
matematiche. Credo essersi spiegati tutti i patimenti della chiesa; basta
surrogare alle forze x e z gli urti che fanno i tetti e le volte delle Navate
grandi verso Muri laterali[46].
È certo che i muri laterali [R: che sono i piedi delle volte], non sono più
larghi di 6 palmi; e s’aggiunga, che poco ve n’è di muro, essendovi de’
finestroni. [113r] È certo che l’arco della volta termina 16 palmi da sopra il
coperto delle navate piccole. E certo che il piede delle volte non è più largo
di pal. 6: e’1 diametro di quelle è pal. 64, e quando a proporzione dovrebbe il
piede essere p. 15 al meno, quanto a un di presso è la grossezza del [R: solo]
pilone: ma se tanta dovrebb’essere la grossezza bastante per reggere la sola
volta. Quanto più dovrebbe essere per una volta aggravata del peso del tetto?
Dunque in questo stato di cose vi è in questa chiesa una cagione intrinseca
perenne, che tende alla di lei ruina: e che sia questa la cagione, si vede
dagli effetti [M: e può dirsi che a posteriori lo dimostrano le lesioni.].
[1.?] La volta della Navata grande (che supporremo diretta da mezzogorno a
Settentrione) spinge e urta [R: lateralmente da una parte] verso ponente. La
volta laterale di S. Ignazio spinge e urta verso mezzogiorno. Ecco per li
preposti [113v] lemmi come si vede fendersi l’interposto angolo del pilone,
separarsi e scappar fuori diagonalmente verso Libeccio. 2. Questo angolo smosso
non posando più con tutto il suo piede orizontale, ma solo sull’orli esterni,
fa quivi forza, e si [M: stritola quivi la fabbrica], queste sono le gravi
lesioni, che si veggono in quel sito. 3. Il muro adjacente alla contigua
finestra sopra il Cappellone di S.Ignazio è strapiombato di onc. 4. Chi non
vede ch’è il tetto e la volta che urtano, e che niente v’ha che fare la Cupola?
È tutto sfrantumato? E bene se avesse potuto cedere alla base avrebbe fatta una
lesione orizontale presso al Cornicione interiore, ma o per lo cattivo
materiale, o per altro [R: ha ceduto] schiantandosi interiorm.e, e facendo
patire [?] e da dentro e da fuori, non [114r] altrimente, che fanno i fogli
d’un libro [R: erto] oppresso da forza o grave peso.
4. [M: Per lo già notato è
chiaro, come il quarto del Pilone dell’angolo della Chiesa trovandosi
schiantato, con grave peso alla testa dei Cornicione, tende sempre più a cedere
o tutto lo schiantato o almeno quella porzione dei cornicione in su.] 5. Le
lesioni che si veggono ne’due archi piccoli adjacenti furono dal terremoto, ma
non è che non crescano tuttavia per le stesse perenni intrinseche cagioni. 6.
Que’peli che si veggono nelle parti esteriori de’ 3 altri piloni non hanno
altra cagione mandante, che I’urto delle volte. 7. Se poi si vuol aver conto di
tutti gli altri peli che sono nella Chiesa, bisognerà fare i sottarchi a tutte
le Chiese del mondo. [114v] Pruova evidentissima e materiale di tutto questo è
la fermezza della Cupola, e de’ quattro arconi di mattone: 8. Finalm.te mi si
permetta [M: il dire, che non mi pare tanto irragionevole la proposizione
d’alcuni] che le nuove lesioni comparse in gran numero per ogni parte siano[47]
effetto delle soverchie puntellature, le quali, non fanno che ausiliare[48]
le forze nimiche del tetto, e delle volte: onde non sia chiaro, come si vuole,
che la chiesa tutta sia fracida e cadente.
[115r] VI – RIPARO
Conosciuta la causa [R: del male] può ogni perito escogitare il
rimedio. Io intanto umilmente propongo il mio sentimento.
1.Si smantelli [R:
subito] tutto il tetto per rimuovere gran porzione della viva causa mandante.
2.I muri ove sono le
finestre s’allarghino alla grossezza de’ [M: piloni, o sia de’] sottoposti
archi, vale a dire fino a presso a 15 palmi: Così si renderanno più atti a fare
l’opportuna forza di resistenza.
3.S’alzino con
proporzionata diminuita grossezza una dozzina di palmi di più, cioè fino a
tanto, che possa sopra la volta costruirsi il tetto a cavallo armato. Così la
volta no più aggravata dal di lui peso non tenderà più schiacciarsi, e a urtare
i lati [M: con doppia forza]. E urtando [R: colla sola sua forza] siccome prima
non [115v] avea altra resistenza, che quella d’un muro di 40 palmi alto, largo
6; oggi trova la resistenza d’un muro alto 40 ma largo 15: e d’una giunta di
altri pal. 12 d’altezza per la larghezza per es. di pal. 6 e tutte queste mura
appesantite perpendicolarmente dal sovrapposto tetto.
4.Mi piacerebbe, che
questa giunta di muro di 12 palmi per alzare universalmente il tetto giungesse
[R: poi] fino a p. 25 o a scarpa o altrimente, ove attacca co’ piloni della
cupola, per farli giungere [R: fino] al piano esteriore del tamburo[49].
5.Collo slargamento
de’ muri veggo chiaro, che si giunge a urtare i tamburi delle Cupolette e se ne
serrano le finestre: queste [R: però sono] una parte meno nobile e apparente
della chiesa, ma pure v’è il riparo. Il lanternino di queste non ha [116r]
maggior diametro di pal. 8, cioè il quarto del diametro degli archi piccoli,
vale a dire in proporzione bissuddupla, la stessa in genere, che si vede in
tutta la chiesa. Non sarebbe gran male fare i lanternini di pal. 16 di
diametro: cioè di ragion suddupla: o se paresse soverchio, non attendere in
queste urgenze, ed in una parte meno visibile, a si strette regole di
proporzione; basta solo che si riabbia con questo mezzo quella porzion di lume,
che si perde da’turati tamburi, e forse qualche cosa di più per rendere più
luminosa la chiesa di quello che è stata per l’addietro.
[M: 6. S’aumenti la
forza de’ contrafforti del tamburo, raccomodando il patito i contrafforti non
sono ora che un mero ornato.Possono benissimo farsi di piombo non ricurvi, e
forse la Cupola ne acquisterebbe anche di grazia.]
7.Non incontro [R:
poi] alcuna difficoltà nell’andare rifacendo per tutta la chiesa quelle piccole
porzioni di fabbrica, che per le gravi lesioni meritarono [116v] particolare
attenzione.
8.L’istesso
specialmente dico del Pilone di S.Luca. Si vede chiaro che sotto i capitelli
de’contropilastri è schiantato il cantone vergente dentro la chiesa fino al
principio dell’angolo di S.Luca. Puntelli ven’ha bastanti: se si vuole
s’agginga nuova puntellatura, e si rifaccia la porzione lesa collegandola bene
colle laterali, e incassandola secondo l’arte. Crede alcuno, che questa
operazione sia pericolosissima, e atta a far venire giù la Cupola. ma io credo,
che naturalmente parlando non vi sia un tal pericolo. [117r] 1º. Non si può
negare, che la porzione di questo pilone già staccata non men che dal 1688 non
fa più forza, o se ne fa, è tanto poca, che parmi chiaro che sia molto magg.re
que’ dei puntelli già adattativi: onde se non è caduta senza i puntelli per lo
spazio già poco meno d’un secolo, v’è non che da sperare, ma da tener per certo
che non cadrà fra quel poco tempo, che vi vuole all’operazione.
2º. La Cupola per un secolo posata su questa gamba che si vuole rotta,
non che non è caduta, ma [M: neppure smossa un punto dal suo perpendicolo,
secondo l’osservazione fatta da uno di que’ frati calando il piombo dal mezzo
del Cupolino. Onde può] senza sofismi e senz’animo alterato dirsi se non
sanissima sana [R: almeno] quanto tutte le [ R: più sane][50]che
sono al mondo, e delle quali no’ passa nemmen per pensiero lo smantellamento.
Dunque le lesioni [117v] del pilone o nulla o poco offendono la sodezza della
Cupola. Quelli che hanno avuto tanto timore, credettero senza meno gli arconi
principali essere quelli di tufo che si veggono da dentro la chiesa. [R: Alcuni
di] questi si che anno per metà il loro piede o imposta sul quarto leso del
pilone: Ma bisogna capacitarsi che gli arconi Maestri sono que’ di Mattone, e
se si osserva si vedrà, che questi arconi hanno i loro piedi [R: più palmi]
sopra dove terminano le lesioni del pilone. Ora si consideri, che l’arcone di
mattone della Navata dritta posando sul pilone ne occupa tutta la facciata per
la larghezza di 15 palmi, e per 6 palmi di profondità. L’altro dalla parte del
Cappellone fa lo stesso. [118r] Ciascuno quindi posa la metà della faccia sul
pilone sano la metà sul mezzo patito: toltane affatto la metà patita, se ogni
arcone fosse solo, capisco bene, che ogni piccola mossa la farebbe andar giù,
perché la linea del centro di gravità si trova appunto sull’orlo della base, o
del sostegno: Ma qui il caso è diverso: Ciascuno de’ due arconi non può cadere
perché ciascuno trova reciprocamente la opposizione e resistenza dell’altro
contra quella direzione, che dovrebbe tenere cadendo. Se a questo s’aggiunge
che il quarto del pilone patito non si è abbassato, e staccato orizontalmente
dagli arconi, ma obliquamente leso, e [R: ha] lasciato sotto gli arconi una
base se non perpendicolare, obliqua M: a somiglianza d’un angolo della Cupola]:
dirò [R: dunque] arditamente che tolta la porzione del pilone [118v] patita,
allora cadranno questi arconi, quando vedremo cadere tutte le Cupole che posano
sopra i quattro angoli base non perpendicolari ma obblique simili a quella
rimasta sotto gli arconi. Queste in grosso sono le riparazioni che io stimo
confacenti all’intento di salvare tutta la chiesa e per ora e per l’avvenire.
Non ho potuto ne voluto entrare in più minuto dettaglio, prima perché avrei
offeso l’Architetto incaricato. 2º perché [119v] avrei dovuto avere molto tempo
e non essere lontano[51],
per osservare minutamente ed esattamente le situazioni: avrei avuto ad avere
molto comodo, per sentire i più pratici Capomastri. E [R: finalmente] quando
tutto ciò avessi potuto fare, pure [R: me ne sarei astenuto, per non] mostrare
un preciso impegno, o d’addossarmi io questa pericolosa e [120r] dubbia
impresa, o di prescrivere che si eseguisse il mio progetto. Io non ho preteso
né, pretendo far altro che sostenere colle ragioni, che ho potuto escogitare,
il desiderio del Comune, e l’opinione vagamente detta da alcuni Periti di
potersi salvare tale quale questo specioso tempio. Questa mia qualunque
scrittura obbligherà almeno que’ che sono di parere di smantellarsi o solo la
Cupola, o tutta la chiesa, o di farvi de’ soprapilastri a difendere ragionat.te
le loro idee, e’1 mondo tutto [M: potrà ben giudicare, o non] senza temerità
pensare che in questo esame si abbia avuta alcuna contemplazione o deferenza, e
non si siano bilanciate le ragioni.
[118v] - SPESA
Dovrei
entrare anche nell’esame e confronto della spesa, ma parmi inutile e superfluo.
Col proggetto de’ Contropilastri e sottarchi, poco o niente si sarebbe potuto
risparmiare dell’accomodi da me descritti dalla Copertura delle Navate piccole
in su. Dunque è troppo chiaro il risparmio dell’ingente spesa di 24[52]
fondamenta, altrettanti contropilastri, e 12 archi. [119r] Dirò [?] co’
Contropilastri si manda male molto marmo, e ve ne vuole di molto di più per
ornarli finiti che sarebbero. Ma dato e non concesso, che questo progetto
portasse spesa maggiore. Già non potrebbe essere di molti, ma almeno s’avrebbe
il [M: generalmente desiderato] piacere di continuare a vedere nell’antica
bella forma la chiesa. [119v] Su questo articolo o difficoltà non ho voluto, ne
posso interloquire[53].
FOGLI FUORI TESTO
[121r][54]
Avviene, NN[55] ed
avverrà sempre, che ove chiamisi consultori per determinarsi ad alcun partito
di precauzione contro una minaccia che si è concepita di male, sempre le
consulte eccederanno dalla parte delle cautele. Ognuno per coscenziato che sia,
non sa spogliarsi dell’amor proprio e sempre dubita che possa accadere caso di
cui resti mallevadore per non aver proposte cautele maggiori. Basta che si
cominci a vociferare [M: alcun pericolo], che sia di pubblico interesse, perché
la fama di bocca in bocca passando cresca [R: ed urti] con tanto impeto, che
tolga a chicchessia quella indifferenza che potrebbe fare spassionatamente
giudicare. Uscita che fu la voce d’essere lesa e in pericolo la Cupola di S.
Pietro di Roma: Non vi fu modo di far capire le ragioni di coloro, che
sostenevano essere vecchie e di nessuna conseguenza imminente le lesioni:
essere le simili di tutte le altre cupole, e la Fantasia non s’acchetò, se non
quando vide tutta la Cupola cerchiata di catene, e dio faccia che siano queste
state rimedio, e non cagioni motrici di nuovi mali. V’ha molti in Napoli, che
non passano più per lo largo detto del Gesù Novo, tanto è il loro spirito
ingombro e persuaso dell’imminente ruina della Cupola di quel Tempio. Or per
chetare la fantasia così accesa, non v’era altro riparo di quello già preso
dalla Giunta dell’Educazione cioè di pubblicare per le stampe [ ... ].
[98r][56].
È la chiesa già detta del Gesù Novo, oggi della Trinità Magg.re una delle più
cospicue di Napoli sia per l’architettura, sia per la ricchezza de’ Marmi, sia
per la rarità delle Pitture e scolture[57].
Essa può benissimo dirsi a Croce Greca, perché tale [M: è, se si considerano
solo le navate senza i fondati delle cappelle] appre [R: per le navate], sebene
sia più lunga che larga [R: per i fondati delle Cappelle], è lunga infatti p.
240[58],
larga pal. 2000 inc., è a tre navate, onde presa per largo ha:
La Navata grande larga
p. 63 [-62][59]
la piccola p.3½ in due fa p.
63
[M: eguali alli 63 della grande]
Il fondato delle
Cappelle p. 22½ in due pp. 45
Onde il totale p. 203
Presa per lo lungo:
La Navata di Mezzo p. 63
Gli archi piccoli p. 3½ essendo due uno avanti,
e l’altro di là della Cuppola p. 120 [-126]
I due piloni p. 16½
p. 30 [31½]
I due pilastri fra gli archi piccioli p. 8 in
due p. 16
[16¾]
I due mezzi pilastri agli estremi p. 6 in
due
p. 12
Onde totale
p. 240 [249]
[98v][62]Le
rispettive altezze sono
dal pavimento alla volta grande
p. 113
dalla volta al pieno [R: interiore] del
Tamburo p 13
tutto il tamburo
p. 55
La volta della Cupola
p. 67
il Cupolino [R: colla palla e] senza la
croce p. 44
onde tutta l’altezza
p. 300[63]
Gli archi piccoli sono alti
p. 55
Gli altri delle Navate piccole delle cappelle restano più
bassi dell’imposta degli
archi grandi p. 8.
FINE
[1] I tre documenti che seguono sono stati tratti da uno scritto di Giuseppe
Fiorelli - Il giornale degli scavi di
Pompei - il quale, a suo dire, ne aveva rinvenuto gli originali tra le
carte di Berardo GALIANI. Si tratta di una pubblicazione rarissima, infatti
l'unico esemplare noto all'architetto Tommaso Carrafiello è conservato presso la Biblioteca del Museo
Nazionale di Napoli (XXL. C. 16), che ha potuto constatare che le carte
galianee sul teatro ercolanese sono integralmente riportate anche in Fiorelli
1851, che ha consultato invece presso la Biblioteca della Società Napoletana di Storia
Patria (Misc. XVII. C. 4¹³). Lo stesso Fiorelli lascia intendere che Berardo
sia anche l'autore dei documenti da lui pubblicati (Fiorelli 1851, p. XLI), ma
Carrafiello ritiene che questa sua deduzione sia quasi completamente errata, in
quanto solo uno di essi può essere attribuito con assoluta certezza all’illustre
commentatore di Vitruvio, vale a dire quello intitolato Rappresentanza del Marchese GALIANI al Marchese Tanucci sulla relazione
e su i disegni del Teatro Ercolanese, che qui compare per primo. Per quanto
riguarda gli altri, invece, è molto probabile che GALIANI ne fosse solo il
possessore, come risulta abbastanza chiaro dalla loro lettura. Infatti di essi
uno è una richiesta formale fatta dall'Accademia Ercolanese affinché venissero
avviati quegli scavi proposti da Berardo (Scavi
richiesti dalla R. Accademia Ercolanese per la formazione della pianta), e
che quindi al massimo potrebbe essere stato redatto da questi dietro incarico
della Accademia stessa, sebbene non è da escludere che lo scritto fosse
arrivato nelle sue mani soltanto per conoscenza della comunicazione fatta
all’amministrazione reale; l'altro e ultimo scritto (Lavori eseguiti nel maggio e giugno 1765) l'architetto Carrafiello
ritiene sia quasi certamente un resoconto fatto pervenire a Berardo da
Francesco La Vega ,
vale a dire colui che aveva ricevuto l'incarico di eseguire i più volte
menzionati lavori. Nell'opuscolo di Fiorelli, figurava la trascrizione di un
quarto documento (Indicazione di una
pianta del teatro), anch'esso attribuito erroneamente a GALIANI, e formato
da due legende corredate di una breve Riflessione
; questi tre scritti nel loro complesso dovrebbero costituire proprio quella
«relazione» allegata alle tavole che furono consegnate nelle mani di Berardo,
come egli stesso afferma nella sopracitata Rappresentanza.Si
tratterebbe, quindi di scritti dovuti all'architetto svizzero Karl Weber, in
sostanza la stessa persona che aveva disegnato quella pianta e quel profilo del
Teatro Ercolanese che si aveva intenzione di pubblicare. Solamente l'analisi
dei manoscritti originali potrebbe permettere di far luce su tali dubbi nella
attribuzione, ma Fiorelli non indica ove questi siano conservati.
[2] Si tratta proprio del proscenio, in quanto nella descrizione degli scavi
richiesti dalla Reale Accademia Ercolanese (si veda il secondo documento
trascritto insieme al parascenio viene menzionato appunto il proscenio).
[3] Cioè a Pompei
[4] Il pensiero dei vari esperti d'architettura interpellati dagli
accademici olimpici, fu raccolto in una sorta di dossier curato dall'abate
Capperozzo - Memorie riguardanti la
copertura del palco del Teatro Olimpico, Vicenza (BBV, Mss. Gonzati 25. 10. 105-112, cm . 28,4x20) - che
contiene le trascrizioni di tutti i pareri pervenuti a Vicenza, compreso quello
di Berardo GALIANI datato 1764. La versione di quest'ultimo conservata a Padova
(BCP, mss. BP 2537, vol. VI, ff. 130r/147v) è una copia del citato manoscritto
vicentino, come confermato dalla frase apposta sull'ultima facciata: «Copia
fatta nel mese di Giugno 1810 essendo a prendere le acque di Recoaro». Lo
scritto che segue, invece, è la trascizione dell'autografo galianeo (fino ad
oggi sconosciuto) custodito nella Biblioteca della Società Napoletana di Storia
Patria, alla segnatura XXXI. A. 8 (ff 271r/291v), e fa parte di un volume
rilegato di carte della famiglia GALIANI. Il Parere è preceduto da una breve introduzione, ed articolato nei tre
seguenti capitoli: I - Del Teatro antico;
II - Del Teatro Olimpico; III - Della Copertura del Pulpito, e Come questa
abbia ad essere. Nella trascrizione è stata quasi sempre rispettata la
punteggiatura originale, corregendola solamente ove tale intervento era
indispensabile ai fini della comprensione del testo. Nessuna alterazione,
invece, è stata operata per modificare il costante abuso di maiuscole, ne
tantomeno gli errori ortografici, in quanto spesso essi sono indistinguibili da
reali espressioni dell'epoca. Fra le
parentesi quadre sono indicati i riferimenti alla numerazione delle pagine. Le
parentesi inoltre, possono racchiudere dei brani aggiunti dall'autore in un
secondo tempo, o sue correzioni; in tal caso alcune notazioni differenziano le
aggiunte a margine: (M), quelle a fondo pagina: (F), e quelle nello spazio
bianco fra due righi: (R).
[5] È stato cancellato: «Perché io vi dicessi il mio debole parere».
[6] Tutti i corsivi di questa trascrizione erano sottolineature nel
manoscritto; i primi due «secundum»
erano poi evidenziati con una sottolineatura doppia.
[7] Questa voce intesa per dietro
non per accanto è stata la cagione
degli errori.
[8] Il brano che segue fra parentesi è un’addenda,che si trova al foglio
282r, alla quale rimanda l’autore stesso.
[9] Il foglio 279r è stato tutto cancellato, ma conteneva lo stesso testo a
cavallo dei fogli 282bis/r e 282bis/v. Il foglio 279v, invece, è un’aggiunta che va inserita al foglio 280r.
[10] Questo corsivo non è autografo.
[11] Questo corsivo non è autografo.
[12] A margine del foglio è stato appuntato il termine greco: σπηλαιον.
[13] Tutto il brano da questo punto fino alla fine del capitolo, è segnato
con una riga nera a margine; esso non è presente nella copia padovana, e
probabilmente è stato eliminato dalla stesura finale, inviata a Vicenza.
[14] L’autore si riferisce al rilievo del Teatro di Ercolano, eleborato da
Karl Weber, che stava in quegli anni rivedendo in vista della pubblicazione.
[15] Nel manoscritto napoletano manca l’indicazione della data, mentre invece
nella copia custodita a Padova, alla fine del testo si legge: «Napoli 20
Ottobre 1764»..
[16] Lo scritto del quale segue la trascrizione fa parte di un volume
rilegato di vari autografi galianei [vale a dire di Berardo, Ferdinando e
Celestino GALIANI] custodito presso la Biblioteca della Società Napoletana di Storia
Patria, alla segnatura XXX. C. 6, [ff. 95r-123v]. Esso, fino ad oggi sostanzialmente
ignorato, era stato erroneamente attribuito [come risulta dal catalogo generale
dei manoscritti posseduti dalla biblioteca, e dall’indice sommario del volume
stesso] allo zio di Berardo, monsignor Celestino GALIANI a causa di una «M.»
erroneamente interpretata [a proposito di tale questione si veda la nota 350 di
questo lavoro]. Nello stesso volume, e subito dopo il Parere galianeo, figurano altri due lavori sullo stesso argomento,
elaborati da autori diversi [uno dei quali l'architetto Tommaso Carrafiello
ritiene possa essere Ferdinando Fuga], e postillati da una serie di
osservazioni dovute certamente alla mano di Berardo GALIANI, come confermato
[oltre che dalla grafia] dalla frequente presenza del suo monogramma al margine
del foglio, proprio a fianco di esse; molto probabilmente Berardo, nella redazione
del suo scritto, utilizzò anche le informazioni contenute in questi resoconti.
La versione che viene qui presentata è il risultato di un ampio rimaneggiamento
operato dall'autore stesso alcuni anni dopo la prima stesura; tale intervento
ha comportato una serie di tagli, aggiunte, traslazioni di interi brani, che ne
avrebbero resa difficoltosa la lettura. È stato però possibile ricostruire il
testo nella sua veste finale seguendo le indicazioni del foglio 123, che reca
l’incipit del primo capitolo e la
concatenazione di quelli successivi. La trascrizione è avvenuta, quindi,
secondo questo nuovo ordine, aggiungendo tra le parentesi quadre i riferimenti
necessari che consentono al lettore di risalire alla collocazione originaria
dei brani nel maoscritto, e che corrisponde alla numerazione complessiva del
volume rilegato. Altre volte le parentesi racchiudono dei brani aggiunti
dall'autore in un secondo momento o sue correzioni; in tal caso alcune
notazioni differenziano le aggiunte a margine (M), quelle a fondo pagina (F),
ed infine quelle inserite nello spazio bianco tra due righi (R). Le parole
incerte, a causa del deterioramento della carta, della difficile
interpretazione, o per la sovrapposizione dell’inchiostro tra recto e verso, sono state fatte seguire da un punto interrogativo tra
parentesi quadre: [?]. Il Parere
risulta articolato nei seguenti capitoli: I
- Storia del Tempio del Gesù Nuovo, oggi Trinità Maggiore; II - Proporzioni della chiesa; III - Lesioni; IV - Sentimenti e progetti per la riparazione (del quale.fa parte
un brano che nella stesura originaria costituiva un capitolo a parte intitolato
Riflessioni sul progetto del Cav. Fuga);
V – Riflessioni sulle cagioni delle
lesioni; VI - Riparo (allafine di
questo capitolo vi è un'appendice intitolata Spesa). Dal testo originario del Parere, qui ipoteticamente ricostruito, sono rimasti esclusi alcuni
brani “volanti”, il cui contenuto è stato comunque riportato infondo. Non sono
stati invece trascritti altri passi che l'autore decise di eliminare dalla
stesura, in quanto essi oltre a non avere in essa una precisa collocazione, non
contengono elementi di particolare interesse, limitandosi ad esprimere in altra
forma concetti poi diversamente sviluppati nel testo definitivo. La
punteggiatura in qualche caso è stata adattata all’uso moderno per facilitare
la lettura e la comprensione del testo, mentre invece non è stato affatto
alterato l’abuso delle maiuscole (un mezzo grafico per attirare l'attenzione su
nomi o altre parole di particolare interesse nel contesto del discorso), né
tantomeno sono stati corretti quegli errori ortografici indistinguibili da
reali espressioni dell'epoca (ad esempio «proggetto, cuppola, tamburro» invece
che «progetto, cupola,tamburo.
[17] I primi due.fogli del Parere galianeo sono di formato più piccolo
rispetto a tutti gli altri, e non recano la numerazione autografa: si tratta di
una lettera di presentazione rivolta al ministro marchese Tanucci o allo stesso
Sovrano, stesa al momento di rendere pubblico lo scritto. Tutte le altre pagine
hanno una doppia numerazione: quella relativa a tutto il volume rilegato è
stata apposta in alto a destra, solo sul recto; quella autografa, invece, va da
1 a 45, ed
è presente a partire dal f 98r, fino al f 120r, su entrambe le facciate.
[18] Probabilmente Berardo GALIANI fa riferimento al fatto che i beni
sequestrati ai Gesuiti in seguito alla loro espulsione dal Regno avvenuta nel
1767, furono destinati a finanziare l’istruzione pubblica oltre che ad opere di
pietà e di beneficienza, mentre invece i possessi più grandi vennero divisi ed
affidati ai coloni poveri in cambio di un piccolo censo)
[19] Si tratta di padre Pietro Provedo.
[20] ...Non sono specificati i palmi, cfr. f. 98.
[21] Di quest’ultimo crollo non vi è affatto nortizia dei testi consultati,
probabilmente se ne era persa la memoria data la sua entità limitata rispetto
ai danni maggiori.
[22] In realtà solo il tamburo fu ricostruito in quei pochi giorni, cfr.
Errichetti 1974, pp. 50-51.
[23] La nuova cupola però era opera di
Arcangelo Guglielminelli, (Errichetti 1962/63, pp. 177/78); ad ogni modo il
personaggio a cui si riferisce Berardo potrebbe essere Andrea Pozzo (1642/3‑1709),
detto appunto: “Padre Pozzo”, un fratello laico dell’ordine dei Gesuiti di cui
era entrato a far parte nel 1665; questi lavorò nella chiesa del Gesù a Roma
negli anni 1697/8 trasferendosi poi a Vienna a partire dal 1703. Si vedano: N.
Carbonieri, Andrea Pozzo Architetto, Trento 1961; N. Carbonieri, L'Architettura
di A. Pozzo, Vicenza 1962; G. Romano, Notizie su Andrea Pozzo, in
«Prospettiva», nn. 57/60 aprile 1989, pp. 294-307 (scritti in memoria di
Giovanni Previstali); infine molto interessante è il saggio sul recente
convegno C. Pfeiffer, ANDREA Pozzo e il suo tempo, in «Civiltà Cattolica»
n’3445, (1 genn. 1994), pp. 55-62.
[24] Come confermato in Errichetti 1974, pp. 50-51
[25] Berardo si riferisce all’espulsione dei Gesuiti dal regno delle Due
Sicilie.
[26] Si tratta dei Francescani Riformati dei due conventi della Croce e della
Trinità di Palazzo, da cui il nome di Trinità Maggiore.
[27] Montini [1956, pp. 12 e 24] afferma più di una volta che questi
sottarchi, come pure gli altri simili oltre la crociera centrale, siano invece
dovuti all’intervento di consolidamento operato da Ferdinando Fuga: «[ ... ]
prevalse il parere di Fuga di rinforzare la struttura della chiesa con quei
contropilastri e quei sottarchi che si cominciarono a costruire nel 1771 e
tuttora esistono»; e più avanti :«peccato che la già ricordata iniziativa di
rafforzare gli archi estremi - i due primi vicino alì ingresso, e i due ultimi
nella tribuna, ridotti quindi a corretti - con sottarchi e contropilastri [...]
abbia gravemente alterato il giuoco delle proporzioni, impicciolendo i vani e
ingrossando fuor di misura le pilastrate». Secondo Ì Architetto Carrafiello, le
parol di GALIANI siano certo più credibili, avendo egli partecipato in prima
persona al dibattito sul progetto di restauro proposto da Fuga; allo stesso
modo anche il consolidamento delle arcate verso la tribuna è precedente agli
interventi settecenteschi, in quanto all’indomani del rovinoso incendio
avvenuto nel 1639 il bergamasco Cosimo Fanzago (1591-1678) «per rinforzare le
arcate estreme della navata, ne rimpiccolì la luce con sottarchi» (De Biase
1952, p. 287).
[28] Si tengano comunque presenti i rifacimenti operati all’indomani del
fatale terremoto del 1688, che avrebbero potuto alterare le proporzioni nella
zona della crociera centrale; Berardo GALIANI infatti descrive la seconda
cupola, quella realizzata da Arcangelo Guglielmini, in parte diversa
dall’originaria
[29] Cioè di sezione rettangolare.
[30] E stato cancellato: «300».
[31] È stato cancellato: in «quadro».
[32] È stato cancellato: «veggono».
[33] È stato cancellato: «le».
[34] Il foglio 122 è stato rilegato erroneamente prima del 123; poiché su
questi ultimi fogli manca la numerazione autografa, è possibile fare un
controllo diretto, ma dal contenuto emerge chiaramente la corretta
consequenzialità.
[35] Berardo GALIANI si riferisce, molto probabilmente, al parere di Mario
Gioffredo.
[36] Tutto il brano che segue fino a f. 110r era, nella versione originaria, un capitolo a parte con un suo
proprio titolo (Riflessioni sul progetto
del Cav. Fuga); successivamente Berardo GALIANI ha preferito inserirlo come
una parte di questo capitolo IV.
[37] È stato cancellato:«16».
[38] È stato cancellato: «ottupla».
[39] Tutta la rimanente parte del foglio 110r è cancellata e riscritta a margine.
[40] L’autore indica i due termini come alternativi.
[41] È stato cancellato: «naturali».
[42] È stato cancellato: «può».
[43] È stato cancellato: «momentanea».
[44] A partire da questo punto, e fino a quasi tutto il foglio 112v, il testo è segnato con una riga nera
a margine; si tratta di una ipotesi per la spiegazione meccanica delle lesioni.
Probabilmente esso fa riferimento ad una tavola che Berargo GALIANI avrebbe
avuto intenzione di disegnare, ma che non figura in questo manoscritto.
[45] È stato cancellato: «Le porzioni p m nello smuoversi faranno leva, e
sforzeranno anche la porzione a passare in parte opposta diagonalm.e nel sito
9.10.11.12.».
[46] In questo punto termina la parte segnata a margine con la riga nera.
[47] È stato cancellato: «pajono».
[48] È stato cancellato: «coadiuvare.
[49] Questi interventi sono sommariamente esemplificati con un sintetico
disegno a margine del foglio 115v.
[50] È stato cancellato: «altre».
[51] In quegli anni, infatti, Berardo era andato a vivere a Sant’Agnello,
presso Sorrento, ove era stato nominato rettore della scuola navale della
Coccumella.
[52] È stato cancellato: «32».
[53] È stata cancellata la «Conclusione», che occupa metà dei fogli 119r/v; il foglio 120v è tutto bianco.
[54] Non reca la numerazione dell’autore, e non c’è alcuna indicazione per
l’inserimento di questo brano all’interno del testo principale. Si tratta,
probabilmente, di una introduzione in forma di lettera gratulatoria che Berardo
stava redigendo per la pubblicazione del Parere,
ma che non è stata più portata a termine. Contiene una illuminante riflessione
sulla polemica di cui fu oggetto la Cupola Vaticana nel ‘700, nella quale egli
parteggia per i non interventisti.
[55] Probabilmente in questo punto andava inserito il nome del personaggio al
quale GALIANI indirizzava idealmente questa introduzione o dedica.
[56] Reca la numerazione dell’autore sul recto,
in alto a destra: «1», e sul verso,
in alto a sinistra: «2». Si tratta di una brevissima descrizione della chiesa e
corredata dall’annotazione delle sue misure principali espresse in palmi
napoletani, e corretta in un secondo tempo con l’intento di dimostrare che esse
si conformano alle proporzioni armoniche più elementari; probabilmente essa si
riferiva ad un rilievo che poteva essere nelle mani di Berardo, una sorta di
promemoria personale che non doveva necessariamente figurare nello scritto
finale.
[57] A margine è indicato : «Pianta», ma con una calligrafia diversa da
quella di Berardo.
[58] È stato cancellato: «245».
[59] Tutte le misure fra le parentesi quadre [ ] sono state aggiunte successivamente a
margine,
[60] È stato cancellato: «16½».
[61] L’autore fa riferimento alla nota a margine precedente, volendo
sottolineare che le misure sono sempre in proporzione doppia.
[62] A margine è stato appuntato: «Alzato», ma con una diversa calligrafia.
[63] È stato cancellato: «292».